La
consacrazione del film, della tecnica cinematografica: della potenza delle
imagini. Una sceneggiatura scontata, di inseguimenti, esplosioni, crolli, pestaggi e colpi secchi,
implausibili intermezzi erotici, lo 007 di maniera che è Craig, controfigura di
Putin, di una sola espressione, inarticolato eccetto che nei pestaggi, e le location
al solito gloriose, qui Città del Messico alla festa dei Morti, Roma, con l’inseguimento
all’ombra di san Pietro e lumgo il Tevere, Tangeri, una cupa valle austriaca, e
la Londra post-olimpiaca. Questo anzi girato al risparmio, con molti interni e
poca illuminazione. Uno 007, si può dire, essenziale: una storia
bidimensionale, di un killer di professione - non un personaggio in realtà, senza anima né cuore, specie nella personificazione Craig, che qui non finge più. Ma sono due ore di visione veloce, sorprendente. .
Il
soggetto gioca sulla fobia del Grande Orecchio, della Sorveglianza Universale -
evidentemente altrove più sentita che in Ialia, con le sue miserabili
intercettazioni. Ma lo spettatore non se ne accorge, così come non censice la non-esistenza di 007, assorbito nel moto perpetuo, nel aleidoscopio di immagini.
Sam
Mendes, Spectre
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