Una
ricostruzione di come la “questione meridionale” è nata, alla metà degli anni
1870, si è sviluppata, ed è stata ricostituita nel fascismo e in questo
dopoguerra. A opera di politici, economisti, storici anche, e sociologi. Il
sottotitolo è “Come liberare la storia del Mezzogiorno dagli stereotipi”: Lupo,
come storico e come meridionale, si sente impaniato in una falsa questione. Ma lo
stereotipo è la questione stessa: la storiografia si può – si sarebbe già dovuta subito – liberare, la cosa no.
La questione è
un fatto di pregiudizio più che di analisi. Le “due economie” non sono divise,
anzi l’una è funzionale all’altra, non può essere altrimenti, e altrettanto a
questo punto l’unità. E tuttavia la questione è più viva che mai: l’altro ieri sulla
povertà, ieri sul leghsimo, oggi sulla criminalità, domani chissà, argomenti non
mancheranno al bisogno.
La “questione meridionale”
vera e propia è solo una diversità di accumulazione primaria, di capitali, mercati
e conoscenze. Che l’unità purtroppo ha aggravato, con leggi d’imperio subito, e
poi con una spesa sperequata. Soprattutto nell’istruzione, ma anche nelle infrastrutture
materiali, malgrado il fantoccio Cassa del Mezzogiorno, una specie di punching ball dello sdegno nazionale. La
società è la stessa, negli assetti, la cultura, la mentalità anche e le logiche
familiari, malgrado su questo terreno il pregiudizio ami esercitarsi di più, l’imprenditorialità,
i consumi, le abitudini alimentari, demografiche, le logiche politiche, e più
in generale la sfera pubblica.
Salvatore Lupo,
La questione, Donzelli, pp. 200 € 19
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