Come
che vada, un cattivo risultato, esito degli ultimi cinque anni di Erdogan; il
politico che prometteva un islam a carattere europeo, con liberi partiti,
libere elezioni e una legislazione civile paritaria, lo ha rivoltato in
islamismo intransigente, se non fondamentalista. Che vuole tutto. Simboleggiato
dalle donne velate dalla testa ai piedi, come in Arabia Saudita, il più chiuso
e cupo dei paesi islamici, eccetto che per la fessura agli occhi.
La
sua stravittoria non risolve e anzi complica. Sarà contestata, probabilmente a
buon diritto. Certo è che viene al culmine di un’elezione forzata, da tutti i
punti di vista. La tempistica. Gli attentati non perseguiti – in Turchia è
quasi impossibile, la polizia è dappertutto, in chiaro e al coperto. Le
centinaia di morti contro le forze di polizia. I raid contro i giornali,. Non è
un colpo di Stato perché Erdogan non ha (schierato) l’esercito, ma per il resto
c’è tutto.
La
Turchia ha una posizione chiave nel Medio Oriente e nel contenimento della
Russia, e quindi ogni cosa le viene perdonato dal cosiddetto Occidente, dagli
Usa e quindi dall’Europa. Ma sulla china che le ha impresso Erdogan sarà presto
un avamposto non affidabile.
Il
paese è – era finora – europeizzato. La metà della popolazione lo è: quella
costiera, di Istanbul, Smirne e Bursa, la “Milano” operosa, giù fino alla
frontiera con la Siria, e la minoranza curda. La zona anatolica è anch’essa
molto aperta. Su tutto il paese, comprese le zone chiuse interne, influisce
anche l’emigrazione in Germania e nel Centro Europa, che è recente e resta radicata.
Il ritorno a un islam tradizionalista, nella giurisdizione, la simbologia, l’articolazione
politica, è solo una manovra acchiappavoti. Spregiudicata anche. Che può
perdere la Turchia.
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