Si riscopre la verità sul nazismo di Heidegger
dopo la pubblicazione dei “Quaderni neri” - da lui voluta, e approntata – che
era nvece sotto gli occhi di tutti, durante il nazismo e subito dopo. Il
“Discorso del rettorato”, 1933, Jaspers poté definire subito “il fondamento
nazionalsocialista dell’università”. Nel 1945, alla denazificazione, Heidegger
fu interdetto dall’insegnamento. Se ne è riparlato nel 1952, quando Löwith,
discepolo deluso, portò le prove su “Les temps modernes”, la rivista dello
haideggeriano Sartre. E poi regorlamente dopo.
Qui in un pubblico dibattito tenuto a Heidelberg il 5 febbraio 1988, per
i 55 anni del “Discorso del Rettorato”, a ridosso del libro di Farias,
“Heidegger e il nazismo”.
Un dibattito informale, senza testi scritti. Che
Mireille Calle-Gruber, presente alla serata nell’anfiteatro dell’università,
riesuma. Con una nota irrisolutiva di Jean-Luc Nancy. Un dibattito, allora, non
sul “caso Heidegger”, ma su una traccia anodina: “Heidegger, portata filosofica
e politica del suo pensiero”.
Il problema in realtà non è se Heidegger fu
nazista, lui stesso se lo disse con Carl Schmitt in “Ex captivitate salus”. Il
problema irrisolto è se fu anche eazzista, e perché non si pentì
dell’Olocausto. Perrché mai chiese scusa, adducedo magari l’errore o la cattiva
informazione, e nemmeno si disse addolorato. Heidegger non era razzista
bilogico, e anzi il biologico riteneva una sciocchezza. Ma fu anche
negazionista? No, però. Non negò Auschwitz. Ma non volle riconoscerlo,
ricoscerne la specificità. L’aveva anzi appaiato all’esodo con molto morti dei
tedecshi dalla Slesia e dalla Galizia, cacciati dai russi e dai polacchi. E l’aveva
ricompreso – non lui, i suoi difensori – nel probelma più generale della
sopravvenienza della tecnica, dell’umanismo anti-umanista, per cui niente vale
se non l’efficienza.
Dirlo antirazzista è d’altra parte troppo –
Lacou-Labarthe ha qualche sospetto, dell’antisemitismo velato che emergerà nei “Quaderni
neri”. C’è un razzismo spirituale, che in Heidegger era forte, e molto prima
dei ”Quaderni neri”: la sua trattazione del linguaggio, centrata sul Volk, è germanocentrica – forse
provinciale, ma allora non proprio eraclitea,
cristallina.
E poi c’è sempre il
nazismo, in attesa di giudizio malgrado le condanne. Il “caso Heidegger” viene
ridotto, anche in questo dibattito, a quello della Colpa: se – lui lo rifiutava
– la Germania doveva professare una Colpa nazionale. Ma in questo aveva più
ragione lui che non Jaspers – in fondo, la Germania ha avuto la resistenza più
numerosa e agguerrita al fascismo. No, quello che resta da chiarire, sotto lo
scudo della Colpa-Condanna, è il fascino dirompente dello hitlerismo. Vincente,
appassionante – anche a Parigi, dove pure era l’occupante. Effetto della
potenza militare ma, di più, evidentemente, per una sua attrattiva che non
viene esaminata – il soldato comunque suscita risentimento. Biologicamente, non
ci vuole Heidegger, il nazismo era risibile: “piccolo e nero”, panciuto, piedi
piatti, denti cariati più che alto, atletico e biondo - questo era quello di Leni
Riefenstahl, un’altra storia (che, anch’essa, non si può vedere né dire). E
impacciato e ignorante, non quello che si mistifica nei film.
L’ordinatrice ricorda che
per l’occasione Gadamer, l’ultimo discepolo devoto di Heidegger, aveva voluto partecipare
a tutti i costi, anche se anfitrione del convegno era Derrida, con cui aveva
litigato – voleva spiegare il mancato razzismo di Heidegger (ma anche Derrida
non ha mai discusso il nazismo di Heidegger). Richiama la folta partecipazione
del pubblico, oltre un migliaio di persone, per alcune ore di discussione in
francese. E ricostituisce il contesto: non c’era solo il libro di Farias, in
quei giorni, c’era anche il negazionismo di Faurisson, e l’affare De Man. Paul
De Man si era scoperto dopo morto un collaborazionista. Non per caso – anche se
era reduce da una serie impressionante di traumi familiari: l’abbandono del
padre, la morte in un incidente del fratello maggiore, già condannato per
stupro, il suicidio della madre. Aveva scritto per “Le Soir”, il quotidiano più
influente del Belgio, e per il giornale tedesco “Het Flemische Land”, terra
fiamminga, a favore del nazista Nuovo Ordine Europeo, contro la cultura francese,
e contro la “degenerazione ebraica”. Derrida, suo maestro in decostruzionismo, ne
aveva difeso la memoria con un “Mémoires – pour Paul de Man”.
Jacques Derrida-Hans
Gadamer-Philippe Lacoue-Labarthes, Il
caso Heidegger. Una filosofia nazista? Mimesis,
pp. 110 € 12
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