È arduo
concepire quella all’Is come una guerra. In Medio Oriente – Siria e Iraq – e ovunque
il suo terrorismo, o quello di formazioni analoghe, imperversa, in Africa in Libia
e nella fascia sub sahariana, dalla Somalia alla Nigeria. Molti parlano di
guerra in atto, il papa, Hollande, Putin, ma si comportano come se non. Come se
parlassero di guerra per esorcizzarla più che per farla.
Si
fanno molti arresti in Europa, e raid aerei in Siria. Ma come manifestazione di
rabbia, o con intento intimidatorio. Una guerra vuole essere programmata, organizzata,
e incessante, non lo sfogo di una rabbia, per quanto collerica e rumorosa.
L’organizzazione
di una guerra non c’è. Non ci sono piani, non c’è un coordinamento. Nemmeno un
progetto, un disegno, una proposta - il richiamo a “Brancaleone” è irriverente,
ma è nei fatti. Canone basilare dell’arte militare è di non “farsi
fare” la guerra: di non fare la guerra che il nemico vuole che noi facciamo. In
questo caso attraverso la paura: disordine, isterismo.
È l’esito
della debolezza. Di una leadership politica forse non all’altezza dell’evento. fatto. Ma aggiunge ai misteri dell’Is. Del mondo
appeso a un pugno di fanatici, per di più isolati nei grandi spazi desertici
mediorientali.
Nessun commento:
Posta un commento