È
una partita non di interesse nazionale ma di influenza che Putin ha aperto in
Medio Oriente con la Siria. Ha avanzato l’esigenza di evitare il contagio con
le minoranze mussulmane nella federazione russa e ai suoi confini, ma non è questo
il motivo del suo intervento: Mosca impone l’Iran nella partita mediorientale
contro i potentati della penisola arabica che da decenni perseguono la
divisione della Siria. E con l’Iran impone un Libano - da sempre legatissimo ai
destini della Siria, di cui era parte - acquiescente alla fazione Hezbollah, a
preferenza dei sunniti libanesi. Tenendo singolarmente all’oscuro e del tutto
ai margini la Turchia sua confinante – una riprova indiretta delle intese del
presidente turco Erdogan coi potentati del Golfo, nel caos siriano.
È
Putin che ha l’iniziativa. E fa sul serio in Siria, ha cioè un progetto:
sostituire la Russia agli Usa come pacificatrice. La battaglia è all’inizio e
quindi imprevedibile, ma le premesse sono queste: Putin si è introdotto da
protagonista in un’area dalla quale la Russia è sempre stata esclusa. E più che
in un azzardo sembra muoversi secondo una strategia, avendola coordinata con
Teheran e Beirut: non ha fatto in tempo a tornare da New York che la sua
offensiva militare è partita, evidentemente pronta da tempo.
L’entrata
in gioco della Russia in Siria scombina gli assetti geostrategici, che
la volevano esclusa dal risiko mondiale. Ma di più, e da subito, gli assetti mediorientali. I
potentati della pensisola arabica, che sono all’origine dell’attacco alla Siria
per infeudarsela, e della forza acquisita dall’Is, sono a questo punto in
difesa. Già attaccate dall’Iran nello Yemen, ora lo sono anche in Siria. In una
situazione interna di obiettiva difficoltà, anche se sembrano molto stabili. Nulla di più facile che sovvertire questi
regimi patrimoniali, piu anacronistici che mai nel terzo millennio: il Bahrein, il Qatar, ma anche Dubai,
e la stessa Arabia Saudita. Questi potentati non hanno truppe, e hanno armi
inservibili benché aggiornatissime e costose, avendo forze armate più che altro
di parata. Compresa l’Arabia Saudita, che pure ha una certa popolazione.
Gli
Usa che tutto hanno deciso nells regione per sessant’anni, dalla guerra di Suez in poi nel
1956, quando soppiantarono Francia e Inghilterra, sembrano all’improvviso al di
fuori dei giochi. Non si sa se per scelta, benché camuffata da intimazioni e
ultimatum all’Is, e alla Russia, oppure per incapacità politica. Il comandante
delle forze anti-Is in Siria si è dimesso in polemica con Obama. Obama ha fatto
dire che i bombardamenti russi non hanno colpito l’Is ma obiettivi civili. Ma
solo “probabilmente”. Come se Washington non solo non sa o non vuole contrastare
l’Is, ma non sa neanche cosa accade in Siria.
Quale
che sia l’esito della iniziativa di Putin, la presidenza Obama si conclude
avendo perduto il controllo del Medio Oriente. Ha esposto i democratici
siriani, come di altri paesi arabi, alla repressione, sostenendoli a vittorie
di Pirro, benché fossero estremamente minoritari, senza poi difenderli né
proteggerli dai contraccolpi. Così come ha fatto del resto in Ucraina, spingendo
allo sbaraglio la metà del paese non russo contro i russofoni e la stessa Russia, senza che ne
avesse alcun motivo impellente.
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