Cerca nel blog

sabato 14 febbraio 2015

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (235)

Giuseppe Leuzzi

Si parla meglio delle origini standone fuori? Sicuramente più a cuor leggero. In un certo senso con più partecipazione, anche. Per quanto critica. Fellini, che non era mai stato a Rimini dopo esserne uscito nel 1937, l’ha immortalata e in qualche modo salvata, dal destino turistico si era abbandonata, da luna park estivo. Sì, ci era tornato, ma solo due volte, entrambe per motivi suoi (la secondo per scriverci sopra un libro che molti gli chiedevano), e entrambe a disagio, con le persone e con le cose.

La Germania finanzia la Grecia nella stessa misura che gli altri paesi europei. Ma non si sente in Italia, o in Francia, o in Spagna, la lamentela: “I greci ci mettono le mani in tasca, ci derubano”.  Tanto più che i finanziatori saranno ripagati, il sostegno più che altro è una partita di giro. Solo in Germania. E nei paesi della galassia tedesca, l’Olanda, la Finlandia, i Baltici. Che sono i più ricchi. Il Nord ha buona coscienza di sé.

L’appropriazione nazionalistica dell’Unione Europea dopo la caduta del Muro è insopportabile. Forse  l’aspettativa era malposta, esito della propaganda americana, occidentale, in funzione antisovietica. Di suo, l’Europa ha come punti di riferimento storici e ereditari schemi perversi e esiti più spesso vergognosi – la superiorità, l’espansione, l’invasione, il dominio. Questi sono comunque gli schemi che si sono imposti dopo la caduta del Miro.
Dopo la caduta per un motivo preciso: la riunificazione tedesca. Col mito risorgente della superiorità teutonica. Con una congerie di satelliti che con l’Europa nei secoli, e con la Ue nel dopoguerra hanno poco da spartire. Ma tutti accomunati nel mito della superiorità.

Il pregiudizio è forte
I napoletani hanno insegnato a Milano l’insalata. E a Edimburgo. E all’America tutta le crudités. Non è una questione di meridiani, di colture legate ai climi: il pomodoro diventò alimentare a Napoli a fine Seicento, tardi. I  maggiori industriali del pomodoro sono peraltro a Piacenza e dintorni. No, è il gusto. La capacità di scegliere, e di combinare, di creare.
Non hanno nobili origini neanche la controra, con la pennichella. O lo strolling, la passeggiata al corso. E la pausa, il non far niente. La stessa pedagogia contemporanea, della non violenza sui bambini, è molto mediterranea – ancora cinquant’anni fa in Germania i padri non parlavano coi figli, solo scapaccioni.
Del resto, a parte la pedagogia, non si tratta di abitudini sbagliate che è opportuno correggere. No, si tratta di correzioni giuste che però viene arduo accettare: l’insalata si è fatta strada con difficoltà. Non c’è disponibilità. Anzi la disponibilità è alla critica e quindi al rifiuto. Ogni bambino veneziano sa senz’altro non solo dov’è Venezia, ma anche Padova e Verona. Non molti bambini veneti sapranno dov’è la Calabria. Dici a un calabrese che i vetri doppi allentano il freddo, subito li cambia.
Lo stesso con i call center e i numeri verdi. Capita di frequente di essere lasciati appesi al numero verde della banca, l’assicurazione, l’operatore telefonico, il gestore elettrico da una ragazza di Milano perché inesperta, anche nell’uso del telefono. O perché ne sa meno di voi. Uno ritenta, e si accontenta. Anche se all’assistenza risponde una  voce dall’Albania, dall’India o dalla Repubblica Ceca, uno s’accontenta, c’è l’obbligo della solidarietà. Se invece risponde un call center o un centro servizi di Palermo o Reggio Calabria, e non è inappuntabile, rapido, esatto, onnisciente, ci inalberiamo e protestiamo.

Il clash dei linguaggi è arduo nella vicinanza. Sulla stessa linea di collimazione. Mentre si traduce in curiosità e ammirazione per il diverso a distanza: conviene emigrare lontano. È sempre dura, ma perlomeno non vi contestano le abitudini..

Milano
“Expo, rilievi del’Autorità Anticorruzione per 8 appalti su 10”. Per “le infiltrazioni della ‘ndrangheta”. Sembra. Potrebbe. L’Autorità non lo esclude. Molti ci credono.

La Fiat è stata il solo socio a mettere soldi nell’aumento di capitale del “Corriere della sera” l’anno scorso. I soci milanesi, che non hanno messo un euro, lavorano per cacciarla, o sterilizzarne la partecipazione.

L’Inter di Moratti ha il record degli allenatori licenziati, una ventina in quindici anni. Alcuni li ha licenziati dopo che avevano vinto. Il Milan segue con una dozzina – alcuni dopo che avevano vinto. L’Inter di Moratti e il Milan di Berlusconi, la crema di Milan.

Anche il Procuratore Capo che denuncia il suo vice non è male. Lui, però, è napoletano.

Si denuncia un vice-procuratore Capo che parla con un avvocato (Robledo), ma non un altro, che egualmente parla con l’avvocato (Greco), anzi con gli avvocati, ci parla normalmente. La giustizia a Milano è molto selettiva.

La Provincia di Milano ha – aveva, ora è della Regione Lombardia – una finanziaria, Asam, con un consiglio di amministrazione, e tre dipendenti. Che fatturavano rimborsi spese per 200 mila euro l’anno. E davano consulenze. Senza scandalo.

Si esibisce a Roma, a Santa Cecilia, il batterista austriaco Grubinger, strumentista di musica seria contemporanea. Giocoliere e mattatore. Il “Corriere della sera” ne fa una pagina per annunciare una sua prossima esibizione alla Scala. Anche il provincialismo è forte.


Monti prima, Passera oggi si vogliono salvatori della patria. Unici, eroici. L’uomo della Provvidenza è ben milanese

Passera più di Monti, che inonda Milano di manifesti azzurri alle fermate dei mezzi pubblici : “La Rivoluzione è possibile”. Garante lui stesso, l’ex banchiere, con firma autografa. Dopo essere “asceso in politica”, anche lui come il suo mentore, “contro gli slogan”. La buona coscienza vuole ipocrisia.

Già Berlusconi doveva salvare l’Italia. E pure Di Pietro, a ben guardare, ben milanese benché molisano, per il sussiego e la buona coscienza.


Punto centrale del programma politico di Passera, che lo mette in evidenza in nero, è: “Siamo contrari a qualsiasi ipotesi di imposta patrimoniale, diretta e indiretta, per l’abbattimento del debito”. Dopo averne imposto da superministro dell’Economia più di una, e tutte ordinarie e a vita.

leuzzi@antiit.eu

Un presidente islamico, di centro

Una fiction di fantapolitica alla Ballard, alla Philip Dick, anche loro come Houellebecq narratori, saggisti e filosofi. O meglio, essendo la narrazione senza suspense, né artifici terrificanti, al modo delle “vite immaginarie” di Walter Pater, e poi di Schwob, di uno dei due filoni, quello del contesto, di cui Houellebecq narratore è specialista, della storia possibile - l’altro è far rivivere una persona come personaggio, dal vivo, senza cioè il distacco prospettico e critico del biografo perfezionista, che la verità storico-psicologica atteggia come attendibilità, attento ai particolari, alle virgole, alla lettera (il filone di “vite immaginarie” di cui è cultore Emmanuel Carrère - “Limonov”, etc. – ora il più entusiasta sostenitore dell’umorale Houellebecq, soprattutto di questo). Il fatto è semplice: fra non molti anni, contro Marine Le Pen, gli altri partiti candidano un “centrista” d’obbligo islamico.
Il titolo è del film olandese dieci anni fa, di Theo van Gogh e Ayaan Hirsi Ali, una sfida che provocò una mezza guerra di religione - opera di coraggio, o di provocazione. La storia è diversa, divertente. E quasi appeaser, a fronte dello scandalo sopravvenuto con le stragi a Parigi. Di una vigilia elettorale in cui il partito islamista di Francia si avvia a prendere il potere, in un futuro non lontano. Una satira bonaria, della maniera come l’Europa si fa fare dagli eventi: l’immigrazione di massa, l’islam. Nel mentre che fa come se il Mediterraneo, l’Africa, l’Asia non esistessero, non alle sue frontiere. Che le stanno  invece alle costole, e in tutti i modi vogliono possederla, senza più complessi e senza rispetto. È una storia di possessione più che di sottomissione: non c’è masochismo, se non nella passività, nell’inerzia.
La sottomissione di Houellebecq non è nemmeno quella di maniera di cui si fa carico all’islam - che significa “sottomissione”. Della passività, cioè: l’islam è al contrario bellicoso e conquistatore, fertile di figli e di odio. È quella dell’europeo nella sua buona coscienza, di ecologista, animalista e agnostico. Houellebecq non è anti-islamico, cioè finge di non esserlo – così come i suoi editori: fa di peggio, ride dell’Europa sciocca. Di un’Europa passata in una generazione dalla “fortezza” alla spiaggia indifesa, con una popolazione allogena cresciuta in pochi anni a un decimo del totale e in rapida moltiplicazione – i coefficienti demografici la danno maggioritaria tra non molto. L’Italia registra ogni anno un record negativo di nascite, e si dice la crisi. Ma la Germania pure. E la fertilità ha i suoi ritmi che vanno come treni.
La storia è semplice, di come la Francia si è adattata, quando fra non molto un islamico si candiderà vincente alla presidenza. Non arrabbiata, alla maniera dei pamphlet di Oriana Fallaci che si ripropongono. È naturalmente un islam attraente, non solo per la poligamia. A cui le donne non si ribellano – ma Houellebecq è sicuramente misogino. Si possono (ancora) avere idee diverse. E si beve, tra gli stessi agitprop del presidenziabile – l’ottimo Mersault, lo chardonnay verdeoro della Borgogna.
Sprezzante ma non il solito Houellebecq: non acido e arcigno, ma uno divertito e forse sorridente. Distaccato, tra il comico e il cinico – è un po’ il personaggio dei film in cui si è ultimamente specializzato, “Near Death Exprerience”, e “The Kidnaping of M.H.”. Un divertissement, si sarebbe in altra epoca editoriale. Per il lettore pure. Probabilmente anche per il lettore islamico. Un apologo più che una fantapolitica visionaria. Un tempo si sarebbe detto un’utopia, in Campanella, o in Tommaso Moro che inventò il genere. O in Orwell che lo ha rovesciato, in utopia negativa o distopia. Ma non l’Orwell di “1984”, scientificamente plumbeo, quello della leggibile “Fattoria degli animali”. In forma di apologo.
Houellebecq non è altrettanto godibile perché ha eletto a suo mondo quello comune, “simenoniano”, della piccola gente. Non protagonista della storia, e nemmeno sua vittima, ma gregario, in qualche modo remissivo. E per ciò stesso malinconico, senza dover essere – in questo caso – razzista: la sensazione il racconto diffonde che quella che viviamo non è un’osmosi, un incrocio o meticciato in qualche modo avvincente, ma uno tsunami di varia umanità, cui non si può non rassegnarsi.  
Michel Houellebecq, Sottomissione, Bompiani, pp. 252 € 17,50

venerdì 13 febbraio 2015

Wang, Fanfani, Strauss e Togliatti

Un Wang Jenlin emerge in Cina quale acquirente dei diritti tv del calcio europeo, tra le tante sue attività. E si scopre nell’occasione che è l’uomo più ricco della Cina, o quasi, e quindi del mondo. Un nome che è uguale a un altro, un giornalista che nei primi anni 1970 aprì a Roma la sede della Shinuà, l’agenzia di stampa della Cina di Mao. Che era anche lui molto socievole.  
Astolfo lo ritrae così, nel romanzo “La morte è giovane”, in via di pubblicazione, alla vigilia del referendum contro il divorzio, dato perdente per 6-4 (come poi è avvenuto), anticomunista feroce, fanfaniano:
Solo al compagno Wang la scommessa non è proposta, per stanchezza. Fanfani, che finirà col referendum, è il cavallo anti-Pci dei cinesi. Nei momenti di esaltazione Wang, che apre a Roma l’ufficio dell’agenzia Nuova Cina, vorrebbe farsi convalidare un asse Fanfani-Strauss, contro il Partito. Wang non può che essere un agente segreto: ha i soldi, e una moglie dottore, ostaggio a Pechino. Ma non è del tutto in errore. Ci sono cristiani e cristiani: Strauss sarà il fascista bavarese che «Der Spiegel» vuole, giornale di Amburgo, però di un altro mondo. Un Land sonnolento ha convertito nel più ricco della Germania, la terra mescolando alla fabbrica. Ai laghi ha ridato trasparenza, e ai fiumi. La Baviera legando al Lombardo-Veneto ha costruito, su aree sfavorite dalla natura, tra ghiacci, nebbie e zanzare, la regione più ricca del mondo, tutta cattolica. La sociologia di Max Weber e del capitale sbriciolando in poche mosse.
Il problema di Wang è che, se Berlinguer perde il referendum, lo perde pure Fanfani. Né capisce la finezza di Berlinguer, che vuole perdere il referendum per ingraziarsi il Vaticano – se il divorzio fosse abolito, il Pci sarebbe abolito con esso. Ma il progetto italo-bavarese lo fa sognare: Berlinguer perde comunque col referendum, e Fanfani, comunque vittorioso, erige il muro con Strauss. Non ci sono comunisti in Italia ma servi di Mosca, così parla Wang, ubiquo – i giornalisti sovietici devono dire alla polizia dove vanno, se escono dall’ufficio, lui è libero di muoversi:
“- “Un legame di ferro” – Wang ripete Togliatti annuendo. È questa indicazione bibliografica che fonda la stima che non si può non averne. E non sa che la Dc cementa col voto il compromesso, quale passaporto al potere eterno. Che dopo questa prova non ci sarà più la Repubblica, con tutta la Resistenza. Che vuol essere, costituzione e tutto, l’anomala mezzadria Dc-Pci nel loro reciproco opporsi-tenersi, la Repubblica di Guareschi. Che i partiti di massa, i rappresentanti del settanta per cento degli italiani, non abbiano capito l’Italia, il movimento, l’etica, le donne, la libertà, in fondo dà ragione a Wang, figli degenerati di preti dissoluti e del Batrace alcolizzato.
La chiesa, che le cose le sa, con la confessione e la sacrestia avendo migliore nozione dell’animo femminile, ce l’ha col senatore Fanfani, per esserne stata indotta a mali passi. Toccherà al povero Paolo VI, che più d’ogni altro papa ama la politica italiana, gli Andreotti, i Moro, cui ha sacrificato la gioventù, seppellirsi sotto il divorzio, cui seguirà l’aborto. A opera di Fanfani che non fu suo allievo, mentre i pupilli si fanno la guerra. È la politica debole?”
Che c’è in comune tra il Wang giornalista e il milionario di oggi? Probabilmente niente. Anche se la fisionomia è la stessa - i due potrebbero essere cugini, per esempio. L’età no, il milionario ha una diecina d’anni di meno. E faceva il militare, non il giornalista. Figlio di un generale di Mao, della Lunga Marcia. È entrato nell’esercito a quindici anni, e vi ha fatto carriera per diciotto. Poi, con Deng, ha capito che il futuro era negli affari, racconta oggi l’“Economist”, e con 80 mila yuan presi a prestito ha creato un gruppo da 40 miliardi di dollari, con una fortuna personale che il settimanale valuta in 25 miliardi. Il più grande immobiliarista della Cina, con centri commerciali in cento città. Senza che nulla sia cambiato in Cina, nella politica cinese. Neanche in Italia, poco o niente è cambiato. Ma i patrimoni non si moltiplicano.

Ombre - 255

Cade la Robin Tax: far pagare i ricchi è incostituzionale, dichiara la Corte Costituzionale, tutta di sinistra. La tassa l’aveva introdotta Tremonti, ministro quasi leghista, ex socialista è vero, di un governo Berlusconi, cioè di destra. La rivoluzione, eccola qua.

La notte del 16 dicembre 2008 due camorristi intercettati a Roma si accordano per uccidere Giuseppe Casamonica. Per questo i due sono arrestati il 10 febbraio 2015. Stavano ancora affilando la armi?

Giuseppe Casamonica è definito dai giudici che hanno arrestato  i due camorristi “uno dei capi della famiglia rom che gestisce attività di spaccio e usura”.Un commerciante onesto, insomma. Per questo non lo arrestano.

“Obama avverte Putin: armi letali all’Ucraina se la diplomazia fallisce” in prima. E in quinta: “Il presidente americano è scettico sulla soluzione militare”. Ha già cambiato idea in quattro pagine?

L’Unione Europea ha organizzato gli sbarchi dei clandestini nel Mediterraneo in modo che ne muoiano il più possibile.  I 29 uccisi dal freddo domenica notte “potevano essere salvati” secondo i medici di Lampedusa.
Poi, se se ne perdono 3 o 400 con tutti i gommoni non è grave perdita: ce ne sono sempre in abbondanza.

Duemila morti in Ucraina in dieci mesi di guerra civile, ottocento tra gli immigrati clandestini nel Mediterraneo. Dove però la guerra è più economica, non si spara nemmeno un colpo.

Un mese e mezzo non è passato invano, la Procura di Roma procede spedita, e dopo la notte dell’assenteismo, a Capodanno,  che aveva coinvolto, pare, un migliaio di vigili urbani, ne indaga tre. Due vigili e un impiegato.
Li indaga a titolo di “tentata interruzione di servizio pubblico”.

Con i tre vigili la Procura di Roma indaga 600 medici, seicento: quelli che hanno firmato certificati per le Feste di fine 2014. Il problema è sapere se i seicento titolari del certificato medico avevano o non l’influenza.

Questa notizia fa l’apertura delle cronache di Roma. Poi dice che non c’è nulla da leggere sul giornale.

Galliani becca tre gol dalla Juventus, che potevano essere stati sei, e dice che è tutta colpa del fuorigioco. E del gioco?

La metà dei trombati Pd alle elezioni hanno avuto un posto pubblico equipollente, come mercede. Sergio Rizzo ne ha fatto domenica il censimento sul “Corriere della sera”, dettagliato. Si capisce che tutti vi accorrano, da Grillo, Monti,. Alfano, Berlusconi. Accorrano al Pd, un partito che mantiene le promesse.
La sinistra non fa politica, giustamente, come voleva il Buonanima, ma trova lavoro.

“Berlusconi: torniamo all’opposizione” titola il tg Sky. E fa vedere Deborah Serracchiani, di fronte e di profilo. Che abbia cambiato sesso, diavolo di un Berlusconi.

Plausi e osanna per Draghi, che taglia il credito alle banche greche. Per fare contento Schaüble, che vuole fare contenta Merkel, che vuole fare contenti i tedeschi, i quali sono sempre inquieti. Ma non per “fare la faccia feroce”, quella di Draghi non è ammuìna: è un attacco di pirateria. Ha preso in ostaggio le banche greche, perché il governo ne paghi il riscatto, il governo di Atene. Senza trattare.

Vita felice del creatore

Una serie di mostruosità simpatiche, attorno agli ultimi 25 anni della vita del pittore William Turner. Di un uomo felice nell’ossessione: della luce, della creazione. Una serie di aneddoti messi in scena sul fondo velato dei quadri che è la cifra del pittore. Le cui scenografie vuote vengono popolate di personaggi tutti in vario modo imbruttiti, esagerati. Come in un vecchio romanzo dell’Ottocento. Della cui vena ottimista Mike Leigh fa tesoro, imponendo due ore e mezza, quasi tre, di attenzione agli spettatori nevrotizzati di questo post-Novecento – l’umanità è stata meglio. Grande teatro anche, di un filmmaker che è anzitutto un teatrante. Mike Leigh vive Londra come Fellini Roma, mettendola in scena: extralarge e sempre al punto.  
Un grande lavoro di filologia. Nell’ottocento vittoriano ricostituito, nel colore pittorico,  nella teatralizzazione senza complessi, nella distinzione dei personaggi. Grazie anche alla tradizione inglese della recitazione, forse insuperabile.
Mike Leigh, Mr. Turner

giovedì 12 febbraio 2015

Il conto delle primarie a Rome, Italy

A cinque anni da Roma Capitale il sindaco Marino muta il logo. Senza più la lupa e con la scritta Rome & you. Che non vuole dire niente ma implica un appalto multimilionario. Tanto quanto è inutile. Per cambiare logo e dicitura su bus, auto, moto, divise, vetrate, targhe, catarifrangenti, gagliardetti, carte intestate, etc.
Marino è l’ultimo pazzo sano del Pd rimasto a Roma, uno cioè che non ruba in proprio. Ma è troppo ingenuo. Certo, c’è la recessione e bisogna dare lavoro. Anche se, con gli stesi soldi, si potevano rinfrescare molte scuole, magari con i banchi non più scrostati. O asfaltare le strade. Del resto, Roma a chi potrebbe chiedere i danni: al Pd per le primarie?
D’ora in poi le multe non arriveranno più solenni, da Roma Capitale, ma complici, da Rome & you. Da coppiette. Da Rome, Italy, beninteso – non Rome, Illinois, o Pennsylvania, o Maine, o altrove. 

Lo scandalo infinito della seconda Repubblica

Scandalo a Roma: nessuno paga l’affitto al Comune, anche se irrisorio: per 43 mila unità immobiliari gli incassi annuali non superano i 27 milioni, 628 euro di affitto annuo, 52 al mese. Molti peraltro non pagano. Compresi ristoranti rinomati e negozi con larga metratura in posti iperaffolati, Campo dei Fiori, piazza Navona, Fontana di Trevi. Ma non si dice lo scandalo vero: che il comune di Rma nemmeno sa di quanti immobili è proprietario. L’ultima giunta della corrotta prima Repubblica ne aveva disposto il censimento, e l’allineamento ai prezzi di mercato, ma la seconda Repubblica per prima cosa cassò il provvedimento.
Una storia che questo sito ha già avuto occasione di ricordare,
ma vale la pena riprendere:
“Il patrimonio del Comune di Roma ammonterebbe a 40 mila unità. Quasi tutte in zone di pregio. Il condizionale si usa perché il Comune non sa che cosa possiede. E non fa pagare l’affitto o lo fa pagare a canoni storici. Ogni tentativo di farne un censimento è stato fatto fallire.
“L’ultimo portò all’incriminazione della giunta Carraro e di tutti i consiglieri di maggioranza da parte della giudice Gloria Attanasio, finiana, allora usava, a ottobre del 1992: 44 persone. Per un processo che poi non si fece, il gip si disse scandalizzato dall’insussistenza del reato.
“La giudice Attanasio incolpava la giunta di pagare costi gonfiati alla società Census, che conduceva il censimento. Tanto le bastò per ottenere la decadenza della giunta. Il primo atto del commissario Canale fu di abrogare l’appalto. Pagando alla Census come penale più di quanto l’appalto prevedeva.
“Angelo Canale, ora alto magistrato della Corte dei Conti, sarà assessore al Patrimonio della giunta Rutelli, che venne dopo il commissariamento. In tale veste diede la gestione dell’immenso ma sconosciuto patrimonio capitolino a Alfredo Romeo. Un imprenditore napoletano, da cui ebbe regalie”.

L’anarchia e l’orrore, della Legge

Un uomo semplice, un bravo meccanico, che ha finito il servizio militare e ha ingranato nel mestiere, si ubriaca festeggiando con gli amici i venticinque anni. La Legge inflessibile lo condanna al massimo della pena, e poi alla disoccupazione. Il bravo giovane allora, condannato per anarchia, si fa anarchico. Se non che i “compagni socialisti” non sono compagni e nemmeno socialisti, ma ladri, assassini e confidenti di polizia. La Cayenna non sarà lontana, e l’assassinio un fatto come un altro. Una rete mostruosa per sfuggire alla quale il brav’uomo si farà schiavo di uno sfruttatore.
Una storia di errori. E di soprusi, della Legge anzitutto, che come ovunque è in Conrad inflessibilmente cattiva – marcia o stupida. Nonché dell’anarchia come violenza, “il cuore caldo e la testa debole”. Uno dei tanti emblemi – i suoi personaggi sono molto emblematici - del conservatorismo di Conrad (formidabile, se il più eccessivo di tutti, il Kurtz di “Cuore di tenebra”, fu la lettura di molto Sessantotto).
È un Conrad “francese”. Su un canovaccio di Zola, e poi di Anatole Frace, seppure con la pretesa, scrisse in una nota di presentazione, di riferire “fatti reali”. Di uno scrittore inglese che pensava in francese – Ford Madox Ford, col quale avevano prodotto insieme due romanzi, ne disse in morte, il 3 agosto 1924: “Fino alla morte ha parlato inglese con un accento meridionale francese che lo rendeva quasi incomprensibile a ogni inglese che non parlasse un po’ il francese: pensava, me l’ha confessato per l’ultima volta a maggio di quest’anno, sempre in francese”.
Il volume è corredato di due racconti, “La bestiaccia”, e “L’ufficiale nero”, di forze maligne, fantasmatiche.
Joseph Conrad, Un anarchico, Konroi Edizioni, pp. 123 € 15

mercoledì 11 febbraio 2015

Problemi di base - 214 bis

spock

Perché l’America protegge i mussulmani e fa la guerra ai russi?

Perché non si pubblica la lista Falciani?

Perché Renzi cerca la sconfitta alle Camere?

Ma il Pd Marino dove l’ha trovato? 

spock@antiit.eu

L’Europa degli imbe(ci)lli

Muoiono in massa gli emigranti nel Mediterraneo, perché l’Europa ha proibito i soccorsi, e ora l’Europa è molto scossa. Commossa.  L’Europa ama molto gli animali e li protegge. Chissà se questi emigrati non portavano con sé qualche chiwawa o qualche fringuello.
Si discute se salvare la Grecia. Quando la Grecia va comunque salvata. Andava salvata da tempo, senza indebolire l’Europa.
Si dice Grecia ma in realtà si discute sull’egemonia. Se è la Germania che comanda, o Merkel. A cui l’obbedienza dev’esere pronta, cieca e assoluta.
Si discute se l’Ucraina deve assassinare tutti i russi, la metà della sua popolazione. E se magari non dobbiamo fare anche noi la guerra a questi russi di merda.

L’apoteosi del Buonannulla

Un selfie  appassionante , in forma di elusione-evasione picaresca, di un irrequieto “che non porta nulla a compimento, cambia e cambia continuamente” . Con qualche esagerazione rispetto allo Hamsun giovane – qui si ruba, e c’è stato forse l’assassinio di una giovane moglie – ma col personaggio di sempre, senza famiglia, senza radici, senza mestiere, povero e ricco insieme. “L’eterno sperduto del mondo” lo dice il curatore della “Medusa” alla prima edizione nel 1939, e “pittore di minutaglie”, con molta verità - forse lo stesso Luigi Rusca che dirigeva allora la collana di romanzi stranieri. Con un tributo alla giovanilità dell’allora settantasettenne scrittore (quattro anni dopo Rusca sarà un capo partigiano contro l’occupazione tedesca e Hamsun un collaborazionista). E così è.
È strano – un caso – che uno scrittore possa raccontare sempre la stessa storia, la sua, in ogni suo romanzo o racconto, e ogni volta sempre fresca. Cinquant’anni dopo “Fame” – e lo stesso del resto per le narrative intermedie - luoghi e personaggi sembrerebbero ricalcati, riciclati, e invece no, si leggono come nuovi e nuovissimi. Tutto è racconto vivo, anche dei vecchi che al giardinetto, ogni, giorno, “hanno cominciato a morire”. Mentre lui no, l’autore demiurgo ancora quasi centenario continuerà a raccontarsi alla stessa maniera, frivola e tragica, nell’ultima narrativa, “Per i sentieri dove cresce l’erba”, benché lo tengano chiuso fra cliniche e ospedali per non condannarlo alla prigione. Irridente, qui delle vanità femminili. Con una satira della presa di possesso sindacale – della rivoluzione come presa di possesso – prodroma a sicura rovina. 
Abel è il protagonista, come il primo figlio dell’uomo. È il vagabondo, “lazzarone e gentleman insieme” - il Buonannulla dei referenti germanici di Hamsun. È l’apoteosi del Buonannulla, ora ricco ora povero, ora amato ora sfruttato, e indifferente. Senza progetto e senza scopo, come tanti, come in definitiva tutti: “Uno senza nome, un nulla, uno zero”. Uno che aspetta sempre “il momento buono per fare qualcosa”. Uno sradicato, contro l’istinto di ogni specie animale.
C’è un miracolo Hamsun, ed è la scrittura. Se riesce a vivificare una materia che non solo è ripetitiva, ma è anche effettivamente di “minutaglia”, di piccola gente, piccoli affari, piccoli sentimenti. Una scrittura stregata e stregonesca. Il suo segreto qui palese sono i dialoghi, di cui è stato maestro per tanti, a partire da Hemingway,  così vuoti e pieni.
Knut Hamsun, Il cerchio si chiude

La Provvidenza al comando

Facce nuove a Sanremo: Al Bano e Romina, la famiglia giovane con sedici figli, canzoni romantiche d’amore, e uno spazio pure per il garbato Siani.
Ventata rinnovatrice con Renzi  il rottamatore al comando, e anche il festival si libera della tetra Rai Tre. Dei  Crozza, Litizzetto & Co..
Fa anche più ascolti, la metà di tutto l’auditel. La sorpresa dev'essere stata grande: ll consumo culturale non è (più) dettato da Kabul, la Rai getta la mschera.
Parte da Sanremo la desovietizzazione? Con papa Francesco al comando – anche il papa è quello giusto.
È come ha insistito a dire il papà della famiglia più numerosa, e gioiosa, d’Italia: la Provvidenza.

martedì 10 febbraio 2015

Problemi di base - 214

spock

Qual è il correlativo oggettivo di Berlusconi? La ricchezza

E di Renzi?

Perché non c’è Berlusconi tra i multicorrentisti svizzeri? Falciani ha fatto un errore

Ha fatto più guerre Obama o tutti i Bush messi assieme?

Perché gli Stati uniti vogliono sempre fare la guerra?

Tre pentiti accusano di mafia Montante, industriale antimafia: tre valgono più di uno?

Scarpinato, il giudice dei pentiti, è il teologo del “Dio mafioso”: il teologo è più del Dio?

Perché il macellaio non dovrebbe macellare?

Perché il macellaio può e deve macellare?

spock@antiit.eu

Miseria delle Br

È un libro del 1987, quasi in medias res (con un aggiunta del 1998, sulle fandonie di Ali Agca) che si riedita per vanità d’autore. Fenzi, letterato prima che terrorista (Emanuele Trevi nella presentazione lo dice “studioso ed interprete di fama mondiale dei nostri classici, da Dante e Petrarca e Tasso e Leopardi”), evidentemente ci tiene. Ma non ci dice nulla. A parte il già noto. Si penserebbe all’“umanità” del terrorista, seppure particolare, ma non c’è: il narratore è come i cronisti del terrorismo, un po’ increduli un po’, al fondo, invidiosi.
Non che a Fenzi manchino le pietre d’inciampo: assassini (Guido Rossa), suicidi, latitanze, arresti. Ma nulla fuori della prosa d’obbligo. Chi e perche terrorista – parola che non ricorre mai? Boh. Trevi spiega Fenzi, e le Br, col cardinale de Retz. Fenzi quasi si offende: chi mi chiede “perché sei diventato brigatista?” mi offende, fa un atto d’inimicizia – la domanda viene posta perché l’altro non può rispondere. Anche la logica è come la prosa, d’obbligo. La conclusione dell’aggiuntina è che il terrorismo era dello Stato – Fenzi l’ha letto “su «OP», il giornale di Pecorelli”. Anche Alì Agca, nell’aggiunta, ce lo propina per fare un po’ di vittimismo.
Prototipo, anche per essere meglio scritto, o meglio scritto in proprio, senza aiutini redazionali, della letteratura reducista del terrorismo. Meglio: della lotta armata. Perché non c’è nessuna resipiscenza. Di un’esperienza bellicosa vissuta eroicamente. Di un eroismo professorale, molto piccolo borghese - compiaciuto. Che non arretra davanti a una guerra insensata: la guerra ha una funzione, il terrorismo europeo non ne ha avuta nessuna, una forma di estremismo senza capo né coda, solo sanguinosa. Questa semplice verità ancora non è stata detta.
Il terrorismo europeo anni Settanta fu molto intellettuale. Erano intellettuali i promotori, i reclutatori, e le reclute, in prevalenza. Con studi anche avanzati, pubblicazioni, e successiva memorialistica. In Germania, in Italia, in Grecia, in Francia. In Francia e in Grecia il fenomeno è stato circoscritto e riassorbito senza tracce. In Germania è stato cancellato: semplicemente non se ne parla. In Italia si esibisce. Malgrado sia da tempo – già all’epoca delle Br - subentrata una lettura disincantata, più aderente al reale, della figura eroica dell’anarchico, fanatizzato, sprovveduto, manovrato, che fu il progenitore del terroristi, negli scritti di Stevenson, Conrad, Dostoevskij, Belyi, Némirovsky. Di personaggi di poca e confusa cultura, psicolabili, e masochisti, pieni di voglia di morte (sacrificio, martirio). Tutte cose note alla pubblica opinione. Ma non agli “studiosi”? Le Br hano fatto tantissimi morti, ma il letteratissimo Fenzi sembra non saperlo.
Enrico Fenzi, Armi e bagagli. Un diario delle Brigate Rosse, Costlan, pp. 207 € 9

lunedì 9 febbraio 2015

Secondi pensieri - 205

zeulig

Classicità – È frammentaria. È storia, ricostruzione storica. È composta di frammenti, ricostruiti a volte, rimessi insieme. Contro il principio che il vaso rotto non si ricompone. Un puzzle più o meno verosimile. Di alcuni autori piuttosto che di altri, le tragedie greche per esempio, che sono quelle scelte e fatte trascrivere da Licurgo nel 335 a.C. – un canone composto  di alcune opere di alcuni autori, non tutte intiere, e più o meno ricopiate fedelmente e\o riadattate. Mondi, opere e personaggi si scompongono anche a seconda dell’illuminazione che vi si proietta: di luci, toni, angolazioni, tagli,di prospettiva e di testi.
È anzi il campo privilegiato della storia, dell’ermeneutica. Il sottinteso essendo che la classicità è normativa, e quindi va ricostituita, interpretata e presentata. Un procedimento tanto più vero – dichiarato – agli inizi del classicismo: gli umanisti se ne sono serviti, forse non proditoriamente. per dire altro. Anche per gusto antichistico. Ma di più per liberarsi di una normativa etico-religiosa che sentivano stretta e inadeguata.  Coma fattore di rinnovamento, quindi, più che di ricostruzione dell’antico.
Il frammentarismo è d’altronde il suo fascino: la classicità è un terreno fertile, basta seminarvi sostanze vive e riproducibili. Ciò ne spiega anche i cicli: la romanità oggi spenta, dopo un secolo e mezzo di fulgore, il revival di etruschi e italici, i fenici obliterati, la riscoperta micenea, o celta, le voghe.

Il mondo antico potrebbe non essere esistito, alla Baudrillard: è una scoperta e non una riscoperta – è una proiezione di sé: L’antico andrebbe più conseguentemente visto come Fellini, il regista, quando si apprestava a girare “Satyricon”: “Il mondo antico forse non è mai esistito, ma non c’è dubbio che lo abbiamo sognato”. Felini si apprestava a girare “Satyricon” – lo stesso poi con “Roma” - come “un film sui marziani”.
In una visita ai Musei Capitolini  in cerca di ispirazione (di immagini) il regista si fece accompagnare da un antichiesta. Che davanti al busto di Solonina o Salonina, a Fellini sconosciuto, che gli ricorda una cuginetta dai capelli ricci rossi, sempre allettata, a bere acqua contro un’allergia,  gli dice: “Questa Solonina era una specialista di stragi  crocifissioni, il suo più grande godimento era quello di togliere con le sue mani il cuore alle vittime umane durante i sacrifici”. Mentre Solonina non faceva sacrifici, tanto meno umani, assicurò col marito imperatore Gallieno il più lungo periodo di pace ai cristiani nella seconda metà del terzo secolo, e fu a suo modo una classicista, favorendo la ripresa degli studi greci.
C’è continuità ma a ritroso, a partire dal presente.  

Corpo - Locke prima del sensismo, nel “Saggio sull’intelletto umano”, spiega che non c’è niente d’intelligibile che non sia stato prima una sensazione – “È dal corpo che l’anima tiene la facoltà di pensare”. O D’Alembert, volendo bypassare la questione dell’innatismo: “Tutte le nostre conoscenze dirette si riducono a quella che riceviamo dai sensi”. Ma questo è già in sant’Ambrogio, “De Abraham”, libro II, cap. VIII: il vescovo di Milano vi spiega che non c’è nulla che non sia materia, eccetto la sostanza della Trinità.

Dio – “L’empio parla con disprezzo di ciò che crede al fondo del suo cuore”, Diderot. Anche se ne parla con compassione, ma non volendo credere. E certo è una forzatura, dovere o voler credere: credere è un atto e non un fatto o una condizione. La prova del divino è che sia così ingombrante. Il marziano ne è esente?

Dubbio – È il lievito  dell’esistente. E ne è la controprova: non ci può essere dubbio che di una cosa possibile. L’esistente – la realtà – è intessuto di possibilità – è una possibilità.

Fedeltà – Nella coppia è molto apprezzata da Diderot: “Non siamo più allo stato di natura selvaggio”, afferma con insolita eloquenza a chiusura della voce “Infedeltà” nell’ “Enciclopedia”, “in cui tutte le donne erano di tutti gli uomini, e tutti gli uomini erano di tutte le donne. Le nostre fedeltà si sono perfezionate; sentiamo con più delicatezza; abbiamo idee di giustizia e d’ingiustizia più sviluppate; la voce della coscienza si è risvegliata; abbiamo istituito tra noi un’infinità di patti differenti; un non so che di santo e di religioso s’è mescolato ai nostri impegni: annienteremo le distinzioni che i secoli hanno fatto nascere , e riporteremo l’uomo alla stupidità della prima innocenza, per abbandonarlo senza rimorsi alla varietà dei suoi impulsi? Gli uomini producono oggi uomini; rimpiangeremo i tempi barbari in cui non producevano che animali?”

Filosofi – Non possono darsi senza “un onesto superfluo”, spiega Diderot nell’ “Enciclopedia”. La con la casa in Toscana. Anche in Umbria. I “philosophes” della stessa enciclopedia e dell’illuminismo è regola censire come aedi e araldi della verità e la ragione. Ma hanno biografie controverse, tutti eccetto forse Diderot. Erano anche poco anticonformisti: a metà Settecento la guerra ai gesuiti e per il laicismo era matura anche senza i loro pamphlet e trattati. Molti lasciarono  l’“Enciclopedia”, che non pagava, quando il censore Malesherbes rischiò di non poterla più proteggere, a metà opera – l’ “Encicloepdia” è di Diderot. Voltaire fu sempre accomodante, anche al di là delle convenienze. Quando Palissot fece rappresentare alla Comédie Française “Les Philosophes modernes”, contro gli enciclopedisti e i loro sostenitori, Helvétius, Rouseaau, Diderot (“Dortidius”), madame Geoffrin, rappresentati con nome e cognome quasi alla lettera quali intriganti, bricconi malversatori, ricattatori, Voltaire rispose due mesi dopo con una contro-commedia, sempre alla Comédie Française, “L’Écossaise ou le café”. In cui però non attaccava Palissot ma il solito Frèron – Palissot era un suo protetto.
Nella bilancia fra il potere e l’antipotere, l’illuminismo pende più a favore del primo piatto.

Occidente – È, fatte le somme, si sa, la ragione. Che è presuntuoso, presumere troppo di sé. Ma inutile non è. E consente l’understatement, quella specie di regia teatrale con cui il regista fa delle sue pedine prodi Orlando sul Baiardo. Se è qualcosa, la ragione è utile: capisce, fa. I filosofi fanno buoni manager, e i pedagoghi.

Razzismo - È nozione composita, contrariamente all’opinione comune, anche quando si vuole biologico (“sangue”, “territorio”, etc.). Nozione non scientifica, ma pratica (politica) e sentimentale. Il razzismo più radicale, quello nazista, temperava il dato genetico e territoriale con la “tenuta”, lo “stile”, l’ “impronta” di Heidegger, il “mondo ambiente”, l’“essere in comune”.

Selfie – Ha Heidegger per araldo, inconsapevole: l’affermazione del sé e la cura del sé. Nella ripetitività, la superficialità, inutilità. Di immagini falsamente reali – Roma pullula di selfie davanti al Pantheon, a San Pietro, all’Altare della Patria, a Castel Sant’Angelo e perfino al Palazzazzio, di cui non resterà forse nemmeno il nome di Roma, giusto l’emozione per il grandioso e il massiccio. Di questa affermazione e questa mania resta solo il movimento introspettivo. Ma inesausto e inesauribile, insignificante. Divorante anzi, non costruttivo: divagante. Nemmeno, come usa la psicoanalisi, asservito a certi parametri – noti: depistabili, contestabili. Una deriva passiva.
Quanto di questa deriva non era inevitabile?

zeulig@antiit.eu

Quel luogo artificialissimo che chiamiamo scuola

Un piccolo capolavoro di ricerca su “quel luogo artificialissimo che chiamiamo scuola”. Qui nel suo campo di elezione, la pedagogia, il funzionario del vecchio Pci, che moriva due anni fa di questi giorni, riprende gli umori e dispone una piacevolissima conversazione, come soleva, attorno alla sua erudizione – fa quasi senso che un politico fosse così colto, ma non era un’eccezione..
La scuola prende forma nella Grecia del V-IV secolo, a partire da Pitagora – che con la scuola si arricchì. E da allora non è “progredita”, non è cambiata. Il “sadismo pedagogico” fu presto diffuso, il rifiuto della scuola immediato, e generale per tutti gli scrittori. I romani, che l’educazione confidavano al pater familias, come ogni altra proprietà, tarderanno ad adottarla, e sempre più o meno irridendola. Degli etruschi non sappiamo, “la cultura etrusca si manifestò (al pari di quella ebraica) come letteratura religiosa”.
Mario Alighiero Manacorda, Etruschi Greci Romani a scuola, Scipioni, pp. 112 € 3,50

domenica 8 febbraio 2015

Letture - 203

letterautore

Barthes – Non se ne parla benché siano cent’anni della nascita. Era nato scrittore, con le “Mitologie” (1957), ha creato “il grado zero della scrittura”, scomponendo e disattivando i processi creativi,  finì scrittore, malgré lui, col diario-ricordo della madre a un anno della morte. Ottimo scrittore in effetti, anche attraverso la critica e la semiologia dei processi creativi, di cui non una pratica o legge resta applicabile.

Casanova – Fellini lo trovava illeggibile, e quando dovette farlo al cinema come “film «capofila, la carota per il somarello», produttore e pubblico, per poi poter fare il film che interessa, lo svuota. Non riuscendo altrimenti, aggiungeva, “mi sono messo in testa di raccontare la storia di un uomo che non è mai nato, le avventure di uno zombie, una funebre marionetta senza idee personali, sentimenti, punti di vista”. Male accolto, naufragando contro il Casanova personaggio, che si vuole brillante e disinvolto, avventuroso, un don Giovanni pieno di sé, padrone del mondo. Ma non veridico? Casanova era un vecchio italiano rintanato in una cupa regia sassone, che scriveva in francese. Malinconico in effetti più che divertito.

Confessione - Lo “Heautontimorùmenos” di Terenzio o Menandro, su cui si basa la letteratura della  confessione di se stesso senza riserve, alluvionale, quello del “sono un uomo e niente di ciò che è umano reputo estraneo”, significa “il boia di se stesso”. Troppa confessione annienta, non solo il lettore.

“I miei film della memoria raccontano ricordi completamente inventati”. E del resto che differenza fa?” (Fellini, “Fare un film”). I selfie si leggono e si vedono non perché dicono al verità, ma solo se la inventano bene, naturalmente, succulenta.

Dante – Walter Pater lo legge al confronto con Botticelli, nel “Saggio su Sandro Botticelli” (1870): “Proprio ciò che Dante disprezza come egualmente indegno del cielo e dell’inferno, Botticelli l’accetta, quel mondo sospeso in cui gli uomini non si schierano da nessuna parte nei grandi conflitti, non decidono alcuna grande causa, e fanno grandi rifiuti”.

Francia - Quella canonica è di un belga, Simenon. Che la Francia ha anche digerito male: lo voleva ebreo durante l’Occupazione, collaborazionista alla Liberazione, l’ha costretto a un lungo esilio negli Usa, e non gli ha mai riconosciuto status letterario. È una Francia vecchiotta, di provincia e di viali periferici, di passioni indelebili, delle nebbie, del fumo, della birra e dell’ombra. È anche la  Francia del Nord, tra Parigi e le Fiandre. La Francia ha dimenticato la Provenza, da Aix alla Costa Azzurra fino a Marsiglia, che era centrale fino mezzo secolo fa, e l’Aquitania dall’altro lato, compresa la Gironda e Bordeaux.

Il francese diventa lingua franca, veicolare, ben prima di essere adottato dalla nobiltà slava. E dall’illuminismo tedesco, da Federico il Grande in giù.  Con le imprese dei Franchi (ma Carlo Magno parlava tedesco) contro gli arabi, e poi dei Normanni, in Inghilterra, in Italia e nei Balcani.

Kerouac – Buon cattolico, è stato anche chierichetto? La scrittura fratta sembra presa di vangeli, comprese le parabole. Ha anche i miracoli, a suo modo.

Pasolini - Il suo sesso ripetitivo è compulsivo. Non è l’omosessualità proibita, segreta. È diverso in Forster, dove il godimento, muto, è pieno. O in Gide. In lui, dov’è esibito, è stanco. O l’impegno ne suo caso travolgeva il senno – succede quando è mostra d’obbedienza, come da soldato all’addestramento formale. Ci sono poeti che sanno, e i poeti della separatezza, i bozzettisti, talora confusi con i decadenti, cioè i disperati. Pasolini ama cascarci, che alle socie dell’Associazione culturale spiegava: “Ho vissuto tre anni in borgata, condividendo e cercando di capire”. Giacche Palànse per le marchette, ma questo non lo diceva.
Tra le borgate e Termini andavano autobus celeri, per sole cinquanta lire. In quale mondo vive chi cerca nelle borgate la realtà in scatola? Era avido in realtà di miseria, qualcosa da disprezzare per potersi disprezzare, e quindi stabilire un rapporto che chiama amore. La catena s’è rotta a monte. Non si sono fiutati con Ginsberg, miglior poeta, che lo ha cercato, come frocio deve averlo disgustato, fatto di acido, che non sta bene.

Paternità – Patrick Leigh Fermor dà nell’ultima raccolta di scritti – postuma, a titolo testamentario - un ritratto tutto negativo del padre, che fu un apprezzato scienziato. Mentre ne dà uno tutto positivo della madre, che si divertì a fare l’artista svagata, da inglese d’India sbarcata a Londra. Le figure genitoriali non sono utilitaristiche, ma voluttuarie, sentimentali, egoiste: ci sono doveri dei genitori verso i figli, legali e psicologici, non ce ne sono dei figli verso i padri.

Leopardi fu molto legato al padre, contrariamente alla vulgata politica, e ostile, alla sua maniera beneducata, alla madre, Adelaide Antici. La corrispondenza che ebbe da Roma, nel suo primo soggiorno fuori casa, coi familiari, ne dà evidenza macroscopica. Dei parenti che lo ospitano non fa che parlare male, lo zio, la zia, le cugine. e delle figlie. Che gli sono parenti per parte di madre. Carlo Antici è lo zio-padre, presuntuoso, uomo di supposta esperienza, che angaria e offende Giacomo con reprimende e esortazioni, prolisse. Col padre Monaldo, invece, Giacomo corrisponde di letteratura, nonché di filologia, e della biblioteca di casa, che entrambi accudiscono al dettaglio. Con lunghe, ripetute, perfino tenere espressioni di affetto, malgrado le “opinioni e inclinazioni molto diverse in politica”. Può farlo, si capiscono. Mentre a Roma non ci riesce, non in  famiglia – ma, poi, nella città del papa giusto con i letterati stranieri che trova dagli ambasciatori di Prussia, prima Niebuhr poi Bunsen, e dal Reinhold, ambasciatore d’Olanda, amico e estimatore del padre,  riesce a esprimersi.
Nella “leopardiana” Adelaide Antici Leopardi si vuole quella che “salva” la famiglia, a dispetto del bizzoso Monaldo.

Roma - “Se è vero che a Roma ci sono pochissimi nevrotici, è anche vero, come sostiene lo psicoanalista, che la nevrosi è provvidenziale” – allo psicanalista? “È una città di bambini svogliati, scettici e maleducati; anche un pò deformi psichicamente, giacché impedire la crescita è innaturale”. “Insultata come nessun’altra città, Roma non reagisce”. Questo è vero.  “Incarnando i vari ceti di Roma in una figura ectoplastica, mi sembra che ne esca un’immagine pesante: abbastanza tetra, spenta, che suggerisce una visione pessimistica, plumbea: lo sguardo basso, sonolento, rinunciatario, non approvante; non ha curiosità, oppure non crede che la curiosità serva”. “Ora mi domando spesso perché ho fatto un film su Roma”. Uno solo? Fellini ha sette pagine di contumelie su Roma, in testa alla sceneggiatura del film “Roma”. Da “vero” romano, archetipo. Ha fatto del resto una ventina di film, e tutti sono romani.

Scanabissi – Clotilde, in arte Nyta Jasmar, autrice un secolo fa delle “Memorie di una telegrafista”,. Romanzo d’amore passato ignoto, me capitato per caso trent’anni dopo su una bancarella nelle mani di Mario Praz, fu commentato punto per punto, derisoriamente, come se fosse un romanzo dannunziano – prima che Praz si convertisse a esegeta del vate. Anche l’autrice era passata ignota, avendo adottato questo strano nome – non più certo del cognome. Non fosse stato appunto per Praz, che stano nella congerie un accenno a Budrio. Come Nyta Jasmar si meritò nel 1975 un ripescaggio nella collana Centopagine di Italo Calvino, ma con una nota, seria, di Giulio Ungarelli.

Sogno - Scorre come un film muto. Con molti avanti e indietro, e già visto. E quando si sente il bisogno di parlare si soffoca.

Tedesco – Intimidisce. È l’unica lingua di cui si teme sempre di sbagliare la traduzione, e se ne mette tra parentesi a ogni riga la parola chiave originaria. Come se esprimesse un pensiero intraducibile. Incomprensibile.
Molti autori tedeschi, soprattutto filosofi, se ne giovano. Se ne vantano anche, di essere intraducibili.  Mentre il tedesco si esprime diretto, e quasi infantile, nella conversazione, rispetto alla sottigliezza che l’inglese coltiva, e alle formule assertive complesse che impinguano e connotano il francese. Ma è vero che si vuole preciso, e quindi incomprensibile (intraducibile) nella versione scientifica, cioè filosofica.

letterautore@antiit.eu