Nell’utopia di Auguste Comte, dell’Umanità
positiva o della Chiesa universale, 1851-1854, l’Italia veniva considerata alla
pari della Francia e prima di Germania, etc. L’Italia era rispettata come e più
di altri paesi europei prima del’unità. Prima della squalifica a opera del Nord:
del Nord Europa contro il Mediterraneo, e del Nord Italia contro il Sud Italia.
Le città
più povere – meno ricche – pagano le patrimoniali locali più pesanti: Reggio
Calabria, Napoli, Salerno, Messina, Siracusa, Catania, etc. Sono anche le città dove l’amministrazione pubblica è la peggiore,
al riesame dei servizi offerti.
Nella classifica
delle patrimoniali più pesanti si infila anche - tra Messina e Siracusa – la
capitale, Roma, ora commissariata. Inefficienza e vessazione vanno insieme.
“Si è mai sentito di un gruppo mafioso che per ottenere
risultati paga? Di una mafia che distribuisce mazzette? Sarebbe un unicum, la
prima volta in assoluto”. Corrado
Carnevale, l’ex giudice di Cassazione patito della forma, va
alla sostanza della cosa con “Panorama”. Dell’abuso di mafia
in Mafia Capitale, l’inchiesta romana: i giudici si divertono, i giornali pure,
ma la mafia? Quando tutto è mafia niente è mafia.
La poetica del brigante
“Lélio”,
parole e musica di Hector Berlioz, si apre con l’omonimo protagonista deluso da
Parigi, dalla critica, dagli amici, dalla superficialità. Meglio, dice “andarsene
nel regno di Napoli o in Calabria, a prendere servizio con qualche capo dei
Bravi, dovessi ridurmi a un semplice brigante”. Ed eccolo partito: indossa un cartucciera, una carabina, la sciabola,
le pistole, e un “cappello da brigante romano”, ma è in Calabria che si trasporta.
Alla scena III è già brigante, all’ordine di un Capitano che dialogi così col coro:
“Meglio essere briganti\
che un re o il papa da adorare,\ saltiamo rocce e torrenti,\ oggi è giorno di munificenza\
andiamo a bere alle nostre ganze\ nel cranio dei loro amanti!”
Di suo, però, il protagonista-autore riconosce: “Sì! poetiche superstizioni, una madonna protettrice, ricche
spoglie ammonticchiate nelle caverne, donne scapigliate, palpitanti di terrore,
un concerto di grida d’orrore accompagnato da un’orchestra di carabine,
sciabole e pugnali, sangue e lacryma-christi, e un letto di lava cullato dai terremoti, andiamo via, ecco la vita!”.
Il quadro non è filologicamente
corretto – il brigante calabrese col cappellaccio romano, e il lacryma-christi con la lava di Napoli, ma la poetica sì, è ben romantica.
Immacolata, la donna del Sud
Molti i ritratti di Francesca Immacolata
Chaouqui, sotto processo in Vaticano,
su “la Repubblica”,
“l’Espresso”, “Corriere della sera”, “il Fatto quotidiano”, “Formiche.net”, ma tutti mancano un punto decisivo. “Repubblica”, lamentando che si divaga al solito
sul personaggio, dicendola tutto e il contrario di tutto, massona, Opus Dei,
Cia, maneggiona di Bisignani, corvo, conclude sbrigativa: “Voci che nascono da
una domanda senza risposta: perché il Vaticano la chiamò? In quel momento
lavorava ad Ernst & Young, ma nessuno la conosceva”. Questo non è vero, si
era segnalata almeno per un fatto, che questa rubrica aveva trattato l’l1 giugno 2013, un
mese prima della nomina papale, sotto il titolo “Donne d’onore”:
“Qui si passa dalla mafia analfabeta e violenta, graveolente anche se allicchettata, al capitalismo iperavanzatissimo. Cui introduce Francesca Chaouqui, trent’anni non ancora compiuti, direttore delle Relazioni esterne di Ernst & Young in Italia, la società americana di contabilità. Che ha scritto al “Corriere della sera”, indignata per l’assassinio della quindicenne di Corigliano Calabro, una serie di abomini contro una terra, la sua dice malgrado il nome, che si vergogna di avere figlie femmine, e appunto le uccide.
“Qui si passa dalla mafia analfabeta e violenta, graveolente anche se allicchettata, al capitalismo iperavanzatissimo. Cui introduce Francesca Chaouqui, trent’anni non ancora compiuti, direttore delle Relazioni esterne di Ernst & Young in Italia, la società americana di contabilità. Che ha scritto al “Corriere della sera”, indignata per l’assassinio della quindicenne di Corigliano Calabro, una serie di abomini contro una terra, la sua dice malgrado il nome, che si vergogna di avere figlie femmine, e appunto le uccide.
“Una lettera “estrema”, che ha avuto naturalmente l’effetto di
moltiplicarne la lettura e i commenti. Ma, per un volta, non il solito pro-contro, no, Francesca ha contro tutti. Per una
reazione anch’essa naturale, che Renate Siebert, la sociologa che da
quarant’anni studia la condizione della donna in Calabria, così ha sintetizzato
al “Quotidiano di Calabria”: “Una storia come questa potrebbe essere accaduta in
qualsiasi altro posto d’Italia. Trovo assolutamente razzista e aberrante che si
possa parlare, in questa vicenda, di specificità calabrese”. Elementare. Ma la
sociologa non tiene conto di una specificità calabrese, che pure ha contribuito a mettere in luce, contro lo stereotipo “donna del Sud”: il temperamento
femminile.
“Francesca Chaouqui è giovanissima dirigente di un’azienda che ha
questo vangelo: “Persone che dimostrano integrità, rispetto e spirito di
collaborazione. Persone con energia, entusiasmo e il coraggio di essere leader.
Persone che creano delle relazioni fondate su valori condivisi. Persone che
dimostrano integrità, rispetto e spirito di collaborazione”. È in proprio una che “sa” quello che ha scritto al quotidiano milanese. Potrebbe aver voluto “scrivere” il paradigma del
rifiuto, come esercizio di bravura. “Mi occupo di comunicazione”, si difende in
rete, come a dire “mi tocca lavorare”. Ma è regina di twitter. Dove passa il
tempo in attesa della notte: “Vivo come se non avessi più tempo, sorrido
sempre”, così si presenta, “ogni tanto m’arrabbio, di notte scrivo. Felice”.
Anche Kierkegaard scriveva di notte, ma era più lungo, si voleva infelice.
Francesca Immacolata, detta Francy, si diverte e ritwittare un Khalid Chaouki,
fra i tanti, col kappa. Insomma, anche se si arrabbia è spensierata. Oppure ha
scritto la letteraccia perché ci crede – ha solo “amicizie” femminili, dice. In ogni
caso un bel temperamento.
“Ma non è sola. Un bel combattimento tra matriarche, come solo in
Calabria se ne trovano, la sua lettera ha suscitato. I tanti calabresi che sono
intervenuti per zittirla, giovani e meno giovani, parlano come “figli di
mamma”. Tra le tante risposte merita una citazione quella che Rachele
Grandinetti, 29 anni, ha scritto a Corrado Augias, a “Repubblica”: “Mia nonna è
rimasta vedova a 29 anni con quattro figlie femmine cui non sono mancati amore,
educazione, istruzione. Oggi sono tutte professioniste perché hanno scelto di
studiare e di seminare. Mia madre è una donna in carriera, ha iniziato a
lavorare a 19 anni e si è laureata che aveva già due figli…”. Indistruttibili,
altro che figlie abbandonate.”
Menzogna e verità – prima della delazione
Luigi Lombardi
Satriani progettava nel 1990 un libro sulla delazione come fenomeno antropologico
italiano. Ne parlò con Denise Pardo de “L’Espresso”. A proposito della lettera
anonima, e della più generale vigliaccheria quando è garantita dall’impunità.
Poi ci furono i pentiti di mafia e l’antropologo non scrisse più il
libro. Ma in realtà lo aveva scritto già nel 1974, “Menzogna e verità”. Della
menzogna come artificio della verità “nella cultura contadina del Sud”. Una
rilevazione attraverso i modi di essere e di dire e le pratiche fatiche:
narrative, conversative.
C’è indistinzione tra verità e menzogna. La verità
non è menzogna, certo, ma entrambe corrono sullo stesso filo: a che chilometro l’una
diventa l’altra non si può stabilire con metro lineare. “Menzogna e verità”,
dirà lo stesso Lombardi Satriani in “Dialoghi metropolitani”, di poco
posteriori all’intervista, sono “varietà variegate e intersecantisi”. La verità
è più propriamente “la ricerca umana di verità”, mentre la menzogna “occulta
con difficoltà l’essere anch’essa una ricerca, a volte disperata, di verità”.
Bene, al Sud di più. In un quadro sociale
segnato, con lunghe – storiche - dipendenze, che hanno creato vaste zone di
riserva mentale. Come delle camere d’aria in un ambiente altrimenti irrespirabile.
Delle trincee in un fronte sotto tiro. In attesa di tempi migliori: più liberi,
meno incerti.
Resterebbe da indagare il confine tra menzogna
e delazione, la quale è invece non una ricerca ma un atto deliberato, e al
fondo violento. Ma qui la connotazione classista è probabilmente inderogabile.
C’è chi sa – per istruzione, censo, formazione storica – quello che fa, e chi confonde
i due campi. La menzogna come scudo o campo trincerato di difesa ha anch’essa
confini indistinguibili con la delazione. Con la menzogna come offesa, come
atto criminale.
È però dubbio che l’antropologo oggi considererebbe
la delazione una vigliaccheria, come faceva venticinque anni fa. In questi pochi
anni, che per questo sembrano un’eternità, come se l’Italia avesse sempre
vissuto così, la delazione è divenuta eroica e premiata.
leuzzi@antiit.eu
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