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mercoledì 28 ottobre 2015

Secondi pensieri - 237

zeulig

Amore – Magris, che si diverte a strapazzarlo in amor-te, lo dice anche, con Rilke, finito quando comincia. Quando si riconosce: “Gli amanti – lo vedi? – non sanno\ che un bacio distrugge l’incanto:\ che allora comincia l’inganno”. Mentre si penserebbe prosaicamente il contrario – Rilke praticò sempre l’amore, perlomeno ci scrisse poesie. Ma c’è un amore poetico, che si vuole lontano, procrastinato, represso, inturgidito dal desiderio. Come chi avesse sete e allontanasse il momento del bere, per idealizzare meglio l’acqua dissetante.  

L’Einfühlung di Husserl è pretenziosa, l’immedesimazione, entrare nella pelle di un altro, conoscere come l’altro conosce e giudica, roba da fantacinema. Ma “esse est percipi”, il vescovo Berkeley ha ben detto: non si è se non si è percepiti. Nel senso che il mondo e noi siamo nella mente degli altri, più che nella nostra. La bellezza sta negli occhi di chi guarda? Anche per questo bisogna volersi bene, si sa – la prima carità, o il primo amore, comincia da se stessi.

La coscienza di classe è la tomba dell’amore, si diceva. Anche la coscienza dei ruoli, del semplice io, tu e io. Specie nella disattenzione.

Volendo, tutto è già nel mito. Afrodite aveva due figli, oltre al noto Eros: uno, Himeros, era il desiderio di qualcuno vicino, l’altro, Pathos, il desiderio lontano. Ma non si ricordano mai bene i miti.

Destino – È mutevole. Ma innaturale? Il mondo di Newton era legge e destino, ora con Einstein è caos e potenza, ma sempre destino è.

Era il Nord una “comunità di destino” per  Alfred Rosenberg, dottore, professore e ministro ai lager di Hitler. Certi destini si costruiscono: è una finalità e non una determinazione (“era destinato”).

Fede – Va nutrita. È l’ufficio della preghiera in chiesa. Negli stadi, con gli inni, il tutti per uno e gli scongiuri. È il percorso di Boezio: finché seguiamo il destino il caso è impotente, ci guida la fiducia nella Provvidenza, se perdiamo la fede il caso ci disintegra. Ci fa perdere la partita.

Galileo – Nella sua campagna contro il fisicalismo delle scienze, Thomas Nagel ne fa ascendere i limiti al “modello seicentesco”, a Descartes e Galileo: “La nascita delle scienze fisiche moderne è stata resa possibile dalla messa a punto di un metodo che permetteva di esaminare il metodo fisico non in funzione del modo in cui esso appare ai nostri sensi – e cioè in funzione della percezione fisica (da parte) della specie umana – bensì in quanto segno oggettivo che esiste indipendentemente dalle nostre menti”. Che è invece metodo di straordinaria efficacia. Ciò che Nagel intende dire è che il “modello seicentesco”, poi meccanicistico, poi riduzionistico, esclude “l’apparenza soggettiva della realtà”. Il che non è vero, sicuramente non per Descartes (“penso, dunque sono”) , ma neppure per Galileo. La stessa citazione famosa che compendia Galileo amplia molto e non esclude nulla – la soggettività è confermata dalla scoperta stessa, di quello (il metodo) che annunzia: “La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto”.

Genere – Il sesso come genere culturale si dissolve nel multigender, poco dopo dunque la partenza. Si regge come genere femminile, opposto al maschile – si reggeva?

Giovinezza – Si è giovani fino a quando? Henry James nell’abbozzo di autobiografia pone il suo personale termine ai ventisei anni – cioè quando decise di emigrare in Inghilterra. Ma con la premessa: “Non siamo mai davvero vecchi, perché non sappiamo rassegnarci a smettere d’essere giovani”. Le età dell’uomo non sono regolari come le stagioni. La giovinezza in definitiva varia come dice Henry James – solo sostituendo al “perché” il “se”: “Se non sappiamo rassegnarci”. Ma il termine ha variato molto nella storia e nelle diverse culture.
Nietzsche afferma che ognuno fa la filosofia caratteristica della sua età, l’età anagrafica. Una filosofia, quindi, della maturità e una di gioventù – e dell’infanzia? Ma l’età può non essere quella anagrafica, del numero degli anni. Il prezioso Cerruti-Rostagno, il vocabolario dei salesiani, calcolava sei età: infanzia fino ai sette anni, fanciullezza fino ai dodici, adolescenza fino ai diciotto, giovinezza fino ai trenta, virilità fino ai cinquanta, e oltre, improvvisamente, vecchiaia. La tendenza va a semplificare, con un’età di mezzo e una terza età, il resto come se fosse fuori del tempo.
“Una volta si era tassonomici. I venticinque anni erano richiesti per la maggiore età in Italia fino alla prima guerra, eccetto che per fare la guerra: chi si sposava di ventiquattro doveva esibire un paio di tutori. I turkmeni tuttora prolungherebbero l’adolescenza ai venticinque, dopo una infanzia stiracchiata fino ai dodici, e la gioventù ai trentasette. Possono così oziare la metà della vita, e l’altra metà godersela: la maturità è breve, dodici anni, fino ai quarantanove. Dopodiché diventano profetici per dodici anni, fino ai 61, ispirati fino ai 73 e saggi fino agli 85. Passati gli 85 possono morire. Anche i romani antichi avevano sette età, e se la prendevano comoda come i turkmeni, spostando l’età attiva verso i quaranta.
“È solo logico ribaltare il principio dell’eredità in morte o vecchiaia: dovrebbero essere i giovani a costruire il futuro, hanno il dovere d’imporsi” (Astolfo, “La gioia del giorno”, p. 179).

Mondo – È il luogo della libertà: la creazione, che per la scienza è assurda, ne vivifica ogni sequenza, esito, miracolo. Kant l’ha detto: “La ragione vede solo ciò che lei stessa produce secondo il suo disegno”. Bisogna dunque ragionare molto. O non ragionare. Ma sempre “in base a dei principi”, altrimenti il mondo non risponde, segue il suo corso “naturale”. Il modo Aristotele già l’aveva detto, ovviamente: l’atto nasce dall’atto, la sapienza dalla sapienza, solo dal vivente nasce il vivente. Il modo della continuità: il nuovo nasce dal vecchio, su radici che lo condizionano.
Non ali Bacone ha messo alla scienza, curiosa, innovatrice, ma pesi ai piedi. In altro modo però che Aristotele, il quale, “stordito dall’inutile sottigliezza”, la natura lasciò “intatta e illibata”. La vita e il pensiero non avvengono nella natura, né nella filosofia, ma nella storia: la bussola, la stampa e la polvere da sparo “sono più importanti di ogni politica, ogni destino, ogni filosofia”. Che “la verità dell’essere e la verità del conoscere sono tutt’uno” è però nello stesso Bacone, e non c’è rimedio: pensare bisogna ma non basta, “bisogna estendere l’intelligenza e non chiuderla in un sistema”. 

Stato d’assedio - È l’esito dello Stato liberale, che è al fondo anarchico, e della stessa anarchia. Dello Stato minimo di Jefferson, di quello nullo di Thoreau (“il governo migliore è quello che non governa affatto”). In forma incruenta ma non per questo meno dispotica e anzi totalitaria. L’annientamento pretendendo dell’individuo e non la sua affermazione. Con in più la convinzione, il voto di supporto.

È la modernità nel senso della contemporaneità, dell’ora e qui. Senza contesto, senza storia. Senza  senso: l’obbedienza è richiesta avvertita ma muta e inefficace.
Nel senso della modernità è elaborazione di Jünger nel “Lavoratore”, da entomologo acuto del reale e sulla base della filosofia del diritto di Carl Schmitt - la pervasività, l’immodificabilità, il monopolio della forza (l’equivalente di quello che in Italia Mussolini chiamava “totalitarismo”). In questo senso, di rifiuto della tecnica e della tecnocrazia, molto elaborato poi da Heidegger, si poteva dire un concetto (rifiuto) reazionario. Ma la pervasività, l’immodificabilità, e anche a ben vedere la forza, sono del modo di essere contemporaneista, eventful. La critica riducendo a lustrino, o esercitazione fine a se stessa – liberamente inutile.

Torre – È luogo e simbolo di un periodico ritorno a se stessi, in solitudine, ai fini del riposo e della concentrazione. Montaigne vi si rifugiava giornalmente per scrivere, lontano dalla famiglia e  dalle noie dell’amministrazione domestica. Pasolini da ultimo a Chia per una pausa nei mille impegni. Von Rezzori a Donnici per ospitarvi gli amici in un luogo che sapeva incantato. Isabella “Lilli” Chidichimo ad Albidona, dove attorno alla torre, ora agriturismo, ha costruito un giardino fatato di ogni specie vegetale, dopo la morte del figlio Carlo Rivolta. Ma è anche, nel rosario per esempio, la fortezza: una manifestazione di forza più che un riparo.

zeulig@antiit.eu

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