Dante,
uomo di sicura fede, vi annette anche quelli che non poterono conseguirla: “Collocare
il «nobile castello» all’interno del Limbo è peculiare invenzione dantesca pur
nutrita com’è di spunti virgiliani e senecani”. Il castello degli “spiriti
magni” dell’antichità, in ideale percoso cristiano ante litteram. E la repubblica concilia con l’impero, Catone con
Cesare – cui Dante fa ascendere il ritorno di Roma al regno di uno solo.
Un’esercitazione
sulla concezione dantesca della storia romana, da repubblica a impero. E sui
suoi ispiratori, Tito Livio, Svetonio, Sallustio, Orosio, Tacito. Attraverso l’analisi
del canto IV dell’ “Inferno” e del VI del “Paradiso”, e del “De monarchia”. Sollazzevole.
Con
digressioni ancora più golose. Il “Manzoni si diverte”, il suo Napoleone,
quando gli cadde in disgrarzia, ricalcando sul Cesare di Dante – e sul Lear
shakespeariano. Alessandro Magno sollecitato a invadere Roma da delegazioni di “Cartagine,
tutta l’Africa, la Spagna, la Gallia, la Sicilia, la Sardegna e la gran parte dell’Italia”.
Dante a Montecassino, che spulcia Tacito e, legato al manoscritto tacitiano, “L’asino
d’oro”. Boccaccio che compra o trafuga da Montecassino “L’asino d’oro”, di cui
fa un calco nella novella di Peronella, per portarlo in biblioteca pubblica a
Firenze – con legato Tacito. La storiografia greca antiromana, che dava per scontata
la sottomissione di Roma alla Macedonia, a Alessandro Magno, non fosse questi
morto. Canfora torna fa fare un uso adeguato – disciplinato, pulito – dei suoi
attributi, retorici, di indagine, di conoscenze, sterminate.
Luciano
Canfora, Gli occhi di Cesare. La
biblioteca latina di Dante, Salerno, pp. 97 € 8,90
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