“Il
Medio Oriente, la Francia, l’Inghilterra… Sì, era tutto ben architettato…
Sfortunatamente per lui nel 1925 nessuno volle la guera. Tutto filava
liscio…C’era denaro per tutti”. La guerra per cui si era preparato, ammassando
petrolio,carbone, acciaio. I corsi delle materie prime erano crollati, il
grande affare aveva lasciato il grande speculatore solo con le sue manie. Inizia
da qui il ritratto dettagliato di una dissoluzione, familiare, personale,
nell’arco di tre generazioni.
Una
sola inquadratura – anche in senso tecnico: Némirovsky aveva cominciato a
lavorare per il cine. Una lunga insistita carrellata, un interno familiare:
lei, lui, il vecchio padre, il figlio, la vecchia cugina, vecchia fiamma. Con
la vita quotidiana: l’ufficio, i saldi, il cinema, la gita in macchina la
domenica, colazioni e cene muti, amori dissolti, se ce ne sono stati. Ogni
passione spenta, cattiveria compresa. Un lungo malinconico inverno, anche
quando Parigi ribolle di calore, della vita quando si arrotola su se stessa,
commiserandosi, su un piano inclinato. Per la forza della tristezza.
Dei
due filoni su cui Irène Némirovsky più si è esercitata, questo è di quello
paterno, di tanti racconti e del “David Golder”, la narrazione più riuscita -
prima della postuma “Suite francese”. L’altro filone, “Il ballo”, “Il vino
della solitudine”, è della madre aborrita. Sempre la famiglia al centro
dell’abominio-dissoluzione.
Némirovsky
è al meglio nella competenza e il tratto veloce sugli affari. Nel disagio
intimistico rovina con la sua storia, quasi per fatto personale. Della
maturità, i quarant’anni, quando i figli scoprono i padri, che malgrado tutto
non amano – mentre i padri vorrebbero essere, essere stati, unici e soli. E il
testimone che dovrebbe essere passato invece cade. Lasciando la famiglia
sguarnita, che non ha altra ragione d’essere in questa scrittrice che la
perpetuazione e la memoria.
Irène
Némirovsky, La pedina sullo scacchiere,
Editori Internazionali Riuniti, remainders, pp. 169 € 7,25
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