Altro – È parte dell’io, sul principio “il
medesimo genera sempre l’altro”. Che è la radice della creazione, con un filo fino
al Creatore, come principio attivo se non gerarchico-divino. E della
sudditanza: il riconoscimento della superiorità, riconoscersi in un altro come
migliore e superiore – i “bianchi” erano attesi nelle Americhe, e ovunque
favoriti. Non c’è un io senza l’altro, non ha senso.
Analogia
–
È una forma del pensiero, ma più creativo (inventivo) o più ricostruttivo? È un
riconoscere (suggerire) o è un buttare la mente oltre l’ostacolo? Lo
strutturalismo ne ha fatto uso e abuso, anche di analogie superficiali, e a
preferenza anzi di quelle strane e inverosimili. E tuttavia c’è nell’analogia
sempre un fondo di verità, anche nei semplici giochi di parole, nelle cadenze,
le assonanze, le rime e rimette. Assomma in realtà il repertorio retorico oltre
che logico, per gli echi e i richiami che evoca di somiglianza, contiguità, equivalenza,
inversione, attraverso metonimie, metafore, sillepsi. Gli “echi lunghi” di
Baudelaire, comprese le coincidenze, le corrispondenze.
Più è vaga e evocatrice più è “giusta”.
All’analogia incatenata dell’analisi strutturale, che la usa
“scientificamente”, si devono in effetti molte balordaggini. Si rilegga
Lévi-Strauss, il più di buon senso tra gli strutturalisti, “La vasaia gelosa”,
sui nani senza-Ano e l’argilla, o la stessa “Storia di Lince”, pure indiscussa.
Contemporaneo
–
La coscienza del contemporaneo richiede una misura diversa, inevitabilmente
retro. Si può vedere il contemporaneo anche in prospettiva – o si può solo
vederlo solo in prospettiva – ma su un sfondo già delineato, noto.
Dante
–
È, con Shakespeare, la prova della fallibilità (insussistenza) del paradigma
indiziario. Una volta stabilito che Dante è eretico, averroista, cataro, gay, islamico,
islamofobo, etc., tutto concorre a
questa identificazione – cioè non è difficile costruirci sopra un paradigma
indiziario.
Errore
–
Camus rivendicava un “diritto all’errore”. È il metodo migliore (più verace)
della ricerca scientifica per Popper, “per prove ed errori”. Ma è nella
pratica, delle tecniche più semplici, nella vita di tutti: si procede per
accostamenti-avanzamenti progressivi – nell’arte militare per “forchette”, un
colpo lungo e uno breve..
Evoluzionismo – È selettivo.
Ineguale, ingiusto. “Il più adatto” non è criterio nemmeno razionale: può
essere il più violento, inquinante, velenoso.
Anche senza gli eccessi del secondo
Ottocento-primo Novecento, dei fervori ciechi della nova dottrina, per cui non
solo la natura, anche le istituzioni e gli usi erano unilineari – il colonialismo
vi aveva fondamento, la missione civilizzatrice, Herbert Spencer per il
darwinismo sociale, l’eugenetica. Lo è fondamentalmente, anche quando è
caritatevole e pieno di buone intenzioni.
Heidegger
–
Il primo dei “Quaderni neri” è uscito in italiano, per la cura di Alessandra
Iadicicco, già un mese fa. È la prima traduzione. Quella francese e quella inglese
sono previste fra sei-settee mesi. È diminuito l’interesse per Heidegger,
eccetto che in Italia? Ma forse – bisognerà leggerli, questi “Quaderni”, per la
parte incriminata - Heidegger non era antisemita. Nazista, e per questo
antisemita, ma non di sentimenti personali. L’ultima riflessione sulla sua
opera, malgrado lo scandalo già avvenuto, di Richard Wolin, “Heidegger’s
Children”, i figli di Heidegger, è un riesame di quattro filosofi ebrei,
Arendt, Löwith, Jonas e Marcuse. Con i quali il rapporto fu anche personale, oltre che didattico.
Masterchef – La gola è il
vecchio vizio capitale che più fa spettacolo da alcuni anni, in tv, e fuori,
nei giornali, al ristorante, nella cucina domestica. Ha obliterato nello
spettacolo e la pubblicistica il vizio a lungo imperante, due secoli di
letteratura: la lussuria. A meno che non ne sia un surrogato. Lévi-Strauss,
“Siamo tutti cannibali”, 71, la vuole intercambiabile proprio con la lussuria:”Le lingue del mondo ( compresa la nostra, sia
pure in modo metaforico) usano le stesse parole per mangiare e copulare”. Il
Devoto e gli altri etimologisti non sono dello stesso parere, però non è detto.
Mito
–
È la rappresentazione del soprannaturale dei popoli senza scrittura. Ma
potrebbe anche essere “un’espressione sistematica e mai inutile delle risorse
dell’immaginazione”, come opina Lévi-Strauss, il mitologista più grande. Questo
è il mito come narrazione, del senso corrente della parola. Di fatto è un desiderio
(wishful thinking): paura\piacere.
Moralismo
–
Del Noce lo dice “lo stadio primo, irriflesso e volgare , della coscienza
politica” – è la quotidianeità, il senso comune, si avverte e si vive anche a
non leggere il giornale. Del Noce ci arriva “studiando il totalitarismo”. Ma
questa “mentalità semplificatrice”, del colpevole\non colpevole che fonda il
moralismo, “riferire gli avvenimenti tragici della vita alla violenza malvagia
di particolari individui”, è anche la prassi inveterata del capro espiatorio.
Ed è una ideologia, in genere arma dei più corrotti - nell’animo e la figura
politica cioè più che nei soldi..
Narciso – È nemico dell’amore,
nel mito. Ma non è, invece, una condizione dell’amore? L’amante che si annulla,
annulla l’amore. L’amore vuole alterità, altrimenti è carità, compassione. Se
si cerca se stessi nell’Altro, si vuole un Altro “altro”.
Nella storia di Eco e Narciso l’amore
finisce (non nasce) perché lei ripete lui. Nel mito di Narciso, questi scambia
la sua immagine nell’acqua per quella di un'altra persona e per questo se ne
innamora, non perché si vede bello. Quando si accorge che è invece se stesso,
ne muore. Anche l’incesto, l’interdizione dell’incesto, si (può) legge(re) in
questa chiave – l’interdizione risalendo al tempo in cui la copula era
funzionale alla procreazione.
Sette
–
È numero primo privilegiato dalla Bibbia, nonché dall’“Apocalisse”, la Cabala e
la Massoneria, ma anche da Auguste Comte, il re dei positivisti. È la base
della sua “Synthèse subjective”, il finale “poema dell’Umanità” in ottocento
pagine. Il poema Comte lasciò suddiviso in sette capitoli. Ogni capitolo si
compone di tre parti, ognuna delle quali è però suddivisa in sette sezioni. Formate
a loro volta ognuna da sette gruppi di frasi.
Sogno
–
È la “cosa mentale” più delle pittura di Leonardo. Il sogno in senso proprio e
la trasognatezza – l’invelatura del reale, la “cosa” avvolta nell’indistinto.
La cosa è sempre un sogno della cosa, un’approssimazione, una conventio ad
excludendum. Primariamente una convenzione, nel linguaggio e la definizione, la
forma linguistica “più” appropriata.
Tempo – Il tempo
utile, come misura del lavoro\sostentamento, si riduce molto nel progresso, nell’organizzazione
moderna – attiva, partecipata, febbrile – della società. Al tempo dell’uomo raccoglitore-cacciatore,
uno bastava per sfamare cinque-sei persone, senza faticare: doveva lavorare non
più di due-tre ore al girono, per una produzione alimentare equilibrata e anzi
in eccesso sul fabbisogno, di duemila calorie a persona, inclusi nella media i
bambini e gli anziani. Aggiungendo una-due ore per la cottura degli alimenti e la
fabbricazione-riparazione degli oggetti d’uso, il tempo obbligato non superava
le cinque ore al giorno. La paleoantropologia calcola che il
raccoglitore-cacciatore, quello del gruppo che lavorava, era occupato per due
giorni e mezzo a settimana, e il rest del tempo lo passava nell’inerzia, lo
svago, la socialità, il verbalismo, la pratica religiosa.
Lo spazio e il tempo sono forme della
nostra sensibilità, ha stabilito Kant – e Einstein l’ha “provato”. Ciò è meno
vero col Big Bang, se c’è stato un inizio: Ma è vero, c’era più tempo quando i
bisogni – in realtà consumi – erano ridotti. E l’habitat era sparso, invece
delle agglomerazioni urbane oggi privilegiate, tanto più grandi tanto meglio.
Il tempo libero nostro è di fatto senza tempo – è un’altra occupazione.
C’era anche più spazio, oltre che più
tempo, quando non c’era la mobilità, se non ridottissima, e non si pregiava la
velocità.
zeulig@antiit.eu
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