giovedì 10 dicembre 2015

La repubblica di Dante è monarchica

Dante, uomo di sicura fede, vi annette anche quelli che non poterono conseguirla: “Collocare il «nobile castello» all’interno del Limbo è peculiare invenzione dantesca pur nutrita com’è di spunti virgiliani e senecani”. Il castello degli “spiriti magni” dell’antichità, in ideale percoso cristiano ante litteram. E la repubblica concilia con l’impero, Catone con Cesare – cui Dante fa ascendere il ritorno di Roma al regno di uno solo.
Un’esercitazione sulla concezione dantesca della storia romana, da repubblica a impero. E sui suoi ispiratori, Tito Livio, Svetonio, Sallustio, Orosio, Tacito. Attraverso l’analisi del canto IV dell’ “Inferno” e del VI del “Paradiso”, e del “De monarchia”. Sollazzevole.
Con digressioni ancora più golose. Il “Manzoni si diverte”, il suo Napoleone, quando gli cadde in disgrarzia, ricalcando sul Cesare di Dante – e sul Lear shakespeariano. Alessandro Magno sollecitato a invadere Roma da delegazioni di “Cartagine, tutta l’Africa, la Spagna, la Gallia, la Sicilia, la Sardegna e la gran parte dell’Italia”. Dante a Montecassino, che spulcia Tacito e, legato al manoscritto tacitiano, “L’asino d’oro”. Boccaccio che compra o trafuga da Montecassino “L’asino d’oro”, di cui fa un calco nella novella di Peronella, per portarlo in biblioteca pubblica a Firenze – con legato Tacito. La storiografia greca antiromana, che dava per scontata la sottomissione di Roma alla Macedonia, a Alessandro Magno, non fosse questi morto. Canfora torna fa fare un uso adeguato – disciplinato, pulito – dei suoi attributi, retorici, di indagine, di conoscenze, sterminate.
Luciano Canfora, Gli occhi di Cesare. La biblioteca latina di Dante, Salerno, pp. 97 € 8,90

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