martedì 22 dicembre 2015

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (269)

Giuseppe Leuzzi

Sudismi|sadismi
Galli della Loggia ha aperto sul “Corriere della sera” una campagna per il Sud. Cioè contro. Dice che in Calabria non vorrebbe doversi fare una tac – e perché dovrebbe? speriamo di no. Catanzaro non gli piace. Palermo centro neppure. Né la costa napoletana da Pozzuoli a Castellammare. Però, il Sud è molto grande e ha molte coste, il professore potrebbe pure rifarsi l’occhio altrove.

Galli della Loggia dice anche le cose note: il Sud non studia e non lavora, non produce, è più povero della Grecia, della Germania Est, etc. Ma dice pure che da un quarto di secolo “rapidamente tutto ciò che riguardava il Sud…ha acquistato un sapore di imbroglio, di corruzione, di raccomandazioni. Certo, il resto d’Italia non era da meno. Però lo era di meno”. Questo non è vero: la corruzione di tutta la Calabria, in venticinque anni, non vale quella del Mose da sola, o quella dell’Expo, o quella del  Monte dei Paschi, o gli sperperi delle autostrade lombarde, per dirne alcune.
Di più il Nord ha, certo, il leghismo. Di cui lo storico non tiene conto. E che altro fa il leghismo se non parlare male? Degli zingari, degli immigrati, dei tedeschi, e del Sud.

Oppure no, il leghismo non fa storia. Galli della Loggia autonomamente un quarto di secolo fa sulla “Stampa” pubblicava “Dieci comandamenti contro la mafia”, dei quali l’ultimo postulava: “Lo Stato deve rendere la vita impossibile come e più della mafia”. Tagliando l’acqua, l’elettricità, il telefono, togliendo la patente.
Un storico molto severo. Che però la colpa della mafia dà alle vittime.

Emigrazione e accoglienza
La Calabria, che ha probabilmente il tasso più elevato di emigrazione, tra le regioni d’Italia, in rapporto alla popolazione, ha accolto vaste immigrazioni: gli ebrei, i primi, i bizantini non iconoclasti, gli albanesi, la comunità più cospicua, i valdesi, e ora ripopola i borghi abbandonati con gli africani. Poiché la storia difetta in Calabria, proviamo a farcene una sintesi con alcune fonti disparate, Craufurd Tait Ramage, “Calabria pittoresca e romantica”, e Giuseppe Berto, “Il mare dove nascono i miti”.
I valdesi, dice Tait Ramage, si sono stabiliti a Guardia Piemontese verso la metà del Trecento (Berto dice il Duecento): “Narra un autore di trecento anni fa che, «essendosi ritrovati alcuni Valdesi con un gentiluomo calabrese in Torino, alloggiati insieme in un’osteria, in familiare discorso si fosse rappresentato che le valli erano tanto popolate che non vi si poteva cavare il vitto, onde esso gli offrì terre vacanti in Calabria». Erano albigesi, che si trasferirono volentieri in Calabria per evitare le persecuzioni. Si stabilirono nella zona impervia di Montalto (?), allora segregata dal mondo, lontana dall’unica strada di accesso, che era la vecchia via Popilia (la quale invece corre all’interno, n.d.r.). “Lì gli eretici poterono prosperare e moltiplicarsi in pace, ottennero dai feudatari numerosi privilegi, fondarono parecchie colonie, tra le quali, appunto, Guardia, messa in alto e fortificata”, contro i saraceni. La pace era tale che si sarebbero spinti a “pretendere il riconoscimento degli stessi diritti di libertà religiosa che, con la pace di Augusta, erano stati riconosciuti ai protestanti in Germania”. Ma il viceré di Napoli, lo spagnolo duca di Alcalà, bigotto come il suo re Filippo II, nel 1561 inviò le truppe per portarli alla ragione”.
“Furono sconfitti di notte, con uno stratagemma”, secondo Berto. Incuriosito a sua volta, era il 1948, lui alle prime armi come scrittore giornalista, che parlassero un dialetto misto di molte parole piemontesi-francesi.
Gli ebrei Berto dice “un nucleo importante della popolazione della Calabria”. Vi giunsero verso il 1200, spiega ai suoi lettori del “Tempo”, e si stabilirono a Corigliano, da lì spingendosi verso Cosenza, Tropea, Crotone, Catanzaro e Reggio. Così numerosi che in molte città e paesi c’è un quartiere loro, la giudecca. Quando  i turchi, dietro suggerimento, si disse, degli ebrei, continua Berto, s’impadronirono del Santo Sepolcro a Gerusalemme, il papa Martino indisse nel 1429 una crociata e persuase Giovanna II, la regina di Napoli, a gravare gli ebrei di una tassa. Quando gli ebrei furono cacciati dalla Spagna nel 1492, quattromila famiglie emigrarono in Calabria. Ma per poco: il regno cadde in mani spagnole e “l’intera popolazione ebraica venne cacciata da una terra dove aveva pacificamente vissuto per oltre trecento anni”. Salvo marranizzarsi.
Berto tratta anche degli albanesi. Si sono stabiliti nel regno di Napoli nel Quattrocento, preferendo l’esilio piuttosto che sottomettersi ai turchi. Erano parte della chiesa greca, ma si sono poi sotomessi all’autorità del papa, come colui che poteva difenderli meglio, senza che sia mai stata usata la forza per questo. Il matrimonio celebrano secondo il rito greco.

Oblomov al Sud
“Gioventù qui ci passa ad annodare”, è il senso della lassa dal titolo omonimo, dove D’Arrigo evoca (nella raccolta “Codice siciliano), la sua gioventù a Messina, guardando “il continente”. Oblomoviano, vitellonesco. Ma non generazionale: un modo di essere costitutivo. Per l’insoddisfazione di sé che si adagia nella certezza che “fuori”, “nell’altro mondo”, tutto invece calzerebbe a perfezione, e ogni aspettativa sarebbe esaudita.
“A noi senz’anima solo un’immagine” è un altro titolo della lassa. “È sera e ci diciamo a Sud: «Italia»” è la ninna nanna. Pur riconoscendo, altro componimento, che il nome si evoca  “Come un amuleto per noi in un rito”.

Nord malandrino
D’Arrigo ha anche, sempre in “Codice siciliano”, il Nord “malandrino” – e l’Italia “sortilegio”, “col malocchio” – nello “sguardo sprezzante delle donne: “. Evocando
“il senno di Sicilia nelle donne
che sprezzo lungo il fulvo sguardo hanno
per la sorte, il loro Nord malandrino,
Nord sempre duellato con olio e sale,
quando Nord è più forte, o Sole o lunna,
o Italia quando sortilegio, statua
col seno palombino, col malocchio”.

Immagine in stereotipia
“A noi senz’anima solo un’immagine
Può fare da fatalità, destino,
colpire la fantasia”. 
L’immagine, per il siciliano dello Stretto, è dell’Italia: “Al davanzale
Sta questa donna che si chiama Italia”,
Affacciata sul mare, equivoca: “Di donna all’aria del davanzale
La fama svaria fra bene e male”.
“Senz’anima” è il nodo-snodo. Crescere in un Sud “senz’anima”, in una pedagogia che tiene il Sud “senza’anima”. Si sottovaluta il leghismo, non se ne afferra mai abbastanza la durezza. La potenza e l’abiezione dello stereotipo – un “semplice” stereotipo.

leuzzi@antiit.eu

Nessun commento:

Posta un commento