Amore – Magris, che si
diverte a strapazzarlo in amor-te, lo dice anche, con Rilke, finito quando comincia.
Quando si riconosce: “Gli amanti – lo vedi?
– non sanno\ che un bacio distrugge l’incanto:\ che allora comincia
l’inganno”. Mentre
si penserebbe prosaicamente il contrario – Rilke praticò sempre l’amore, perlomeno
ci scrisse poesie. Ma c’è un amore poetico, che si vuole lontano, procrastinato,
represso, inturgidito dal desiderio. Come chi avesse sete e allontanasse il
momento del bere, per idealizzare meglio l’acqua dissetante.
L’Einfühlung
di Husserl è pretenziosa, l’immedesimazione, entrare nella pelle di un altro,
conoscere come l’altro conosce e giudica, roba da fantacinema. Ma “esse est percipi”, il vescovo Berkeley
ha ben detto: non si è se non si è percepiti. Nel senso che il mondo e noi
siamo nella mente degli altri, più che nella nostra. La bellezza sta negli
occhi di chi guarda? Anche per questo bisogna volersi bene, si sa – la prima
carità, o il primo amore, comincia da se stessi.
La coscienza di classe è la tomba
dell’amore, si diceva. Anche la coscienza dei ruoli, del semplice io, tu e io.
Specie nella disattenzione.
Volendo,
tutto è già nel mito. Afrodite aveva due figli, oltre al noto Eros: uno,
Himeros, era il desiderio di qualcuno vicino, l’altro, Pathos, il desiderio
lontano. Ma non si ricordano mai bene i miti.
Destino
–
È mutevole. Ma innaturale? Il mondo di Newton era legge e destino, ora con
Einstein è caos e potenza, ma sempre destino è.
Era il Nord una “comunità di destino”
per Alfred Rosenberg, dottore, professore e
ministro ai lager di Hitler. Certi
destini si costruiscono: è una finalità e non una determinazione (“era
destinato”).
Fede
–
Va nutrita. È l’ufficio della preghiera in chiesa. Negli stadi, con gli inni,
il tutti per uno e gli scongiuri. È il percorso di Boezio: finché seguiamo il
destino il caso è impotente, ci guida la fiducia nella Provvidenza, se perdiamo
la fede il caso ci disintegra. Ci fa perdere la partita.
Galileo
–
Nella sua campagna contro il fisicalismo delle scienze, Thomas Nagel ne fa
ascendere i limiti al “modello seicentesco”, a Descartes e Galileo: “La nascita
delle scienze fisiche moderne è stata resa possibile dalla messa a punto di un
metodo che permetteva di esaminare il metodo fisico non in funzione del modo in
cui esso appare ai nostri sensi – e cioè in funzione della percezione fisica
(da parte) della specie umana – bensì in quanto segno oggettivo che esiste
indipendentemente dalle nostre menti”. Che è invece metodo di straordinaria
efficacia. Ciò che Nagel intende dire è che il “modello seicentesco”, poi meccanicistico,
poi riduzionistico, esclude “l’apparenza soggettiva della realtà”. Il che non è
vero, sicuramente non per Descartes (“penso, dunque sono”) , ma neppure per
Galileo. La stessa citazione famosa che compendia Galileo amplia molto e non
esclude nulla – la soggettività è confermata dalla scoperta stessa, di quello
(il metodo) che annunzia: “La
filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto
innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non
s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto.
Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed
altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne
umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro
laberinto”.
Genere
–
Il sesso come genere culturale si dissolve nel multigender, poco dopo dunque la
partenza. Si regge come genere femminile, opposto al maschile – si reggeva?
Giovinezza
–
Si è giovani fino a quando? Henry James nell’abbozzo di autobiografia pone il
suo personale termine ai ventisei anni – cioè quando decise di emigrare in
Inghilterra. Ma con la premessa: “Non siamo mai
davvero vecchi, perché non sappiamo rassegnarci a smettere d’essere giovani”.
Le età dell’uomo non sono regolari come le stagioni. La giovinezza in
definitiva varia come dice Henry James – solo sostituendo al “perché” il “se”:
“Se non sappiamo rassegnarci”. Ma il termine ha variato molto nella storia e
nelle diverse culture.
“Nietzsche
afferma che ognuno fa la filosofia caratteristica della sua età, l’età
anagrafica. Una filosofia, quindi, della maturità e una di gioventù – e
dell’infanzia? Ma l’età può non essere quella anagrafica, del numero degli
anni. Il prezioso Cerruti-Rostagno, il vocabolario dei salesiani, calcolava sei
età: infanzia fino ai sette anni, fanciullezza fino ai dodici, adolescenza fino
ai diciotto, giovinezza fino ai trenta, virilità fino ai cinquanta, e oltre,
improvvisamente, vecchiaia. La tendenza va a semplificare, con un’età di mezzo
e una terza età, il resto come se fosse fuori del tempo.
“Una
volta si era tassonomici. I venticinque anni erano richiesti per la maggiore
età in Italia fino alla prima guerra, eccetto che per fare la guerra: chi si
sposava di ventiquattro doveva esibire un paio di tutori. I turkmeni tuttora prolungherebbero l’adolescenza ai venticinque,
dopo una infanzia stiracchiata fino ai dodici, e la gioventù ai trentasette.
Possono così oziare la metà della vita, e l’altra metà godersela: la maturità è
breve, dodici anni, fino ai quarantanove. Dopodiché diventano profetici per dodici
anni, fino ai 61, ispirati fino ai 73 e saggi fino agli 85. Passati gli 85
possono morire. Anche i romani antichi avevano sette età, e se la prendevano
comoda come i turkmeni, spostando l’età attiva verso i quaranta.
“È
solo logico ribaltare il principio dell’eredità in morte o vecchiaia: dovrebbero
essere i giovani a costruire il futuro, hanno il dovere d’imporsi” (Astolfo, “La
gioia del giorno”, p. 179).
Mondo
–
È il luogo della libertà: la creazione, che per la scienza è assurda, ne
vivifica ogni sequenza, esito, miracolo. Kant l’ha detto: “La ragione vede solo
ciò che lei stessa produce secondo il suo disegno”. Bisogna dunque ragionare
molto. O non ragionare. Ma sempre “in base a dei principi”, altrimenti il mondo
non risponde, segue il suo corso “naturale”. Il modo Aristotele già l’aveva
detto, ovviamente: l’atto nasce dall’atto, la sapienza dalla sapienza, solo dal
vivente nasce il vivente. Il modo della continuità: il nuovo nasce dal vecchio,
su radici che lo condizionano.
Non ali Bacone ha messo alla scienza,
curiosa, innovatrice, ma pesi ai piedi. In altro modo però che Aristotele, il
quale, “stordito dall’inutile sottigliezza”, la natura lasciò “intatta e illibata”.
La vita e il pensiero non avvengono nella natura, né nella filosofia, ma nella
storia: la bussola, la stampa e la polvere da sparo “sono più importanti di
ogni politica, ogni destino, ogni filosofia”. Che “la verità dell’essere e la
verità del conoscere sono tutt’uno” è però nello stesso Bacone, e non c’è
rimedio: pensare bisogna ma non basta, “bisogna estendere l’intelligenza e non
chiuderla in un sistema”.
Stato
d’assedio - È l’esito dello Stato
liberale, che è al fondo anarchico, e della stessa anarchia. Dello Stato minimo
di Jefferson, di quello nullo di Thoreau (“il governo migliore è quello che non
governa affatto”). In forma incruenta ma non per questo meno dispotica e anzi
totalitaria. L’annientamento
pretendendo dell’individuo e non la sua affermazione. Con in più la convinzione, il voto di supporto.
È la modernità nel senso della contemporaneità, dell’ora e qui. Senza contesto, senza storia. Senza senso: l’obbedienza è richiesta avvertita ma muta e inefficace.
È la modernità nel senso della contemporaneità, dell’ora e qui. Senza contesto, senza storia. Senza senso: l’obbedienza è richiesta avvertita ma muta e inefficace.
Nel senso della modernità è elaborazione
di Jünger nel “Lavoratore”, da entomologo acuto del reale e sulla base della
filosofia del diritto di Carl Schmitt - la pervasività, l’immodificabilità, il
monopolio della forza (l’equivalente di quello che in Italia Mussolini chiamava
“totalitarismo”). In questo senso, di rifiuto della tecnica e della tecnocrazia,
molto elaborato poi da Heidegger, si poteva dire un concetto (rifiuto)
reazionario. Ma la pervasività, l’immodificabilità, e anche a ben vedere la
forza, sono del modo di essere contemporaneista, eventful. La critica riducendo a lustrino, o esercitazione fine a
se stessa – liberamente inutile.
Torre
– È
luogo e simbolo di un periodico ritorno a se stessi, in solitudine, ai fini del
riposo e della concentrazione. Montaigne vi si rifugiava giornalmente per
scrivere, lontano dalla famiglia e dalle
noie dell’amministrazione domestica. Pasolini da ultimo a Chia per una pausa
nei mille impegni. Von Rezzori a Donnici per ospitarvi gli amici in un luogo
che sapeva incantato. Isabella “Lilli” Chidichimo ad Albidona, dove attorno
alla torre, ora agriturismo, ha costruito un giardino fatato di ogni specie
vegetale, dopo la morte del figlio Carlo Rivolta. Ma è anche, nel rosario per esempio,
la fortezza: una manifestazione di forza più che un riparo.
zeulig@antiit.eu
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