“Capii che per noi non c’è solitudine
se nello stesso momento la persona amata, sia pure in un luogo dove non
possiamo raggiungerla, è anch’essa sola”. Benjamin è sempre coinvolgente, ma
qui ancora di più, perché è lui stesso coinvolto. In un amore impossibile, incapricciato
di una donna “impossibile da amare”, quale la dirà la figlia nelle memorie,
Dagmara Kimele - madre a sua volta di un’altra regista teatrale ora celebre, Māra Ķimele.
Incontrata a Capri nel 1924, Asja Lacis, la donna per la
quale Benjamin va a Mosca, era una bolscevica pura e dura – Capri conserva
molte memorie di comunisti russi, anche Sorrento - e teatrante innovativa e di
successo, in Russia, in Lettonia e in Germania. Farà il carcere duro nelle “purghe”,
e quindici anni di cofino in Kazakistan, dal 1939 al 1954, ma non defletterà. Anzi, tornerà a dirigere un
teatro in Lettonia, scontate le angherie, con immutata fede. Anche in amore, con l’amante e marito di sempre, Bernhard Reich, austriaco, commediografo.
Non il carattere più indicato per il mansueto Benjamin, oltre
che sua maggiore di un anno e più amori. Ma quella che lo introdusse al suo
confuso marxismo, con sgomento dell’amico di una vita Gershom Scholem, che lo
ricorda nella presentazione. Di uno che conosceva poco e male Marx, e per
niente Lenin, e per formazione era alieno dai catechismi e dalle fedi.
Lui stesso ne è conscio, che
valuta in questo “Diario” l’adesione al comunismo in termini di opportunità,
ora e qui – in Russia, in Germania. Nelle lettere che accompagnavano il diario,
a Martin Buber e altri, il giudizio è ancora più esplicitamente sospeso.
Il “Diario” è degli anni 1923-1927, in cui Benjamin si
era scoperto narratore, e usa qui il metodo sperimentato di dire ciò che vede.
Quindi negozi, persone, luoghi (piazze, strade, la metropolitana moscovita, il
mausoleo di Lenin), giocattoli. Ma lo spirito non c’è, o allora è riservato.
Incontra celebrità letterarie che non capisce, non sapendo il russo,
Mejerhold, Majakovskij, Andrey Belyi, e quelli che capisce dicono
sciocchezze – un accademico gli colloca Shakespeare prima di Gutenerg. Non un grande diario di
viaggio.
Il racconto è lungo, ma copre poche settimane, dal 6 dicembre
1926 a fine gennaio 1927. E poco o niente di Asja, l’unico grande amore: la
confusione è anche affettiva. Scholem stesso ne è spiazzato: “Una spiacevole e deprimente sorpresa” è la
donna del suo amico, tra continue liti. Senza nessun rilievo, deve lamentare,
dello spessore culturale della donna. Che lo sfruttava, forse, ma non lo
illudeva – giusto qualche bacio è registrato, strappato. Benjamin passava le
giornate con Reich, suo interprete, cicerone e accorto guardiano.
Ma, poi, Asja c’è, in negativo. Benjamin stesso ne
registra “durezze e disamore”. E sa che lei vuole da lui più che altro regali e
denaro, per mettere su un appartamento a Riga. Quando Asja lavorerà a Berlino
nel 1929-1930, ospite dell’ambasciata sovietica, due mesi li passerà con
Benjamin. Ma se ne conoscono solo le liti. E tuttavia Bejamin era andato a
Mosca sparato a proporle il matrimonio, con lo scandenzario per un figlio. Un
racconto retrospettivamente tenero, di debolezze.
Si
ristampa Benjamin, fuori diritti, ormai nelle pieghe, nei fogli del cestino, ma
non si ristampa questo “Diario” che più e meglio lo ritrae (in italiano è
disponibile solo nelle Opere complete, al vol. 2). L’edizione americana, che riprende
quella dello speciale n. 35 della rivista “October” (inverno 1985) dell’Mit
Press, è arricchita di foto della Russia di allora e di ora. Una parte del “Diario”
è uscita in forma di corrispondenza per il periodico di Martin Buber “Die
Kreatur”, e in due o tre appunti sparsi ripresi in altre raccolte di
Benjamin (sul cinema, sul gusto dei letterati per i gruppuscoli). Uno di questi, su un negozio di giocattoli, pubblicato con alcune foto
su un radiocorriere tedesco, è riprodotto in appendice nell’edizione americana .
Walter
Benjamin, Diario moscovita
Moscow Diary, Harvard
University Press, pp. 165, ill. $ 25
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