Un
film incredibilmente semplice. E bello: tirato via per la tv, ma forse è
meglio, non sembra recitato. Facce tutte espressive, dialoghi non di maniera, in
dialetto se ci vuole, situazioni reali, quali avvengono quotidianamente. In un
apologo a lieto fine, sullo sfondo fatato dell’Alto Jonio cosentino. La ragazza
di paese che studia a Roma ma non impara e non ha mestiere. Sprovveduta
sentimentalmente - s‘innamora non corrisposta - fino a restare incinta. La zia vedova, e con un figlio pazzo, che è un
rifugio, e un deposito di saggezza. Il giovane matto, che gli amici difendono
coi denti, altra storia di paese veritiera, normale, sarà l’angelo della
storia, per la fede che lo agita, e il deus ex machina: la cugina, figlia di un
ricco agricoltore, potrà sposare il giovane africano che lavora sfruttato nei
campi del padre.
Una
fiaba dall’impianto pretestuoso. Di angeli neri e ricchezze vuote, quasi a
tesi. Che però Avati, con più smplicità che in altre sue storie del
piccolo-reale mondo di provincia, incarna in persone e situazioni vive.
Pupi
Avati, Le nozze di Laura
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