Nel 2012 Renée Dinnerstein, maestra a
Brooklyn e poi consulente scolastico, progettò un contatto approfondito fra la pedagogia
americana più attenta e il Reggio Emilia Appoach o metodo reggiano. Forte di un
primo contatto maturato da giovane quando si trovò a risiedere a Roma, e di successive
partecipazioni a eventi e seminari della pedagogia diffusa reggiana, aveva
maturato il convincimento che quell’approccio era il più produttivo. Sia dal
punto di vista del bambino, dello sviluppo della sua creatività, che da quello
familiare e sociale. Tanto più nell’epoca della connettività, che è una chance per i molti, ma un rischio letale
per i meno adatti – come semrpe avviene neile epoche di cambiamento.
La metodologia reggiana
intanto era cresciuta nella valutazione internazionale. In particolare negli
Stati Uniti. Nel dicembre del 1991, “Newsweek” aveva definito l’asilo Diana, all’interno
dei giardini pubblici di Reggio Emilia, la più avanzata istituzione per la
prima infanzia nel mondo. L’anno dopo vennero il prestigioso premio Lego in
Danimarca, nel 1993 il Premio Kohl a Chicago.
Nel corso del 2012 Dinnerstein organizzò
una full immersion di una settimana per
68 educatori, in prevalenza americani e tutti di ingua inglese, a Reggio Emilia.
L’immersione si fece nell’ottobre 2012, e causò una conversione in massa: il
fatto di essere dei ricercatori, e non dei “badanti”, e quasi pigmalioni dello
svilppo del fancilullo, ha entusiasmato i partecipanti. Come orizzonte di vita
e di lavoro, e anche per gli effetti immediati. Il libro si apre con un testo
redatto da due bambini di quinta elementare, Max Gryce e Sophie MacKay, della
Opal School, del museo per Bambini di Portland nell’Oregon, dove l’Approccio
Reggiano è praticato, che è un piccolo miracolo. La pagiennta si legge, oltre
che per l’immediatezza dell’espressione, come un trattatello, chiaro, completo,
di pedagogia dell’immagine, dell’occhio. Grazie all’abitudine ormai acquisita dai
bambini in pochi mesi di situarsi, di porsi in relazione con le persone e i
luoghi, la natura, il tempo, le cose. È uno dei primi esiti del viaggio a
Reggio.
Il
“Reggio Approach” ha una storia recente ma consolidata. È nato si può dire
casualmente, per le esigenze dell’immediato dopoguerra, quando bisognò ricostruire
sulle macerie, e la manodopera femminile era necessaria per la scarsezza di quella
maschile, creando il problema dell’assistenza alla prima infanzia. Si crearono
i primi asili nido informali, non più necessariamente di suore e non a
pagamento, a turno, in associazione, in cooperativa, di vicinato, di quartiere,
di azienda, con assistenza necessariamente non formata, se non per le prime
necessità, l’alimentazione, l’igiene. Su queste esperienze diffuse una
pedagogia poco alla volta emerse, all’insegna anch’essa dell’informalità. Che Loris
Malaguzzi organizzerà su base ampia, e teorizzerà come metodo.
Maestro elementare,
alla Liberazione Malaguzzi, svanito lo Stato, si era trovato a dover organizzare una scuola
rurale, per i bambini di contadini e operati, in un paesino nei pressi di
Reggio. Fu la prima di una serie: l’esperimento fece capire a Malaguzzi che la
scuola poteva autogestirsi, facendo a meno dei benefici, ma anche delle
metolodologie, dello Stato. Successivamente si addottorò in Psicologia al Cnr a
Roma, e al ritorno a Reggio cominciò a lavorare anche per il Comune, al
Consultorio per bambini in difficoltà, oltre che per le scuole autogestite. Il
Reggio Emilia Approach prende così corpo anche nelle scuole statali.
Nel 1963 Malaguzzi
convinse il Comune a organizzare quella che è oggi la scuola materna, dai tre
ai cinque anni. Una decisione
istituzionale che abbisognò di un’opera di convincimento delle famiglie, come
ricorda il ritatto dell’educatore su wikipedia: “Una
volta a settimana portavamo la scuola in città. Letteralmente, noi caricavamo
noi stessi, i bambini, ed i nostri strumenti di lavoro su un camion e facevamo
scuola e organizzavamo delle mostre all’aria aperta, nei parchi pubblici o
sotto il portico del teatro comunale. I bambini erano felici. La gente guardava;
erano sorpresi e facevano domande”.
Il bambino sa
100 lingue
Nel 1970 Reggio Emilia apre la strada anche agli asili
nido, dai tre mei ai tre anni. Sull’esperienza maturata si comincia a costruire
una metodologia. Una rivista, “Zerosei”, raccoglie e affina le esperienze. Si
fanno convegni di confronto. Malaguzzi sintetizza in varie pubblicazioni gli
esperimenti e gli esiti. Nel 1980 fonda il Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia,
sempre a Reggio Emilia. Morirà nel 1994 – l’anno in cui è nato “Reggio Children”,
centro internazionale per la difesa e lo sviluppo dei diritti e delle
potenzialità dei bambini. Avendo definito il “Reggio Approach”, ormai riconosciuto
internazionalmente, su queste lineee: il bambino è un soggetto di diritti e un
produttore di conoscenze, guidato da propri, diversificati, interessi: i
bambini sono comunicatori, posseggono “100 linguaggi”; l’apprendimento avviene
autonomamente; all’interno di una rete di relazioni con gli educatori, la famiglia,
l’ambiente (e i linguaggi).
Il bambino del “Reggio Approach” è ricettore e
insieme creatore di conoscenza, va quindi seguito nel senso di lasciarlo libero
di interagire con l’ambiente, ascoltarne le riflessioni, coglierne il senso,
stimolarlo ulteriormente. È il bambino il protagonista e direttore del proprio
percorso di apprendimento. È uno sviluppo dell’idea “costruttivista” di Piaget,
che vedeva il bambino come costruttore di conoscenze, ma quasi isolato. No, Reggio
lo vuole dotato di un potenziale maggiore, attivato dall’interazione con gli altri
bambini, gli oggetti, l’ambiente, gli adulti. ll ruolo dell’insegnante è di
accompagnamento e aiuto. Anche di
apprendimento: Malaguzzi lo dice “co-apprendista”, insieme al bambino,
“all’interno della situazione di apprendimento”, col contributo delle sue
cognizioni e delle sue esperienze. L’educatore si qualifica soprattutto come ricercatore.
Il libro ne fa un monumeto – e Heinemann,
il grupo angloamericano leader dell’editoria per la formazione. Le discussioni
nei seminari e workshop, a Reggio e
dopo, sono cresciute fra i partecipanti di intensità e di scopo, e il progetto
di una proposta di rinnovamento della prima educazione è nato. Con il
contributo di specialisti e esperti, che hanno proposto i saggi di cui si
compone il volume. Non più il nozionismo, ma uno stimolo al bambino ad aprirsi
e interagire: a svilupparsi autonomamente. Lui e l’insegnante insieme. Un
principio semplice che Loris Malaguzzi così sintetizzava: “Apprendimento e
insegnamento non dovrebbero stare su rive opposte, a guardare il fiume scorrere
sotto; dovrebbero inveve imbarcarsi insieme in un viaggio sull’acqua”.
Matt Glover-Ellin
Oliver Keen (eds), The Teacher you want
to be, Heinemann, pp. 234 € 31
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