lunedì 14 dicembre 2015

Il grande vuoto dell’emigrazione

“Gli altri migravano: per mari\ celesti, supini, su navi solari\ migravano nella eternità.\ I siciliani emigravano invece”. Per bisogno, non sapevano nemmeno dove: scappavano: “Spatriavano, il passo di pece\ avanzato a più nere sponde,\ al tenebroso, oceanico\  oltremare, al loro antico\ avverso futuro di vivi”.
Questa sua prima – poi unica – raccolta di versi, 1957, centrata sul necessario abbandono e la lontananza, la nostalgia, il disegno del ritorno, D’Arrigo riprende nel 1978, tre anni dopo il lento completamento di “Horcynus Orca”, centrandolo su migrazione-emigrazione. Il poemetto “Praegreca” che ora apre la raccolta, fa la differenza: si emigra per bisogno. Una ante-visione del suo stesso mare, ora popolato di emigranti verso la Sicilia, avamposto dell’Europa. Su una tela di fondo oblomoviana: un senso del Sud, tra i rimasti o i non ancora partiti, rassegnato, fatalista - che in Sicilia si dice “arabo” mentre non lo è. Un Sud, si direbbe, come un grande vuoto.
La scrittura ambisce alla “aurea\ semplicità di un poeta che si chiama\ Saba”. Ma riconoscendolo “di così estranea indole\ all’araba tua e mia”- “tua” della madre. Saba si ritrova poi solo nella “quaglia”, vittima attesa che movimenta il poemetto omonimo, “Per la madre e per la quaglia”. La scrittura è in realtà ricercata, molto, preziosa, come s’intende – s’intendeva quando se ne faceva – la poesia in Sicilia, da Consolo, Ripellino, Piccolo - anche da Quasimodo, che nelle traduzioni è intollerabile: mallarmeana. Con la doppia aggettivazioe, spesso ossimorica, l’hapax, la rarità, l’invenzione linguistica: la sorpresa costante, la rarefazione. Due pattern, ora in disuso, che tanta poesia hanno generato in tutta Italia e non solo nell’isola, per mezzo secolo, ma in Sicilia anche oltre: simbolista, rondista, ermetica, perfino futurista. In D’Arrigo, in queste sue poche prove, di fortissima felicità inventiva e potenza verbale: ritrattistica, scultorea. Senza perdersi nel verbalismo, di suoni e sensi, come troppo spesso nei conterranei.
Stefano D’Arrigo, Codice siciliano, Mesogea, pp. 93 € 6

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