Gradevole
Dickens anche in questi reportages dispersi in
forma di racconti (“Il Sole” riprende quattro dei dei nove testi della raccolta
Clichy). Su avventurieri, procedure e misteri del tempo. Polizieschi
propriamente no, ma Dickens amava il racconto “criminale”, “Oliver Twist” ne è già uno, anche “Casa desolata” per molti aspetti, Wilkie Collins era suo collaboratore al giornale, e Sherlock Holmes non tarderà, giusto una ventina d’anni – questi racconti
vanno dal 1850 al 1867.
Oppure
sì, i racconti sono polizieschi in senso proprio, non del giallo ma della
polizia. Che era appena nata, la polizia urbana, e non sapeva come fare. In una
Londra che oggi si direbbe ingovernabile: una enorme chinatown, i Quartieri Spagnoli per quattro-cinque
milioni di persone, o forse quindici. La
nuovissima figura del poliziotto-detective, quale Dickens la spiega nel 1850,
farà testo per oltre un secoo e mezzo in una letteratura sterminata. Dickens detective sa già dell’indizio: “Un pelo o due svelano dove sta nascosto un leone. Una piccola chiave apre una porta molto pesante”. L’“osservatore di uomini” che costantemente qualcosa d’insignificante confronti, di persone o cose, “farebbe bene a darvi grande importanza”.
Con
una breve e solida introduzione, e un ricco appparato di note, di Fabrizio Bagatti.
Nelle note si leggono due pagine di Dickens - una lettera inviata al “Times”
nel 1849 - sulla pena di morte, una esecuzione per impiccagione, memorabili. È in
uno di questi testi l’interrogativo affermativo “A che punto è la notte”, di origine shakespeariana (“Macbeth”), che
sarà titolo del fortunato giallo politico di Fruttero (un dickensiano) e
Lucentini.
L’ultimo
testo è un gustoso saggio sulla polizia politica in uso nel continente - sconosciuta
in Inghilterra - e in specie a Napoli, di cui Dickens fa uno spietato test case. È il testo all’origine della
poi famosa e decisiva indignazione di Gladstone.
Charles
Dickens, Guardie e ladri, Clichy,
pp. 249 € 10
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