Non c’è
posto di vertice a Bruxelles e dintorni, soprattutto dove si spende, che non
abbia a capo un tedesco: Alessandro Farruggia fa sulla “Nazione” un elenco
impressionante di posti di vertice o direttivi, nelle istituzioni finanziarie
Ue e nell’alta burocrazia di Bruxelles, detenuti da tedeschi. Oppure da
olandesi, o austriaci.
Ma non c’è
solo il controllo diretto. Si prendano i rappresentanti francesi o spagnoli nell’esecutivo
di Bruxelles – uno, un rappresentante: con l’Ue a 28 i rappresentanti nazionali
nella Commissione europea sono uno per parte. Non daranno mai torto a Berlino.
Anche Monti,quando stava a Bruxelles. La sudditanza, come la servitù, è fondamentalmente
volontaria. Si capisce qui il senso della’egemonia tedesca: per quanto
riluttante, è obbligata.
Nel caso
dei rappresentanti italiani la questione è più complessa e più semplice: fanno
a gara, Mogherini come già Tajani, per essere irrilevanti. Non danno fastidio
nei loro incarichi, non danno fastidio anche quando le questioni sono di prima
importanza per l’Italia, e si godono il posto come un vitalizio onorario.
Il caso
di Federica Mogherini, che pure è la politica estera e di difesa della Ue,
oltre che ex ministro degli Esteri e rappresentante dell’Italia nella Commissione
di Bruxelles, è singolarmente eclatante ma nella norma. Nelle questioni che
occupano l’Italia, per quanto concerne
gli immigrati, la Libia, la Siria, fronti di prima importanza, si fa un merito
di essere equidistante e anzi lontana. Non solo dagli interessi ma anche dalle
posizioni diplomatiche italiane, per quanto meglio fondate. Dove è possibile ha
anche fatto di più: ha apoggiato l’iniziativa della Francia di concordare con
la sola Gran Bretagna, escludendo sempre l’Italia, la questione libica e quella
siriana.
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