A lungo teorizzata e praticata come arma rivoluzionaria, la
guerriglia dilaga ora come peste, in forma di terrorismo. Parigi, per quanto
drammatica, dopo i drammaticissimi grattacieli di Manhattan, è solo una punta,
di una montagna molto più vasta.
Non
sono molti, sembra dire l’Iep, cioè dobbiamo aspettarcene molti di più – per ogni
vittima del terrorismo, calcola l’istituto, quaranta persone muoiono nel mondo per
incidenti stradali e ottanta per alcolismo. Ma i morti per terrorismo sono
concentrati in cinque paesi: Afghanistan, Iraq, Nigeria, Pakistan e Siria. In
cima alla lista viene l’Iraq, con circa 10 mila morti – dodici anni dopo
l’invasione pacificatrice americana. Al secondo posto la Nigeria, con oltre
7.500.
Le vittime nell’Occidente
sono numericamente irrilevanti, rispetto ai dati globali. Trentasette vittime
sono censite nel 2014, lo 0,11 per cento. Nei quindici anni dal 2000 ci sono
stati 3.659 morti di terrorismo, il 2,6 per cento della cifra globale mondiale.
La maggior parte delle vittime sono quelle dell’11 settembre 2001, del treno a
Madrid nel 2004, della metropolitana a Londra nel 2015, e del killer fascista
in Norvegia.
Dai
dati si rileva che il terrorismo di massa si collega soprattutto alle guerre
civili, alla disintegrazione degli Stati, agli sfollamenti, interni e esterni.
In termini numerici, quantitativi. Quanto alle cause, sono quelle note: guerre
politiche, tribali, religiose. Quasi tutti i morti per terrorismo sono a opera
e all’interno di popolazioni islamiche, gli altri per rivolte collegate
all’islam.
Gli
attacchi sono fatti quasi tutti con armi da tiro e da taglio, e kamikaze: si muore in vista.
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