Asessismo
–
Si cancella, dopo il padre, ora anche la madre. Improduttiva e irrazionale –
una madre è uno spreco. Per un disegno di deumanizzazione, nel quadro del
livellamento tecnico e della della
parcellizzazione efficientista (ugualitaria): il mercato, sedicente individualizzante,
vuole disponibilità totale: singletudine senza impedimenti. La stessa
singletudine diventa misantropica – per la residua sensibilità erotica basta un
incontro al bar il sabato sera.
Congiura
–
È destino che ci siano cospirazioni nella
filosofia di Evola e Guénon. Se le società umane, cioè, non sono innovative (evolutive), ma
gerarchiche e rituali.
Custode – È testimone,
di un percorso continuato, in una corsa a segmenti. Di un percorso. Oltre che depositario
della continuità. Dell’interpretazione, anche – l’interminabile ermeneutica.
Destino
–
È il proprio giudice, l’io in forma di giudice. Non l’innovazione o la
sorpresa, ma una sommatoria e l’esito di un giudizio. Inafferrabile ma
personalizzato, proprio - il suo destino è il suo giudice.
È il senso di Benjamin: se uno ha
carattere il suo destino è costante. Ma non di un fluire quanto di un
rappresentarsi-giudicarsi - rappresentarsi è in ogni momento giudicarsi.
Fascino
– È
di ogni genere, non il meglio, né perfezionista. Si prenda Hollande, il presidente
francese, che attira a ripetizione donne molto belle e altrettanto volitive, a
lui sempre devote, malgrado l’incostanza, i tradimenti, e ora i ripetuti
fallimenti politici – è lui che sempre le lascia, non loro lui. Pur non essendo
bello, né atletico, né spiritoso, né simpatico, e anzi piuttosto piedi piatti.
È solo un po’ meglio di Sarkozy come statura, 1,70 contro 1,60, che invece le
donne lasciano. Ma è più basso, anche molto, di Chirac, Mitterrand, Giscard,
Pompidou, e naturalmente De Gaulle, i presidenti cui la Francia è – era –
avvezza. Ed è sempre più basso delle donne che incanta. Il suo fascino è il
provincialismo. Anche presso il pubblico: non
un presidente pugnace, né della Francia che parla inglese, ma quello
della pétanque e della fine, che non esiste più ma si fantastica,
e fa lo smargiasso. Ma dotato di chiacchiera, sempre persuasiva. E non è un
caso, il fascino dell’umo senza qualità c’è sempre stato. Anche della donna.
Futuro
-
È proiezione del presente, senza dubbio – altrimenti è postero. Ma è anche il presente: si costruisce
momento dopo momento, cioè oggi. Nelle proiezioni fantastiche e nei dati materiali
- l’investimento (il fondo, la casa, l’assicurazione), l’apprendimento, il
lavoro, la programmazione-progettazione. Non c’è senza il presente, ma ne è
anche una forma.
Lo stesso concetto di postero è di un
presente che si continua: nel ricordo, l’immaginazione, la celebrazione, il
mito. Lo steso si potrebbe argomentare della immortalità: è una costruzione-idealizzazione
dell’esistente.
Gender
–
Inevitabilmente approda al no gender,: è un autonegazione:. Se la distinzione
sessuale è solo culturale.
Genio
–
È quello che genera l’ermeneutica moltiplicatrice, la lettura del genio,
multiforme per definizione, l’interpretazione. È un fatto di ermeneutica. Moltiplicando
e stimolando l’attività del creatore, in prospettiva. Moltiplicando
l’applicazione critica, l’interpretazione.
È un fatto di applicazione, di critica
creatrice. Dante è tutto e il contrario di tutto. Shakespeare che è cento
diversi personaggi. O Platone, o l’inafferrabile Socrate che periodicamente
risorge. Il genio multiforme – Leonardo – lo è in modo diverso: interpreta se
stesso.
Morte
–
È un fatto, ma più è una suggestione, quando
si vive. Può capitare di festeggiare i riti della luce e della rinascita
leggendo occasionalmente un poeta che, bello e adolescente, amato e già di
successo, Georg Heym, pure dubita, “inaudita parola saremo?”, e solo poeta
della morte.
Il diritto la considera e la deconsidera, con l’istituto del testamento, o comuqqne dell’eredità. Che perpettua e consoldia l’istituto familiare, ma prima la persona del testatore. Che intende sopravvivere non soltanto negli affetti o sentimenti, ma di fatto, nella vita quotidiana. E lo fa in tutti i casi, anche se contestato.
Il diritto la considera e la deconsidera, con l’istituto del testamento, o comuqqne dell’eredità. Che perpettua e consoldia l’istituto familiare, ma prima la persona del testatore. Che intende sopravvivere non soltanto negli affetti o sentimenti, ma di fatto, nella vita quotidiana. E lo fa in tutti i casi, anche se contestato.
Storia – “L’histoire est dans le flou”, Michel Serres, “Roma, il libro delle fondazioni”, 9: la storia è nella dissolvenza. Quale storia?
La storia si scrive, Barthes l’ha scoperto. A lungo fu oggettiva.
Ma, Koyré l’aveva intuito, la storia non prova niente. E se lo fa è crudele:
c’è mai stato uno storico che non abbia sognato di poter nutrire, come Ulisse,
le ombre di sangue, per poterle interrogare? La teoria precede la storia, aggiunge
Aron. E Ricoeur: “Il documento non era documento prima che lo storico avesse
pensato di porgli una domanda”. Croce: “La cultura storica ha il fine di
serbare viva la coscienza che la società umana ha del proprio passato, cioè del
suo presente, cioè di se stessa”. E Edward H. Carr, lo storico del sovietismo:
“C’è un continuo processo d’interazione tra la storia e i fatti storici, un
dialogo senza fine tra presente e passato”. Gobetti ne fa il fulcro della “Rivoluzione
liberale”: “La nostra sarà una generazione di storici: tanto se ci applichiamo
all’economia come al romanzo e alla politica”.
La
storia è l’Uomo di Michelet, opera dell’Uomo. La ricostruzione a opera
dell’uomo di Febvre. Le vite di Emerson. L’essenza delle vite di Carlyle: “Lo
storico è il Prestigiatore di Gulliver: ci riporta l’animoso Passato perché
possiamo guardarvi dentro e scrutarlo a volontà. La storia universale è un libro,
che siamo obbligati a leggere e incessantemente scrivere, e nel quale siamo
scritti”. Cassandolo, che è la cosa più facile, della storia e di ogni realtà.
Testo divino, volendo, con Swedenborg, “nel quale ci scrivono”. Chi? Swedenborg
parlava coi diavoli.
La
storia è
figlia del tempo, oggi come ieri. Quando Casaubon nel “Polibio”
depreca: “Amaro destino della storia, che una volta in un’aureola di luce splendente
soleva godere della più stretta familiarità dei re, i principi, i nobili di più
riguardo, insegnando loro la saggezza e le norme di una dignitosa esistenza e
ricevendone in cambio prestigio, mentre ora, dimentica della precedente condizione
e resa inutile ai fatti della vita, è lasciata ai borghesucci, che rimescolano
la polvere delle scuole, e si coltivano in un’i-pocondriaca inattività”. E
ancora è meglio di quando la rimescola Hitler.
Uguglianza
–
Passa, nell’era globale, sotto il segno dell’uniforme e indistinto. Del “relativismo culturale” - nobilitato quale
dialogo. La “eguale libertà” di Martha Nussbaum meglio
espone il paradosso: bisogna essere per la “vera differenza” e contro “l’omogeneità”.
E perché? L’uguaglianza ha sempre creato problemi politici. I diritti umani sì,
sono affare suo, ma la storia e la politica vivono meglio di adattamenti. C’è
un paese, gli Stati Uniti, dove la libertà pesa più della tradizione, e c’è
l’Europa, dove la storia pesa di più – si parla di pesi per l’unità del paese,
della società. Si veda il diverso esito della “eguale libertà” negli Usa, paese
crogiolo, dove il fatto unificante è la libertà, e in Gran Bretagna, dove il
multiculturalismo ha presto inciampato nel rifiuto – o dovremmo chiamarla
obiezione di coscienza? Non senza ragione: perché i pakistani dovrebbero essere
inglesi? E il Cristo maomettano? Il dialogo religioso illimitato, estenuato,
assillante, proprio in questa epoca, in cui non ci sono guerre di religione, è
più che un atto di buona volontà, è il disegno-sogno di istituzionalizzazione
della religione.
Unità – Quella del
mondo passa per utopia, da Dante a Campanella e Tommaso Moro, a Hobbes, alla
trascurata parte III del “Leviatano”, “Del Commonwealth cristiano”, a Kant. O non un
dogma pratico in forma di tradizione? Gregorio Nazianzeno lo dice. Dio può
essere anarchico, poliarchico e monarchico, dice. Del Dio anarchico
(confusione) e poliarchico (rivolta) “si divertono i figli dell’Ellade e
lasciamo che si divertano ancora… noi onoriamo la monarchia”. Non un re, specifica,
ma “quella sovranità che è costituita da uguaglianza di natura, da unanimità di
giudizio, da identità di vedute, dal concorso delle persone a formare una cosa
sola con quella dalla quale derivano, il che è impossibile nella natura
creata”. Il Dio ebraico fuso con col principio monarchico della filosofia greca”.
Non solo in Dante, tuttavia, l’unità mantiene una sua dignità. Frances Yates ne ha
recuperato non molti anni fa perspicui significati, anche in fase di
democraticismo radicale, in “Astraea”. Tanto più oggi, in questo mondo di
trasvalutazioni, o continue svalutazioni, che è stata finora la
globalizzazione, un’asta al ribasso, o una perversa uguaglianza - chi è meglio
dell’Occidente?
zeulig@antiit.eu
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