Ho fatto il “Vangelo”, dice Pasolini a
Gideon Bachmann, al Sud e per il Sud: “Il Sud avrebbe dovuto riconoscersi
meglio nel film, considerato il fatto che l’ho girato lì e di lì sono i
protagonisti, il popolo, i paesaggi, e la vita rappresentata. Invece i
meridionali non sono proprio andati a vederlo. Evidentemente sono meno cattolici
che al Nord”. Nient’altro, compos sui:
il Sud non porta all’autocritica, è uno specchio opaco.
Per fare un esempio di come il bisogno
privi di libertà e cultura – tesi discutibile – Pasolini sceglie parlando con
Gideon Bachmann nel 1965 la Puglia, “un esempio che conosco bene”: ”È sempre
vissuta in uno stato di estrema servilità. Non ha mai avuto libertà, è sempre
stata in uno stato di brutale necessità. E la Puglia non ha prodotto un poeta,
non ha prodotto un pittore, non ha prodotto un filosofo. Non ha dato nulla”. La
Puglia?
“Se pensate del bene, lo direte, ma
inutilmente; non vi si crederà: noi siamo mal conosciuti; e non si vuole
conoscerci meglio”. Lo dice la zarina Carlotta di Prussia, sposa di Nicola I, al
marchese de Custine in veste di inviato speciale a Pietroburgo nel 1839
(l’aneddoto è in “Lettere dalla Russia”). Il pregiudizio prevale su tutto, e
sopratutto sul giudizio.
Custine stesso ne penserà male, e
scriverà cose orrende della Russia per un migliaio di pagine - a parte il
piccolo snobismo di dirsi interpellato dalla zarina, aneddoto inventato, che
gli insegna la verità che gli fa piacere (“si è sempre giovani di cuore e d’immaginazione”), e per questo fa eccezione, meritandosi questo ogni virtù. Del dispotismo e dell’asservimento al
dispotismo – la servitù volontaria. Che però in Russia c’è – c’era.
L’associazione
mafiosa
Succede nel giornalismo di non occuparsi
mai di alcune cose. Succedeva fino a qualche tempo fa: chi faceva cronaca
giudiziaria non si occupava mai di politica estera, ci vogliono le lingue, e
viceversa, lo specialista di politica estera non si occupava di giudiziaria.
Felicemente, bisogna dire – la giudiziaria è un trojajo. Ma quando capita, si
ricorda meglio.
Una sola volta così è capitato d
dover fare la giudiziaria in senso proprio. Un po’ per sostituzione estiva – d’agosto
i giornali sono sguarniti – e un po’ per
tribalismo, consumandosi il fatto in Calabria. Nella
sessione feriale del il giudice Francesco Colicchia decretò che in tutta Italia
si registrassero tutti i versamenti o i ritiri in biglietti da centomila.
Irriso unanimemente, il giudice Colicchia si difese on semplicità: “Si
sta per effettuare il pagamento di un riscatto e devo poter arrivare ai
rapitori”.
Era a parlarci di spirito vivacissimo, il dottor
Colicchia, e coraggioso. Nel gennaio 1978 aveva fatto condannare una ventina di
‘ndranghetisti teorizzando il delitto di associazione mafiosa, che trovava
molti ostacoli al riconoscimento giuridico. Anche i collaboratori di Colicchia
nell’indagine, il colonnello dei Carabinieri Morelli e il sostituto Procuratore
Guido Papalia chiedevano la nuova specie di reato. Il comando dei Carabinieri
disponeva di un voluminoso organigramma di tutti i gruppi mafiosi della
provincia, costruito con le informazioni bancarie e il casellario penale della
Francia, dell’Australia e del Canada – allora le banche erano impenetrabili in
Italia, e non c’era un casellario unificato dei carichi pendenti.
L’associazione mafiosa fu introdotta poi nel
1982, con la legge La Torre-Rognoni, ed è costata la vita al suo proponente, il
deputato siciliano del Pci. Il colonnello comandante di Reggio Calabria, cui fu
bloccato il passaggio a generale, preferì lasciare l’Arma e entrare nel
privato. Il sostituto Papalia, inviso a Reggio, dovette cercarsi un’altra sede,
e si è poi illustrato a capo della Procura d Verona. Il giudice Colicchia
morirà qualche anno dopo. Dicono di crepacuore. Una cosca di Seminara, il suo
paese, sotto processo per un rapimento di persona, ottenne il trasferimento del
giudizio da Palmi a Reggio, e Colicchia, cui toccò di giudicare il caso, li
assolse. Poi morì.
Calabria
Piovono in poche ore 60 cm. di pioggia
tra Gioiosa Marina e Gioia Tauro, sui due versanti, Jonio e Tirreno, con venti a
80 km\h., facendo straripare i torrenti. Molte devastazioni, c’è anche qualche morto.
Il “Corriere della sera” ne tratta con una pagina deprecatoria di un inviato, in
un villaggio turistico che non gli è simpatico, che dice costruito in una zona
(forse) a rischio, a 200 km. di distanza. Sempre in Calabria, però: la colpa è
regionale, inestinguibile. Per le vacanze mal riuscite?
Nomini la Calabria, si accende una luce,
sempre la stessa.
Mezza alluvione tra Gioia Tauro e Locri.
Campagne allagate, strade e ferrovie interrotte. C’è stato anche un morto. Poi due.
E niente, nemmeno un’immagine, né nei giornali né nei telegiornali. La Calabria
è in punizione? Non fa notizia – cioè: non gliene frega nulla a nessuno.
Mattia Preti a Roma e altrove. Portato
da Vittorio Sgarbi. Anche per l’attribuzionismo, perché no, che trova nel Seicento
una miniera. Ma il “cavalier calabrese” è di poco interesse in Calabria.
Antonio Leone, curatore della mostra di
Preti alla Galleria Corsini a Roma, ne tenta una biografia, e dice che a 17
“fuggì da luogo nativo”, Taverna. Perché doveva “fuggire”? Tra l’altro per
raggiungere il fratello maggiore Gregorio, che era a Roma apprezzato pittore.
Perché dal luogo nativo si fugge.
È la regione che ha più avvocati per
mille abitanti, 6,8.
Dei cinquanta “migliori vini” non uno
viene dalla Calabria I cui vini erano apprezzati
unanimemente dai viaggiatori nel Sette e Ottocento. Anche nei primi del
Novecento. È da lì che è cominciato il regresso?
C’è un senso tattile della decadenza
della provincia di Reggio Calabria, una volta la più ricca della regione, e una
delle più ricche in assoluto subito dopo la guerra – quando più del reddito
contava la disponibilità di cibo. Le strade abbandonate, l’aeroporto
semichiuso, rifiuti dappertutto, non raccolti da decenni. Ma più c’è un senso “certificato”:
la piana di Gioia Gauro, che ha l’ulivicultura a maggiore intensità mondiale,
non ha un olio dop. La carta dei vini Michelin si ferma implacabile a Vibo e
Catanzaro: il greco di Bianco, lo zibibbo di Bagnara, il cerasuolo di Palmi,
scomparsi. Scomparsi anche gli agrumi, a coltivazione già intensiva nella piana
di Gioia con centro a Rosarno, e nei dintorni di Reggio con specialità a fruttificazione
anticipata e posticipata – qui in favore di costruzioni polverose interminate.
Taranto, distrutta dai Goti, si
ricostituisce in piccole dimensioni con
profughi calabresi – G. Berto, “Il mare dove nascono i miti”, 97. Profughi
dagli stessi Goti.
leuzzi@antiit.eu
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