Ricorda
Riccardo Perissich, ex Istituto Affari Internazionali, ex direttore generale a
Bruxelles, membro del gruppo Notre Europe del socialista Delors, a Sergio
Romano sul “Corriere della sera” la figura di Helmut Schmidt, il cancelliere
tedesco morto l’altra settimana. Un antitaliano diventato poi italianizzante.
Legandolo a due altri grandi cancellieri socialisti, Willy Brandt e Gerhard Schröder.
E ai tre grandi cancellieri cristiano-democratici, Angela Merkel, Helmut Kohl e
Konrad Adenauer. Chiudendo con questo interrogativo: “Mi domando cosa ci sia
nella politica tedesca che permette una simile produzione di giganti”.
Il
raffronto sottinteso è non con la Francia o gli Usa, o la Gran Bretagna,
nemmeno con la Spagna, che tutti hanno avuto nel dopoguerra governanti
d’eccezione, ma con l’Italia. Che può schierare De Gasperi, e poco altro –
Fanfani? Moro? Andreotti? Forse Craxi, ma è discusso. Romano Prodi qualche anno
fa riduceva a due soli eventi la grande politica italiana nella Repubblica,
l’entrata nella Nato e la fondazione della Comunità Europea. Nient’altro.
La
differenza con la Germania non è evidentemente di personalità - Andreotti
guarderebbe dall’alto in basso Kohl, e Merkel, e non stimava Schmidt, che pure
lo aveva salvato con un prestito. La differenza, enorme, la fa la costituzione.
La Germania usciva come l’Italia da un regime dittatoriale e anzi totalitario.
Ma non ha per questo punito la funzione di governo. Il cancellierato ha invece
voluto forte, inabissabile se non con elezioni. E un Parlamento omogeneo, protetto
dai partiti totalitari, il comunista e il neonazista, con lo sbarramento al 5
per cento. Una cattiva costituzione,
malgrado la retorica, ha invece voluto in Italia un governo inesistente, e un
Parlamento ingovernabile, tra gruppi, gruppetti, scissioni, transfughi. La
democrazia risolvendo nell’inevitabile mercato delle vacche, buona per la corruzione.
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