America – È cinema, si
sa, la mitografia del Novecento – con annessa, ora, Silicon Valley. Ma non
perché i miti li sa vendere, bensì perché li sa creare, per la famosa innocenza
– l’innocenza libera, la colpa assoggetta. Come Omero, fabbrica anonimi,
produttori, registi, attori, truccatori, poco lirici ma possenti. Ed è
cinematografica per una sua speciale costituzione materiale. O questa è
l’effetto della mitolessia: per l’onestà del diritto, la giustizia.
Romano è l’impero
americano anche per essere fortemente allogeno, un vasto popolo di meteci
attorno a un nucleo dominante. Per i molti una promessa e una speranza, malgrado
la durezza. Da ammirare, l’America ha il destino che si è costruito - se sono
solitamente i migliori, i migranti sono anche i peggiori, E da temere, è uno
scacciasassi. Romano non era latino, nome di una razza o tribù, ma un premio,
il riconoscimento di un privilegio. L’imperium
romanum non era militare né
dittatoriale, neppure giuridico a guardarci bene, le leggi erano molteplici, ma
un comune sentire e un modo di vita. È riconoscersi nella causa dei soggetti,
darne l’impressione. Un imperialismo che accomuna e non esclude i sudditi. Roma
fu repubblicana anche nell’impero: c’era a Roma una nobilitas plebea, pare a pieno titolo del gruppo dirigente:
famiglie plebee sedevano in Senato e figuravano tra i cavalieri. Così in
America, c’è povertà e anzi indigenza, più che in paesi meno ricchi come
l’Italia, ma non c’è l’invidia sociale. Il sogno americano del Number One è
ridicolo, ma la legge dà a ognuno la dignità, il senso della legge che è forte
anche tra i criminali.
Contro-giustizia – Nasce mezzo
secolo fa come esercizio sovversivo per una migliore giustizia, democratica.
Contro i santuari del potere: è “poter esercitare, nei confronti di qualcuno
che sfugge di solito alla giustizia, un atto giudiziario”, per Foucault in un testo
che si legge in “Microfisica del potere”, la raccolta di interventi
politici curata nel 1977 da Alessandro Fontana e Pasquale Pasquino.
Lo stesso Foucault, però, la trova contemporaneamente
contraddittoria: “Nei confronti della giustizia, la lotta può prendere diverse
forme. Innanzitutto, la si può attaccare attraverso le sue stesse regole.
Evidentemente non è un atto di giustizia popolare, è un tranello teso alla
giustizia borghese. In secondo luogo, si possono compiere degli atti di
guerriglia contro il potere della giustizia e impedirgli di esercitarsi. Per
esempio, sfuggire alla polizia, schermire un tribunale, andare a chiedere i conti
a un giudice. Tutto questo è guerriglia antigiudiziaria, ma non è ancora
contro-giustizia”.
Foucault presuppone la “lotta” contro la “giustizia
borghese”.Ma poi rileva che, nel suo esercizio, la contro-giustizia diventa
sovversiva, quindi contraria alla giustizia. E non può essere altrimenti: “Quando
si esercita un potere bisogna che il modo in cui lo si esercita – e che deve
essere visibile, solenne, simbolico – non rinvii che al potere che si sta
effettivamente esercitando, e non ad altro potere che non è realmente
esercitato in quel momento”.
Il dilemma è stato sciolto dalla giustizia di “Mani
Pulite”, da Di Pietro a Ingroia, facendo della giustizia il contropotere e
insieme il potere, nell’irrealtà (abolizione) della giustizia stessa, dell’insieme
di norme e procedure su cui si vuole regolata. Ma questa è, con pochi, minuti,
aggiustamenti, la “giustizia” su cui Manzoni ha costruito i “Promessi Sposi”: “La
forza legale non proteggeva in alcun conto l’uomo tranquillo, inoffensivo, e
che non avesse altri mezzi di far punire altrui. Non già che mancassero violenze
e pene contro le violenze private. Le leggi anzi diluviavano; i delitti erano
enumerati, e particolareggiati, con minuta prolissità….”. Con effetti protervi.
Contro l’individuo: “(Le leggi) potevano ben esse inceppare a ogni passo, e
molestare l’uomo bonario, che fosse senza forza propria e senza protezione;
perché, col fine d’aver sotto la mano ogni uomo, per prevenire o per punire
ogni delitto, assoggettavano ogni mossa del privato al volere arbitrario d’esecutori
d’ogni genere”. E contro la società: “L’uomo che vuole offendere, o che teme,
ogni momento, d’essere offeso, cerca naturalmente alleati e compagni”. Si rafforzano
i gruppi, si creano cordate – Manzoni cita il clero, la nobiltà, i militari, i
mercanti, gli artigiani, i giurisperiti, i medici: “Ognuna di queste piccole
oligarchie aveva una sua forza speciale e propria; in ognuna l’individuo trovava
il vantaggio d’impiegare per sé, a proporzione della sua autorità e della sua
destrezza, le forze riunite di molti: i più onesti si valevano di questo
vantaggio a difesa soltanto; gli astuti e i facinorosi ne approfittavano, per
condurre a termine ribalderie..”.
È parte, è stata, dell’idea dei contropoteri,
attorno alla controinformazione, o informazione libera Una entri sociali.
Poesia
–
È veicolo del divino per sant’Agostino, del religioso. L’introspezione, la
ricerca di sé, la coscienza come creazione e insieme manifestazione del divino.
Come nella concezione oraziana, del poeta che non può essere un mediocre. Ma
di più, in una concezione della divinità che è ricerca e non Olimpo di dati. Tensione
cioè costante e mai finita, come l’eterno, l’infinito.
Verità
–
Non “al di fuori del potere” la voleva Foucault. Non “al di fuori”, in realtà: del
soggetto, del contesto, della storia.
È uno strumento più che un fine. Dice meglio
Foucault nel prosieguo: “La verità è di questo mondo; essa vi è prodotta grazie
a molteplici costrizioni…. Ogni società ha il suo regime di verità, la sua «politica
generale» della verità”.
Viaggio – “L’andare e il tornare l’ha creato dio”,
è proverbio calabrese.
È interno allo stesso modo che esterno –
è esterno per essere interno. “Parto per ritornare” sarebbe - sarebbe stato - il
saluto giapponese del partente, secondo Lévi-Strauss, come se il viaggio fosse
stato una costrizione, un adempimento doloroso.
È nel tempo anche o più che nello
spazio, come dice Benjamin: “Lo stimolo epidermico, l’esotico, il pittoresco
prendono solo lo straniero”, mentre il nativo “si sposta nel tempo invece che
nello spazio” (il suo “libro di viaggi… avrà sempre affinità col libro di
memorie”). O Lévi-Strauss: “Un viaggio si inserisce simultaneamente nello spazio,
nel tempo e nella gerarchia sociale” - come sa la letteratura dell’ebreo
errante.
zeulig@antiit.eu
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