Nanni Moretti
leonardesco, pittore della “cosa mentale”, e non polemico, politico, comico - come
l’immagine del suo personaggio vorrebbe - Stéphane Delorme ritrova a Roma per
il numero di novembre della sua rivista. L’occasione è l’uscita di “Mia madre”
nelle sale francesi a dicembre, ultima novità della stagione. L’appuntamento romano coincide con il suicidio di Chantal Akermann, cineasta belga poco
conosciuta in Italia anche se ha fatto una quarantina di film (era a Venezia ma alla Biennale, con una installazione), coetanea di Moretti, anch’essa autrice recente di un film
sulla morte della madre, “No home movie”, ancora in uscita, e di un libro, “Ma
mère rit”. Il numero su Moretti diventa così
un bilancio generazionale, dei sessantenni. Che Delorme sintetizza, nella
presentazione e nella lunga intevista con Moretti (coadiuvato da Emiliano
Morreale, il critico dell’“Espresso”, che è anche direttore della Cinemateca
Nazionale e con Moretti ha diretto il festival di Torino), come “sentimentale”. Proprio così: “Moretti è uno inquieto, un
intranqullo”.
È anzitutto un irrequieto, “è sempre stato un marciatore”. Un po’ in tutti i film, di più in “Sogni d’oro”, “La messa finita”, “Palombella rossa”: “Cammina parlando, gesticolando, vociferando. È un marciatore d’appartamento”. Ma, forse, più che un marciatore, bisognerebbe dirlo un film maker d’appartamento: di una rete e un orizzonte personali, intimi. E in questo senso lo è anche negli ultimi film, dove invece Delorme lo trova statico, e specie in “Mia madre”. Ma, poi, anche qui ha accanto in forma di alter ego femminile il personaggio-regista che è lui stesso, agitato, pieno di sé, in forma problematica, certo, pieno dei suoi problemi, e “inadeguato” – per quanto, un narciso inadeguato è probabilmente una primizia, e perciò “adeguato”.
È anzitutto un irrequieto, “è sempre stato un marciatore”. Un po’ in tutti i film, di più in “Sogni d’oro”, “La messa finita”, “Palombella rossa”: “Cammina parlando, gesticolando, vociferando. È un marciatore d’appartamento”. Ma, forse, più che un marciatore, bisognerebbe dirlo un film maker d’appartamento: di una rete e un orizzonte personali, intimi. E in questo senso lo è anche negli ultimi film, dove invece Delorme lo trova statico, e specie in “Mia madre”. Ma, poi, anche qui ha accanto in forma di alter ego femminile il personaggio-regista che è lui stesso, agitato, pieno di sé, in forma problematica, certo, pieno dei suoi problemi, e “inadeguato” – per quanto, un narciso inadeguato è probabilmente una primizia, e perciò “adeguato”.
È il secondo
numero che l’ex bibbia del Nuovo Cinema francese, anni 1960-1970, dedica a
Moretti, dopo quello del 1998 per l’uscita in Francia di “Aprile”, e lo trova
molto cambiato. Con “La stanza del figlio”, “Habemus Papam”, e ora “Mia madre”.
Parlando di sé, del suo lavoro, e del ruolo di Margherita Buy in “Mia madre”, sua
alter ego, Moretti fa più volte riferimento a una “inadeguatezza”.
Come incapacità a “stare in pace con se stessi”. Per un’irrequietezza di fondo. Forse anche, opina, per la mancanza di fede – o non per l’insocievolezza?
La forte carica
sentimentale che la rivista sottolinea in “Mia madre” e nei due-tre film precedenti,
Delorme trova appunto elaborata da Moretti nella “cosa mentale”. Tra
il sogno sempre della cosa, e l’agitazione infantile costante, il bisogno del persoanggio
di muoversi e quasi correre. Con una recitazione che si vuole sempre “a lato”
del personaggio, al modo brechtiano dell’estraniamento.
“Cahiers du
cinéma”, Nanni Moretti à Rome, p. 98
€ 5,90
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