venerdì 2 ottobre 2015

Le nomination europee a Berlino

Non c’è posto di vertice a Bruxelles e dintorni, soprattutto dove si spende, che non abbia a capo un tedesco: Alessandro Farruggia fa sulla “Nazione” un elenco impressionante di posti di vertice o direttivi, nelle istituzioni finanziarie Ue e nell’alta burocrazia di Bruxelles, detenuti da tedeschi. Oppure da olandesi, o austriaci.
Ma non c’è solo il controllo diretto. Si prendano i rappresentanti francesi o spagnoli nell’esecutivo di Bruxelles – uno, un rappresentante: con l’Ue a 28 i rappresentanti nazionali nella Commissione europea sono uno per parte. Non daranno mai torto a Berlino. Anche Monti,quando stava a Bruxelles. La sudditanza, come la servitù, è fondamentalmente volontaria. Si capisce qui il senso della’egemonia tedesca: per quanto riluttante, è obbligata.
Nel caso dei rappresentanti italiani la questione è più complessa e più semplice: fanno a gara, Mogherini come già Tajani, per essere irrilevanti. Non danno fastidio nei loro incarichi, non danno fastidio anche quando le questioni sono di prima importanza per l’Italia, e si godono il posto come un vitalizio onorario.
Il caso di Federica Mogherini, che pure è la politica estera e di difesa della Ue, oltre che ex ministro degli Esteri e rappresentante dell’Italia nella Commissione di Bruxelles, è singolarmente eclatante ma nella norma. Nelle questioni che occupano l’Italia,  per quanto concerne gli immigrati, la Libia, la Siria, fronti di prima importanza, si fa un merito di essere equidistante e anzi lontana. Non solo dagli interessi ma anche dalle posizioni diplomatiche italiane, per quanto meglio fondate. Dove è possibile ha anche fatto di più: ha apoggiato l’iniziativa della Francia di concordare con la sola Gran Bretagna, escludendo sempre l’Italia, la questione libica e quella siriana.

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