“È piuttosto
sorprendente che la maggior parte degli scrittori tentati dal fascismo venga
considerata composta di individualisti accaniti, mentre la dottrina fascista e
quella nazional-socialista sono strettamente anti-individualiste”, riflette a
un certo punto lo studioso. Non è la sola incongruenza. I grandi scrittori che
erano stati fascisti dopo la guerra furono dichiarati pazzi: Hamsun, Pound e,
indirettamente, Céline. Non c’era altra etichetta possibile. L’anticapitalismo,
“antimaterialismo morale”, forse. E la sfiducia nel progresso, che poi
diventerà comune, a destra e a sinistra: l’incertezza della condizione umana, metafisica, fisica e
materiale - ma non sempre: ci sono anche utopie in questo realismo, in Pound e
in Hamsun, per non dire del progressismo di Marinetti et al.
Si riedita
l’analisi dei “dieci scrittori attratti dal fascismo”, che lo studioso
finlandese approfondì come tesi di dottorato – dunque molto annotata - e
pubblicò in francese nel 1972. I dieci sono in realtà tre: il titolo originale
è “Drieu, Céline, Brasillach et la tentation fasciste”, sgrossati nell’ordine -
più Drieu, meno Céline e meno
Brasillach. Gli altri sette entrano a puntellare qui e là l’argomentgazione:
Hamsun, Pound, Gottfried Benn, Jünger, Marinetti, Evola, Chateaubriant. Più un
certo numero di tedeschi poi dimenticati. Più Pirandello, naturalmente, m la platea dei simpatizzanti è più vasta, anche in Francia e in
Italia – Kunnas ne analizza ultimamente un’ottantina, in un’opera appena uscita
in finlandese di cui annuncia la traduzione, “Il fascino del fascismo”.
Il fascismo ha
attratto molti intellettuali. Anche chi (Céline, Drieu) era antinazionalista.
Anche chi non era antisemita – Gottfried Benn anzi si riconosceva ebreo. Anche
qualche antimilitarista (Céline). Socialisti (Céline, Drieu) e tradizionalisti,
conservatori (Jünger) o rivoluzionari (Evola). È difficile trovare una ragione
comune di appartenenza. Kunnas ne trova molte, e alla fine nessuna. E il motivo
è forse l’approccio che sceglie per venirne a capo, e che sembra meritorio: interpretare
il pensiero politico degli scrittori nelle loro opere letterarie, di creazione.
Un complemento letterario alle tante “radici” del fascismo che la storiografia
è venuta svolgendo nel secondo Novecento.
C’è il tema
spengleriano della decadenza, specie in Germania. Ma anche in Evola, e in
Pound. E in Drieu evidentemente, lo scrittore che più minutamente Kunnas
analizza. C’è la violenza creatrice, in molti, compresi l’antimilitarista Céline
e il naturista Hamsun. Accanto a molto pacifismo, per esempio di Céline: la
guerra in lui, e in Drieu, che l’hanno vissuta, è sempre brutta. C’è il
nazionalismo. Ma più spesso in forme paradossali, antinazionaliste: Pound
naturalmente, e Céline. C’è il vitalismo, al solito mescolato col nichilismo. L’anti-intellettualismo,
forse il dato più comune e costante – ma pur sempre opera di forti
intellettuali, fortissimi (Evola, Jünger, Marinetti, lo stesso “spontaneo” Hamsun). La
decadenza dell’Europa, tema mistico. E il fascismo naturalmente, ma di pochi e
a tratti, Pound, Brasillach, e il solito Marinetti.
Kunnas procede
anche con spreco di Nietzsche, che invece è difficile rintracciare nei dieci - non in Jünger, né in Pound, Céline, Hamsun, solo in Evola, in parte. E di
“machiavellismi”, che – checché la parola voglia dire – non si possono certo
imputare al fascismo, esplicito e diretto fino alla brutalità. Una novità, ancora oggi, è la
sensibilità religiosa – cristiana – del nazifascismo, che impregna Drieu,
Brasillach, Chateaubriant, Hamsun, e pure Céline: “l’ideale del sacrificio,
l’ideale dell’oblio di sé, l’ideale della povertà”.
Queste categorizzazioni
non si applicano però a Céline. Scrittore tragico, pamphlet inclusi. Dal lato nero della vita, non solare. Di cui ha però tanta nostalgia. Né a Pound, che ha, e si propone nei “Cantos”, un forte
senso della storia, omerico, eroico – cantore del genio e della forza,
dell’eccezionalità della vita, di cui fu operosissimo artigiano. Tra le
due guerre e dopo, due età dominate senza soluzione di continuità
dall’ideologia, che ne ha fatto dei rivoltati. Romantici in ritardo, più che
altro, nell’età delle ideologie - dei partiti politici e le false coscienze..
Di Céline molte
tracce sono sbagliate. Nel suo primo scritto, la tesi su Semmelweiss, il
giovane medico mostra un disperato bisogno di razionalità: “La ragione non è
che una piccola, piccola forza universale”. È così. “Non si insiste
sufficientemente sulla misantropia di Céline”, subito dopo, è invece una falsa pista:
Céline ha un senso sempre acuto dell’ipocrisia ma anche dell’amicizia, non
maltratta mai i poveri che cura, è forse lo scrittore del Novecento più attento
alla femminilità, in forma di persone e personaggi, affascinato senza riserve.
Ma anche agli altri le categorie si applicano male. Drieu, per esempio, è un
europeista nato, da prima ancora della delusione nella Grande Guerra – fino a
credere all’occupante tedesco come a una promessa d’Europa (che sembra ridicolo
ma non lo è).
Una ricerca
datata. Lo stesso Kunnas ha ora approfondito la ricerca – oltre ad averla allargata
ne “Il fascino del fascismo” - con un “L’ambiguità del male”, appena tradotto
in francese. E tuttavia ancora inesplorata. In Italia. In Italia il tema è
tabù, e il libro ancora oggi, a quarant’anni dalla prima pubblicazione, quasi
esoterico, benché apprezzato dagli studiosi, Serra, Gentile, De Felice e molti
altri. De Felice lo dice nella “Intervista” addirittura “il più bel libro mai
scritto su quel tema difficile e irto di trabocchetti che è il discorso sull’ideologia
fascista”. Per i molti la destra “non esiste”, alla romana, non è mai esistita.
Tarmo Kunnas, La tentazione fascista, Settimo
Sigillo, pp. 308 € 25
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