venerdì 20 febbraio 2015

La Germania si arricchisce con la crisi

Dove vanno i capitali in fuga dalla Grecia jugulata dalla Germania? In Germania.
Lo spiega Hans-Werner Sinn sul “Financial Times”: “Non sappiamo ancora il cosiddetto saldo target dovuto dalla banca centrale greca al resto dell’eurosistema alla fine di gennaio”, di quanto cioè il sistema monetario greco si è alleggerito (indebitato) per effetto della fuga dei capitali. “Ma sappiamo che il saldo attivo della Bundesbank nei confronti della Banca centrale europea è salito a 55 miliardi, il terzo maggiore incremento mensile dallo scoppio della crisi finanziaria otto anni fa. Ciò indica un enorme afflusso di denaro in Germania. Una parte di esso è probabile che venga dalla Grecia”.
Sinn, presidente dell’Ifo, l’istituto della congiuntura, Premio Erhard per gli studi economici, collaboratore accreditato del “Financial Times”, è nemico dichiarato, molto polemico, dei paesi “latini” o “mediterranei”, come li chiama lui. È stato ostile all’euro, e ultimamente alla Banca centrale europea, contro la quale ha promosso il giudizio della Corte costituzionale sull’annunciato acquisto di quote del debito dei paesi membri.
La Germania non si arricchisce solo con la Grecia, al debito greco. All’effetto spread sui titoli del debito della Grecia - e dellItalia, etc. - si somma l’attivo delle banche, privilegiate dai capitali in fuga. Grazie anche alla parallela campagna contro le residenze fiscali più accomodanti, il Lussemburgo e il principato di Monaco. Il consolidamento finanziario della Germania, che all’inizio della crisi era la più esposta, è il motivo principale per cui l’Europa non risolve la crisi stessa dopo otto anni. La “paura dei tedeschi” che si fa valere è manovrata, l’opinione pubblica ne è vittima più che artefice.
Molto pieno di sé, collezionista di premi e decorazioni, Sinn è stato membro per almeno un decennio del consiglio di sorveglianza della Hypovereinsbank di Monaco, dalla fondazione del gruppo nel 1998. Che Unicredit ha rilevato sette anni dopo per salvarla dal fallimento. 

Ombre - 256

“Gentiloni e Pinotti sono persone serie”, garantisce Franco Venturini sul “Corriere della sera”. Che altro avrebbero detto e fatto, sulla Libia e fuori, se non lo fossero state?
Volevano fare la guerra alla Libia, con 5 mila soldati.

Torna la seconda maestra, gli insegnanti precari sono stabilizzati, dopo venti e più anni, se ne assumeranno anzi altri 150 mila, e si restaurano le scuole. Torna la Dc e torna la scola. Pubblica. Che i Berlinguer e i De Mauro avevano stroncata. In omaggio alla contabilità, certo. Cioè moltiplicando la disorganizzazione, e i costi, anche monetari.
Però, il Pci-Pds-Ds partito dei contabili non è male.

“Durante il regime di Morsi”, spiega il deputato 5 Stelle Giorgio Sorial, copto, “le violenze furono molte ma i media ne parlavano poco, forse perché era appoggiato dagli Usa”. Le violenze contro i copti in Egitto, come ora in Libia, altro regime installato dagli Usa, e i cristiani in genere. Bisognerà ricordarsene quando si farà la Norimberga dell’islamismo.
Perché una Norimberga sarà fatta, altrimenti sarà scomparsa l’Europa.

Si fanno prime pagine e talk-show tv su cosa ha detto Sacchi. Se veramente vuole gli africani, anzi i neri, anzi i negri, fuori dal campionato. Cosa che lui non ha detto. Lui Sacchi Arrigo, l’allenatore di Rejkaard e George Weah, nonché il direttore generale a Madrid di molti africani. C’è voglia di razzismo nell’antirazzismo.
D’intolleranza anche: l’antirazzista è superiore.

Non sono pochi i renitenti alla leva tra i richiamati in Ucraina. Quaranta, cinquantenni che si rifiutano, semplicemente, di andare a sparare nell’Ucraina orientale. Anche nomi noti, come Shevcenko e Zavarov. Ma non se ne parla. Si vuole la guerra ucraina provocata dalla Russia. Non dalla Polonia e dagli Usa, dal partito polacco americano, come credono gli ucraini?

Gli ucraini russi dell’Est del paese accusano l’Unione Europea di aver degradato la situazione a Kiev. Montando oligarchi e corrotti di ogni specie. Il che è vero.

Di 150 mila battezzati che mons. Martinelli, il vescovo di Tripoli, aveva all’inizio della sua missione, ne sono rimasti “meno di 300”. Non si può dire che Sarkozy, il presidente della cristianissima Francia, abbia sbagliato il colpo. Sarà salito in che grado nella massoneria?

Sciopero Fiom a Pomigliano contro gli straordinari. Aderiscono in cinque, su millecinquecento, i delegati sindacali della stessa Fiom. Ma Landini, il leader della Fiom, è il capo manipolo della sinistra in tv.

La Roma Primavera perde 4-0 a Viareggio con l’Inter Primavera. L’allenatore dei ragazzi giallorossi, Alberto De Rossi, può dichiarare: “Siamo fortissimi. Abbiamo sempre condotto la gara, dimostrando grande carattere”. Roma si compiace.

“Non sono potente”, si difende Lotito con Fabrizio Roncone sul “Corriere della sera”, “sono apprezzato da tutti. Tutti a parte quello che dice di essere il presidente della Roma”. Che “dice di essere” non lo dice solo Lotito, lo sanno tutti che l’avvocato Pallotta rappresenta solo se stesso. Ma non si può sapere chi è i padrone dell As Roma, società quotata in Borsa.

Richieste imperative di privatizzazione dell’impiego pubblico, con la licenziabilità. Ne va della modernizzazione dell’Italia, della produttività, etc. Ma un megadirigente del Comune di Roma non si può licenziare. Il Tar, la Corte Costituzionale, il “Corriere della sera” e “la Repubblica” si indignano. Perché il licenziato è, si dice, di sinistra, e il manager subentrante di destra? O perché il licenziato è un magistrato?

Napolitano licenziò Berlusconi nel 2011 perché aveva solo 308 voti al Senato. Con 308 voti al Senato Renzi ora cambia la Costituzione. È vero che è cambiato anche il presidente della Repubblica. O è lo stesso?

La poesia è l’essere dele cose

“Siamo solo all’inizio, vedi. Come prima di Tutto. Con mille e un sogno senza di noi e senza fatti. L’ambizione? “Divenire un iniziatore. Uno che scrive una prima parola dopo una striscia secolare di pensieri”. Rilke debutta con questo singolare programma artistico, testamentario.
È un testo breve, di quaranta annotazioni, per una rivoluzione del teatro e della cultura, e della propria vita e vocazione poetica – in entrambe le edizioni l’originale affianca la traduzione. All’indomani dell’incontro con Lou Salomé, che lo iniziò alla passione e a Nietzsche, e della scoperta dell’arte a Venezia e Firenze. “Dipingiamo ancora sempre gli uomini su fondo d’oro, come i primissimi primitivi. Stanno davanti a qualcosa d’interminato”. Mentre le figure prendono corpo e anima con la pittura successiva, dove “il paesaggio riluce dietro di loro come un’anima che avrebbero in comune, da cui esse estraggono il loro sorriso e il loro amore”.
Le figure che più ammira e esplora, i santi di Marco Basaiti, trova tese “fuori della loro felicissima prossimità”. Così noi: “Noi siamo dapprima proprio come loro. Benedicenti nostalgie”. I tecnicismi teatrali nei quali s’inoltra nella seconda parte delle note, da contemporaneo di Reinhardt, Mejerhold, Copeau, una generazione dopo Stanislavsky e Maeterlinck, sono in realtà un piano d’azione, per recuperare “il canto della vita”, “il Grande, il Senza Parole”. L’ispirazione – la visione – sarà quella di queste pitture adulte: “Feste rare”, in cui “un essere davanti a te si distacca calmo e chiaro sullo sfondo della sua magnificenza”. La poesia come ogni altra espressione estetica: “L’arte fa lo stesso. Essa è anzi l’amore più ampio, più smisurato. È l’amore di Dio”. Senza più “il diritto di fermarsi all’individuo, che non è che la porta della vita – deve attraversarla”.
Rainer Maria Rilke, Appunti sulla melodia delle cose, Passigli, pp. 83 € 8,50
Notes sur la mélodie des choses, Allia, pp.63 € 31,10

giovedì 19 febbraio 2015

Secondi pensieri - 206

zeulig

Autobio – È una ricerca o professione di fede? È nello stadio religioso del cammino della vita che “l’io coincide con se stesso”, Kierkegaard da tempo l’ha scoperto: si diventa se stessi superando dubbi e angosce nella fede.
Se non è parte della generale presa di possesso - pur in mezzo alla celebrazione del furto contro la proprietà. È il tesoro dei poveri, certo, l’io misirizzi, che Eraclito vuole “demone dell’uomo”, il genere prolifera in quanto possesso di se stessi. Ma nell’epoca in cui l’io si disintegra, secolarizzato.

Bellezza - È bella in quanto non legata al possesso, solo ai sensi, la vista, l’olfatto, l’udito – già Omero lo spiega. Il possesso vero essendo non delle cose ma delle anime, cioè del corpo. La bellezza per questo resta intatta al diavolo e ai santi, o alle ninfe, il possesso è carico d’ignoto, è una sfida che si rinnova.

Corpo – Non c’è spirito senza, evidentemente. Lo spirito ne è anzi un sesto senso – seppure non legato a un organo preciso, con una funzione precisa: si può dire lo spirito il senso di tutto il corpo. Con varie articolazioni a sua volta funzionali, come quelle che i sensi assicurano al corpo: memoria, sentimento, desiderio, fantasia, curiosità. Di cui dovrebbe essere possibile tracciare la chimica. O forse no. 

Dio – Morendo, ha ristretto gli spazi, non li ha ampliati.

Figli – Se hanno una famiglia, è per soffrire. Anche nel migliore dei rapporti. Nell’età dell’obbedienza passiva, e poi dopo, anche nel più autonomo dei rapporti.
Senza la famiglia è lo stesso. Ma non necessariamente. È sempre una condizione di dipendenza, ma non obbligata – non più dopo la nascita.

Freud – “Il grande problema che non è mai stato risolto, e che io non sono ancora stato capace di risolvere nonostante i miei trenta anni di ricerca sull’anima femminile, è: che cosa vuole una donna?” E un uomo? Si può limitare Freud in molti modi, per molteplici aspetti. Ma non così rudemente come lui stesso fa.

Intenzione – René Char, “Lettera amorosa”: “Chi non ha sognato, vagando per il viale delle città,  un mondo che, invece di cominciare con la parola, debuttasse con le intenzioni?” Le intenzioni senza causa – originarie: di che fa impazzire E.S.Anscombe, trattatista della “Intenzione”, e i neo aristotelici.

Matrimonio Con i figli è una gabbia. Senza figli è per la coppia nell’ordine delle cose, le persone sono diverse. Forse incapaci ormai di convivere, gli spazi si vanno restringendo col progresso, materiale e morale, la casa e la disponibilità (generosità, empatia), ma non obbligati.
Lui parla e io parlo, e le nostre parole non si scambiano, dice la Lust di Valéry. Il quale, nell’Alfabeto dell’eros, vede alla lettera O “una figura ordinata e odorante di giardino”, scossa da “un abisso mobile, in marcia, errante”, in cui “due anime diverse si muovono separatamente verso la loro somiglianza”. Se non che ognuno “si tormenta a causa dell’allontanamento interiore del suo altro sé”, e la somiglianza “se la crea, se la ricrea in sé indefinitamente come supplizio, facendosela ora troppo cattiva, ora troppo amabile”. Così, “ora troppo odiato, ora troppo amato, l’amore inquieto compone e lacera l’immagine”.

Ci fu un tempo, che Frazer ha esplorato in quattro volumi, in cui l’uomo sposava solo donne della sua tribù. Per non dire dei faraoni, che sposavano le sorelle. Una volta il coniugio era necessariamente incesto, ancora Zeus genera Persefone con la madre Rea, e con la figlia Persefone genera Dioniso.

L’origine del matrimonio, è evidente, è conservativa: del patrimonio, i figli, le energie vitali. Come un mercante che, realizzati i suoi colpi, investa in congegni di sicurezza per proteggersi. Del resto, l’annota già l’Anonimo di Erfurt, la donna deve scegliere un uomo inferiore, per mostrarsi di animo nobile e averlo fedele. L’uomo invece deve salire ai gradi alti, e amare una donna superiore a lui. È facile in queste verticalizzazioni non centrare l’obiettivo. Benché Camus si accontenti, filosofico: “Coloro che amano la verità devono cercare l’amore nel matrimonio, l’amore cioè senza illusioni”.

Quello classico, della ragazza vergine, è triste perché sa di sacrificio umano. Dumas figlio, che fece la poesia delle puttane, sosteneva che il matrimonio è semplice: “È là soltanto che c’è amore. L’amore senza stima non va lontano, né in alto”. E al figlio che non aveva consigliava: “Non è col possesso fisico che si conoscono le donne, una donna che ha un amante ha sempre qualcosa da nascondergli”. O è al contrario, il matrimonio serve a copulare: Strindberg lo scrittore aborriva ogni parola di sua moglie, l’unica donna con cui scopava con piacere.

Come la carne di tartaruga sa di ogni tipo di carne, dice Kierkegaard, così il matrimonio - Kierkegaard si mangiava le tartarughe?
Kierkegaard non si sposò per diventare poeta: “Si è mai sentito di uno che sia diventato poeta a fianco di sua moglie?”. E si consolava: “È comico che l’alto volo dell’amore finisca sempre, come le conserve di frutta, alla dispensa; ma è anche più comico che questa conclusione ne sia la suprema espressione”.

S’incontra costante nei viaggiatori in Oriente il fascino della donna – nell’Oriente urbano: Il Cairo, la Persia, Istanbul. Di donne piacevoli perché senza complessi, libere come alle “Mille e una notte”, sensibili, intelligenti. Non dal diritto, né dalla rivolta, neppure dalla foja, solo dal piacere mosse, senza sospetti né rivalse. Effetto e origine del sigheh, il matrimonio a tempo, che le rende serene e piene di sé.
Si pensa il sigheh trucco maschile, e invece sta comodo alle donne, le libera dalla soggezione sessuale e dalla famiglia. Lo studiavano nei salotti la marchesa di Rambouillet e Madeleine de Scudéry a Parigi nel Seicento. Perché, inutile girarci attorno, il matrimonio lo inventò l’uomo per assicurarsi che i figli della donna, possibilmente maschi, fossero i suoi, in vista dell’eredità, quando il possesso s’impadronì del mondo.

Rivoluzione – Quella sociale è – era – una presa di possesso. “Una presa di possesso” dice Gramsci il Risorgimento. Incarnazione hegelianamente mediocre della ragione hegeliana, la ragione della rivoluzione della borghesia.
È possesso anche la rivoluzione di Heidegger - essere e avere non è solo un titolo di Gabriel Marcel, se essere è avere. L’essere è se stesso: storia, classe e Volk-corpo sociale. La fisicità è l’eterno incomodo del pensiero occidentale, da Kant, e gli altri scozzesi liberali, ai padri della chiesa. La fisicità eleva e razionalizza il possesso. E la morte che viene in primo piano esorcizza la violenza, in quanto rivoluzionaria.


La rivoluzione è sovversione, è bene intendersi. Ma se l’idea rivoluzionaria è di tutti, allora è conservatrice. Mentre l’idea conservatrice, se le si oppone, sarà rivoluzionaria.

zeulig@antiit.eu

L’amicizia amorosa

“Una guerriglia senza colpe”, una fantàsia pirotecnica. Un poema in prosa, da innamorato-innamorato, “per Yvonne”. Composto nel 1952 e subito illustrato da Jean Arp, successivamente da Braque – entrambe le illustrazioni sono qui riprodotte. Composto su ispirazione di Monteverdi, il madrigale del libro VII “Se i languidi miei sguardi – Lettera amorosa a voce sola in genere rapresentativo”. Su una poesiola di Claudio Achillini, il giurista, diplomatico e poeta marinista bolognese, famoso nel Seicento in tutta Italia, che Manzoni deriderà un paio di volte nei “Promessi sposi”. Char non se ne adonta, è innamorato e felice di esserlo.
La dedicataria è Yvonne Zervos, a cui altri poemi Char aveva indirizzato nel 1946 e nel 1947. Di lei, di cui gli studiosi di Char si Ciccano di non sapere, il poeta disse infine: “Yvonne mi era una ispirazione. Mi ha incoraggiato a scrivere e a pubblicare, anche durante dei periodi di attività creativa difficile”. Di suo nome Yvonne Marion, moglie del critico d’arte, collezionista e gallerista Christian Zervos, greco di origine, editore-direttore a Parigi dei “Cahiers de l’art” che consacrano il rinnovamento dell’arte negli anni 1910-1920, col quale gestirà la galleria omonima, attiva per molti decenni – ne beneficerà anche Antonio Corpora. Una coppia molto attiva: Christian Zervos sarà all’origine con René Char nel 1947 del festival d’Avignone. Yvonne morirà nel 1970, mentre preparava la retrospettiva Picasso a Avignone. Il marito la seguirà dopo poche settimane. Yvonne aveva 47 anni nel 1952, Char 45.
Un esempio raro di amicizia amorosa.
René Char, Lettera amorosa, Archinto, pp. 102, il. Ril. € 15
Lettera amorosa, Gallimard € 6,90

mercoledì 18 febbraio 2015

Letture - 204

letterautore

Correlativo oggettivo – È l’emozione, o la serie di emozioni, che un evento, un oggetto, una situazione evoca con immediatezza. Per abitudine mentale, o anche solo lessicale – ma forse per imprinting. Il caso più famoso è “Ossi di seppia”, il titolo della prima raccolta di Montale, 1925: gli ossi di seppia sulla spiaggia evocano sensazioni crepuscolari, malinconiche e anche di morte  o abbandono. Il conio della nozione stilistica, che sarebbe stata elaborata da Washington Allston, il pittore e poeta paesaggista americano, nella prima metà del’Ottocento, nell’introduzione alle sue “Lectures on Art” del 1849, è attribuito a T.S.Eliot, che la spiegò e utilizzò nel 1919 nel saggio su Amleto – “una serie di oggetti, una situazione, una catena di eventi pronta a trasformarsi nella formula di un’emozione particolare”.
È la forza del romanzo-scandalo di Houellebecq, “Sottomissione”: l’impossibilità di associare all’islam, in qualsiasi forma, non altro che sensazioni negative. Nulla è detto contro l’islam, che d’altronde nulla fa nel romanzo di riprovevole, ma il solo fatto che ci sia, che percorra la società francese, che stia andando al governo, crea uneasiness

Dante – Islamizzarlo è impossibile. Nel mentre che si ripropone Asìn Palacios, “Dante e l’islam. L’escatologia islamica nella «Divina Commedia»”, e si riscoprono le fantasiose ipotesi di Maria Corti sul suo arabismo, il fondamentalismo islamico non lascia varchi: Dante è blasfemo. Non si potrebbe dargli torto, Maometto e il suo genero Alì Dante tratta nel canto XXVIII dell’“Inferno” con la stessa ferocia dei fondamentalisti . Le tante traduzioni della “Commedia” in arabo, una mezza dozzina, devono tagliare o censurare i quaranta versi (22-63) del canto in cui si insolentisce il profeta dell’islam.

Ci sono versioni preliminari del “Libro della Scala” - dell’ascensione del profeta al paradiso, che secondo Palacios Dante avrebbe imitato – che rappresentano Maometto squarciato dall’angelo di Dio. Lo rappresentano cioè come Dante lo rappresenta. Ma con significati opposti. Lo squarciamento è in quelle prime versioni del miraj, il viaggio di Maometto, preliminare allo svuotamento di tutte le cattive dottrine e le malvagità, per riempirlo di fede e saggezza. In Dante è una pena, il “contrappasso” – termine hapax, qui usato per l’unica volta: Maometto viene diviso in due per avere diviso l’umanità in due fedi.  

Mamma - È lemma inglese antico, anche se non tanto quanto in italiano, che lo registra plurimo in Dante. Anche con la doppia mm-.
Il “mammismo” si vuole invece italiano. Un neologismo coniato da Corrado Alvaro nel 1952 in un articolo per il “Corriere della sera”, per dire della madre chioccia, e più dei figli che oggi si direbbero bamboccioni. Con riferimenti alla Grande Madre mediterranea, etc. Un fatto sociologicamente non provato, e contro il senso comune. La Grande Madre è piuttosto la famiglia, la parentela, e questa non ruota attorno alla madre. .
Pane – C’era il pane ferrarese. Di forme leggiadre, fantasiose, e anche sexy. Giambattista Vicari ne fece illustrazione sul “Caffè”. C’è ancora ma si vende come pane coreano.

Pasolini – Si presentò a Venezia per “Medea”, due anni dopo aver denunciato la Mostra come una celebrazione di borghesi, fingendosi  innamorato della Callas, la quale si fingeva innamorata di lui, roba da ufficio stampa. Sarà stata un’idea di Rossellini, Franco, il produttore, che aveva avuto l’idea della Callas tragica – ne aveva ben motivo: dopo otto anni di passione con Aristotele Onassis ne era stata abbandonata, per la frigida Jacqueline Onassis. E solenne annunciò un film su San Paolo. “In alternativa”, aggiunse, “a Gilles de Rais”, quello che si faceva i bambini. Dopo aver fatto l’estate con Moravia in Romania la cura del gerovital.
Una vera biografia ancora manca, e un assestamento critico dell’opera. Specialmente dolente, alla rielttura, nella parte saggistica, per la quale in Italia è più famoso. Era stato a Mogador, anche lui, al tempo giusto, malgrado il suo rifiuto programmatico del ’68, quando ogni freno era caduto, vi aveva scoperto il mondo arabo, maschile, ne fece oggetto di eccitata cronaca. Meditando “nuovamente”, scrisse ai lettori nella rubrica, di crearsi un’altra nazionalità. Nel mentre che dava lezioni a Moravia: “Il codice grammaticale è non normativo, non normativo, caro Alberto”. Distrattamente, peraltro, da maestro di scuola  - il maestro è sedentario mentale, e normativo. Dicendosi ormai “impegnato” nel cinema. Di cui però decretava: “Il pubblico del cinema è «massa»”, c’è ma è come se non ci fosse, mentre “il pubblico del teatro è «folla», può reagire”.

Troppe volte è deprimente. Uno scrittore, astraendo dalla sua storia, che esercita l’arte di Liala tra maschi membruti e signorine Scudéry, un mondo irreale e assurdo seppure nella vergogna – mademoiselle aveva però esordito con un titolo promettente, le Lettres masculines, sulle pene che le donne infliggono agli uomini. Il mondo dei vinti è come la carte du tendre, astrazione. La voglia di scandalo pure, se non è stanchezza.
L’“Usignuolo della chiesa cattolica” fu già celebrazione dell’amore dei ragazzi – non censurata peraltro, e nemmeno contestata. Fresca, prima della maniera e la carriera. Di religiosità profana, essendo i preti moralisti. Blasfema forse, se nell’amato Giovanni, giovinetto, il poeta ritrova Dio col Cristo: “Perduti in nubi\ d’indifferenza\ in Sé ci chiama\ e a Sé c’informa\ questo Tuo Corpo”. E tuttavia poesia religiosa, per quell’intimità col creato che fa il cristianesimo di Roma. Con l’unica poesia verginale per la Vergine dei moderni canzonieri. Gioioso nella malinconia.
Al cinema è diverso: il cinema è lampo e libertà, in quanto è luce, ma il sesso il poeta vi fa sordido.

Scrittura - È recente, nel Mediterraneo ha 2.500 anni. Nel senso di letteratura scritta, e quindi tramandata tal quale, anche con le varianti, e della storia. Da quando Pisistrato, a metà del VI secolo a.C., fece mettere per iscritto Omero – di cui pero continuò la recitazione, e quindi la variazione, introdotta contemporaneamente da Ipparco nelle Panatenaiche. Le tragedie di Eschilo, Sofocle e Euripide, alcune, dalla  decisione di Licurgo nel 335 di farle trascrivere – quelle (alcune) di questi tre autori e non altre.
Ancora due secoli dopo Pisistrato, Platone manifestava ripetutamente, nei dialoghi e nelle lettere, la nota avversione per i testo scritto. “I libri”, dice nel “Protagora”, “non saprebbero né rispondere né porre domande”. E nel “Fedro” il libro “ingenererà oblio nelle anime di chi lo imparerà”.
La scrittura promuoveva un’accelerazione-moltiplicazione nei processi della memoria analoga a quella che dopo due millenni e mezzo produce la rete.

letterautore@antiiteu

Quando internet collassò

Si vive come su internet, anzi su facebook, in questo racconto di un secolo fa, e si comunica via skype. Si mandano pure messaggini, talvolta con immagini. Dentro la terra, ma fuori di essa, avvolti nella Macchina. Ognuno vive chiuso nella sua gabbia, trasparente e invisibile, nella Macchina universale - “la gente non si toccava mai l’una con l’altra”. E anche la conoscenza non dev’essere diretta ma per sentito dire, eco di echi. In modo da costruire generazioni “semplicemente monde da macchie di personalità”. Un figlio remoto, degenere, nato forse ribelle per un residuo genetico, una minima anomalia, recupera “il senso dello spazio”. Scopre cioè la terra: il sole, l’aria, le nuvole, l’alba, il tramonto, il sangue – ma non si salverà..
È anche un mondo al rovescio, ma per modo di dire: “All’alba del mondo, i deboli venivano esposti sul monte Taigeto, al tramonto ai forti si applica l’eutanasia, perché la Macchina possa progredire eternamente”. Un tempo già remoto, in cui la Macchina “ha imbrigliato Leviatano”, la Natura cioè, con le paure connesse e gli entusiasmi. Anche questo mondo ha un Libro, ma è il Libro della Macchina. Non più l’uomo è la misura ma la Macchina – McLuhan dirà il Mezzo.
Un Macchina sempre più perfetta e “fuori controllo”. E benché perda colpi, “anno dopo anno servita con accresciuta efficienza e diminuita intelligenza”. Fino al giorno in cui, “senza il minimo avvertimento, senza nessun segno preliminare di debolezza, l’intero sistema di comunicazione collassò, in tutto il mondo, e il mondo, come lo concepivano, finì”- “con la cessazione dell’attività un improvviso terrore subentrò, il silenzio”.
Qui, sul finire, Forster si tratta male: la Macchina già dato segni di debolezza. Forse per la stanchezza. La stanchezza dell’autore, che, ha detto di questo racconto, lo scrisse come “reazione a uno dei giovanili paradisi di H.G.Wells”. E ci fa sopra anche la morale: la Macchina si scioglie per il “peccato contro il corpo”, la fisicità.
Accompagna l Macchina in questa edizioncina “L’omnibus celeste”, il racconto dequinceyano sul poeta vs. il critico., la fantasia contro la pedanteria.
E.M.Forster, The Machine stops, Penguin, pp. 83 € 3,50
The Machine stops-La Macchina si ferma, Portaparole, pp. 156 € 16

martedì 17 febbraio 2015

Il mondo com'è (205)

astolfo

Bonghi - Al museo Etrusco di Villa Giulia a Roma una serie di fotografie e di reperti fa intravedere il fascinoso museo kircheriano che il ministro Ruggero Bonghi volle disperso. Bonghi, chi era costui? Un devoto di Manzoni. Non un mangiapreti, al contrario un devoto rosminiano. Tanto devoto che odiava i gesuiti. Abbiamo avuto anche noi i talebani, a danno della cultura.

Femminismo – Si dissolve, sia dell’identità, sia della differenza, nell’islam. Che è anche un fatto femminile: si dimentica, ma le donne sono larga parte del revival islamico, anche nelle forme fondamentaliste estreme. Della separazione e anche della sottomissione. Che le masse e anche molte intellettuali ritengono sufficientemente garantita. E comunque meglio che gli obblighi mondani cui la condizione femminile le espone nella vulgata femminista. Che è comunque tutta occidentale. Non va – non ha appeal, non funziona – nel matriarcato africano, né in quello indiano, dei Naira e altri gruppi. E anche nella poligamia india sudamericana.

Führerprinzip – È stato evocato in Germania per la “rottamazione” radicale che Angela Merkel ha fatto del suo partito, ultima arrivata, quindici anni fa. A cominciare dal suo padrino e mallevadore, Helmut Kohl. Tutti i maggiorenti della Cdu sono stati giubilati e sostituiti con più giovani di lei, preferibilmente senza titoli politici né bacini elettorali. È stata la dottrina in vigore in Germania con l’accesso di Hitler alla cancelleria ai primi del 1933, in base alla quale ogni organismo (istituzione, scuola, ente) deve avere un solo capo, con tutte le competenze e le responsabilità. In questo senso è più simile alla “rottamazione-con-governo” di Renzi, l’assunzione di tutti i poteri: ne è il congegno politico principale. Nei confronti dell’opinione e della società (imprese, sindacati, media) ma anche delle istituzioni : le assemblee elettive (consigli locali, Parlamento nazionale) la presidenza della Repubblica, il potere giudiziario.
Il Führerprinzip rimproverò nel 1978 Riccardo Lombardi, capofila della sinistra del aprtito Socialista, a Bettino Craxi neo-segretario dello stesso partito. Il cui apporci politico Renzi seguita con più arroganza, grazie anche alla maggiorazna relativa di cui gode il Pd, il suo partito. Ma portò Craxi alla rovina, e anche il suo partito, il Psi, alla scomparsa, dopo cento e passa anni.

Germania – L’equivoco con la Germania è che si presume romanizzata, mentre non lo è stata. Fino al IV secolo era romana un parte della Baviera e della Svevia – quella prospiciente il Reno, Treviri, Magonza, Bonn, Colonia, e niente più. I romani non si avventurarono nella Selva Ercinia, che copriva i tre quarti dell’attuale Germania – in essa, secondo Strabone”, si poteva “viaggiare per sessanta giorni di seguito” e non scoprirne i confini. E trascurarono i bacini fluviali del Nord, per approdare alla più fertile Inghilterra.

Lavoro – Comincia presto. È previsto dalla Bibbia, dall’ordinamento celeste, ed è al fondamento della Grecia. Esiodo con “Le opere e i giorni” ne dispone un ampio manuale. C’è già in Esiodo il lavoro artigianale salariato, con la specializzazione – in Omero Ulisse csi costruisce da sé la reggia e le navi.

Rivoluzione – È, tutto sommato, imprevedibile. In Russia, paese terragno, fu opera di marinai. E quando piove non si fa, neppure in Francia. Inoltre vuole stomaco forte. Sade, per dirne uno, ne fu sopraffatto, la rivoluzione l’eccitava fino a soffocarlo. O Pauliska. L’eroina delle Misantrofile dichiara in prima battuta: “Ho subito gli eventi di una rivoluzione di cui nessuno ha potuto calcolare le conseguenze e in cui tutto ha fatto difetto: la conoscenza del passato, le ipotesi sull’avvenire, la scienza degli uomini, la morale eterna”.
La rivoluzione può essere masochista: nella Comune Rimbaud sedicenne fece festa assoggettandosi a un’orgia di gruppo. Ma la violenza crea dipendenza. I professionisti ne conoscono l’economia, il criminale, lo sbirro: hanno il senso e il limite della violenza che vanno a commettere, graduata come una moneta. Chi invece la esercita per vizio, insonnia, o nobile causa, non si pone limiti. È il prezzo vero del patto col diavolo, l’impossibilità di scioglierlo. Non è cinismo, il martirio socialmente è costoso, mutare codice morale: eretici, apostati, ribelli, terroristi diventano fatalmente fascisti, o delatori. E allora cos’è?
È che troppo allegramente uno s’è creduto nel Quarantotto, con tanti gruppi quanti allora erano i club, Montanari, Vesuviane, Antonini, Artisti Drammatici, dove il cittadino Denier, “visto che le case sono ammassi di pietre, più o meno ben disposti”, abolisce l’affitto. O il cittadino Muré che libera l’ipocondria con l’aria compressa: “L’aria compressa porterà aria fresca nelle case e gli opifici, colerà il bronzo, polirà il rame, segherà la legna, luciderà gli stivali, rifarà i letti, molirà il caffè e spegnerà le candele: l’aria compressa ci farà per così dire padroni delle stagioni, dandoci a vo-lontà e gratis il calorico e il frigorifico!”
La rivoluzione è, storicamente, per due mesi utopia: si ride perché tutto è possibile, si balla e si fa l’amore, per questo si rompono i fanali. Poi, come dice Engels, “quando il 1789 arriva, il 1793 non tarda a succedergli”. A Mosca prima arrivò l’alcol: per due mesi l’ubriacatura si trasformò in assalto alle bottiglierie, le osterie, le cantine.

Roma  - L’antica Roma ebbe un secolo, dopo i Severi, di caos continuato. Compreso un mezzo secolo di militarismo, truce, perfido, di colonnelli, balcanici e asiatici, traditori, cattivissimi. Che un impero sia esistito e abbia avuto una continuità successivamente anche impegnativa, è il miracolo della legge romana.
La mostra romana che spiega il secolo, intitolata “L’età dell’angoscia”, si rifà agli studi di Eric Dodds, un irlandese.

Sorbona – Per secoli è stata, fino alla Rivoluzione del 1789, istituzione regolatrice e censoria, una sorta di Congregazione dell’Indice – ora della Fede: il tribunale degli scritti e delle idee. Sempre legata alla corte e al potere politico, a differenza delle altre istituzioni accademiche europee. Che in Italia hanno goduto sempre di totale autonomia. Mentre in Gran Bretagna e nell’Europa centrale, Germania compresa, dove erano legate alle autorità religiose, hanno beneficiato del pluralismo cristiano. Ha mantenuto i tratti censori anche dopo la rivoluzione dl 1789, benché sfidata da altre istituzioni  - il Collège de France, l’Institut d’Études Politiques, etc.

Uxoricidio - È nelle cronache per casi sempre più numerosi e crudeli di uxoricidio in senso proprio, di femminicidio. Ma nella storia è stato quasi sempre al contrario: re e eroi vengono sterminati dalle mogli, amanti, madri, sorelle.

astolfo@antiit.eu

Il piacere dell’esilio (interiore)

Piccole prose da terza pagina - feuilletons, elzeviri - che Roth sa animare, l’incantatore è lui: il prestigiatore, un tempo incantatore, i manichini, le vecchie fotografie, e le nuove, il clown (“il clown è piuttosto un accessorio da pausa. Di fatto esiste allo stato di un suono di campanello e di un rullo di tamburi”), il boy.
Claudia Ciardi, che ha curato l’edizioncina, le dice “miniature, confinate nel limbo di una spettrale corporeità”. E questo è forse il mondo rothiano, ancora prima dell’esilio e la déchéance, quale Marino Freschi l’ha delineato nella monografia a lui dedicata: “l’attualissima riflessione rothiana sulla figura del «nomade» quale destino estremo dell'uomo contemporaneo, sempre più «libero» da radici e da atavici condizionamenti” – “e sempre più angosciato”, prosegue Freschi, “per una libertà che non sa tradursi in progetto”, ma non qui, non ancora. Qui la malinconia è ancora quella mitteleuropea, di un esilio interiore, da sopravvissuto della storia della Belle Èpoque, prima che di reietto razziale.
Joseph Roth storicizza in ogni parola al massimo, della storia fin negli interstizi. E le persone e le cose che ne fa emergere fa rifiutare dalla realtà – il mondo, la storia. Da intimo convivente dell’umanità, e tuttavia sradicato, esiliato, anonimo.
Joseph Roth, L’incantatore e altre prose, Ocra gialla, pp. 33 € 4

lunedì 16 febbraio 2015

Problemi di base - 215

spock

Perché i tedeschi si lamentano sempre?

Tutti prestano ai greci e li aiutano, solo i tedeschi si sentono derubati: c’è un motivo?

Perché l’Italia ha pagato, e paga, la buonuscita delle banche tedesche (e francesi) dalla Grecia?

Perché la Bce ha pagato e paga per la stessa cosa?

Perché l’Italia paga per le banche tedesche (e francesi) due volte, attraverso i prestiti alla Grecia e attraverso la Bce?

Anzi tre volte, attraverso anche l’ex Fondo Salva Stati?

E i greci, che stringono al cinghia per far costare meno le vacanze ai tedeschi: perché?

Perché tante buggerature in Europa?

O l’euro è un bordello?

spock@antiit.eu

Il nazismo è con noi

Si riapre con disagio. Il “pastore dell’essere” non è più un’ombra vagante incerta, ma semmai di un astuto imbonitore. Si scoprono anche falle in ogni dove. Magari non volute, chissà, ma quanta voglia, più o meno subconscia, di nazismo, anche camuffato da comunismo.
Anche perché Hitler è vivo e combatte insieme a noi. Seppure Heidegger non non fosse hitleriano, una parte di colpa ora ce l’ha. Senza uccider più gli ebrei, che cafonaggine – gli ebrei che non esistono, non hanno un Baden. Non si sa se complimentarsi che la filosofia, e una ardua, circoli in edizione di massa, seppure non divulgativa – la nuova traduzione e la nuova presentazione, di Alfredo Marini, non semplifica e anzi accresce l’esoterismo.
Il “si” impersonale non commuove più, suona sinistra anticipazione della comunità di destino. Volgare, prima che cattivo, esito di una forma di nazionalismo, esclusiva, aggressiva. E il "sì" preannuncia, come accettazione, ma non si dice di che. Anche l’inautenticità suona sinistra e il senso della colpa: storicizzate, da figli della sconfitta. E il linguaggio enigmatico una copertura. Non è così, ma l’induzione è forte.
Martin Heidegger, Essere e tempo, Oscar, pp. XL-614 € 12 

domenica 15 febbraio 2015

La follia Libia

All’improvviso il governo italiano ha scoperto la Libia, e vuole farci una guerra. Non mandare truppe peacekeeping, come è abituato a fare, trincerate nei campi e iperprotette dall’aviazione Usa, giusto per il lustro. No, truppe in linea e al fronte, contro un nemico che ha artiglieria, missili, e la ferma determinazione di uccidere o morire. Mandandoci contro cinquemila uomini.
Sarebbe stupidità se non fosse dilettantismo. Ma la cifra di cinquemila uomini dev’essere stata fornita ai ministri Pinotti e Gentiloni dalle forze armate, e questo è già preoccupante. Generali che non sanno di non avere truppe addestrate al combattimento, anche se le chiamano d’élite per la parate. E un esercito che non fa guerre da settant’anni.
In più, assurdo nell’assurdo, c’è l’azione collettiva Onu: l’Italia vuole avere il coordinamento delle operazioni. Ma gli interventi Onu non sono operativi, a meno che per Onu non s’intenda Usa – e allora sono guerre vere, senza regole d’ingaggio da vecchia cavalleria e campi trincerati dove nascondersi. Pensare che il contingente olandese, inglese, norvegese, magari pure francese, e quello egiziano, tunisino, algerino, si mettano al comando di un generale italiano senza esperienza con cinquemila uomini, di che stiamo parlando? La guerra come burocrazia, uno scambio di scartoffie?

Superficialità e inganni

L’Europa - e forse l’Occidente, se Obama vorrà il patrocinio Onu - sbarca in Libia contro un nemico che ha finanziato e armato. A iniziativa di un presidente francese ora in disgrazia politica, Sarkozy, limitato e superficiale. Il cui mentore è però tuttora in attività, Bernard Henri-Lévy, che Sarkozy indusse a suo tempo alla guerra, celebrando poi la “liberazione” della Libia.
Non c’è da scandalizzarsi, Lévy rappresenta se stesso. Ma perché tanta superficialità viene imposta alla pubblica opinione? Specie quando si tratta di una guerra vera, dove si uccide e si viene uccisi. Per sanare una situazione insostenibile che si è voluta creare. E ancora di recente si è voluta alimentare, non sostenendo il generale Haftar, anti-Is.
È una deriva del giudizio critico che fa il paio col più generale impulso al radicalismo islamico che l’Occidente ha voluto dare nell’ultimo quarto di secolo. Gli Usa per primi, coi loro vassalli della penisola arabica, ma anche gli europei, che più di ogni altro vi sono esposti, i servizi francesi e inglesi, i presidenti francesi Sarkozy e Hollande.  Un patrocinio che non ha nemmeno garantito l’esenzione dal terrorismo.
Ora si parla di guerra guerreggiata al terrorismo. Cioè di un’avventura senza esito, al modo dell’Afghanistan o dell’Iraq - la Libia è un paese ancora più tribale, forse, che l’Afghanistan e l’Iraq, ingovernabile. Senza una strategia, senza un fronte, senza una logistica e una retrovia d’appoggio. Troppa superficialità per essere vera. 

L’Europa sta al Nord

È rimasta senza parole la signora Pesc, Federica Mogherini, di fronte alla prospettiva di una Libia governata dall’Is. Così come lo è rimasta nella guerra in Ucraina. Tanto impegno di Renzi per quella poltrona a Bruxelles si dimostra insensato. Se non per l’apparenza.
Altrettanto insensato è dire, come fa Renzi, che l’Europa deve intervenire in Libia contro l’Is al seguito dell’Italia. L’Europa che neanche per le diecine di migliaia di clandestini imbarcati in Libia, o per prevenirne gli imbarchi, soccorre.
Il fatto invece è grave: l’Europa non ha una politica estera e di difesa. Questo non è un problema settoriale, come si tende a farlo passare, specialistico: ne va dell’esistenza stessa dell’Europa, per il fatto demografico, e per quello bellico in senso proprio, di guerre e regimi ostili ai suoi confini. In Ucraina si è data, forse, una mossa. La Russia, il nemico,è pur sempre una potenza continentale europea. Il Mediterraneo invece non lo considera affatto: è remoto e forse inesistente. Si direbbe un voglia di cupio dissolvi, un desiderio inconscio di auto annientamento. Ma stando ai fatti è piuttosto una divisione di destini: questa Europa ha di sé una concezione molto ristretta.

La donna era padrona nel Medio Evo

Si provi l’uomo “a immaginare come gli apparirebbe strana la sua propria vita se fosse incessantemente definita in termini di mascolinità”. La giallista Dorothy Sayers era anche teologa laureata a Oxofrd nel 1914, benché a fatica, tollerata in quanto figlia del cappellano del college, saggista, conferenziera, commediografa, storica del Medio Evo e del Rinascimento, poeta e traduttrice di Dante - con tre volumi di “dantesca”, e
un’introduzione al “Purgatorio” che ancora fa testo. Invitata a parlarne nel 1938, si espresse nella conferenza del titolo, e in un articolo qui allegato, “The Human-Not-Quite-Human”, insofferente dell’antifemminismo, e anche del femminismo, dell’identità e della differenza. Fatta salva la parità dei diritti, la misura prende sul fatto.
Il genere è la comune condizione umana. Negli affetti, la famiglia, il lavoro, la società. Di soddisfazione e insoddisfazione, desideri, capacità, che sono sempre personali, per l’uomo come per la donna, e legati alle circostanze. La questione è del resto recente. Cioè è diventata insostenibile, con la donna prima espulsa dal lavoro e poi riammessa ma in cattività. Prima c’erano aggiustamenti: “La donna medievale aveva potere effettivo e un tratto di reale (anche se non politica) eguaglianza, perché aveva il controllo di molte attività: filatura, tessitura, forno, fermentazione, distillazione, profumeria, conservazione, trattamento dei cibi”.
Ragazza madre a trent’anni, Miss Sayers fu poi sposata, ma a suo modo incorruttibile. Apprezzata per i dialoghi nei suoi gialli, tra personaggi prevalentemente maschili, attesta qui che, “figlia unica, non ho praticamente mai visto o parlato con un uomo della mia  stessa età fino quasi ai venticinque anni”. Ma ha scoperto presto che “c’è molto poco mistero sull’uno e l’altro sesso, eccetto l’irritante misteriosità dell’essere umano in generale”.
Dorothy L. Sayers, Are women human?, Wm. B. Eerdmans Publishing Co., pp. 69 $ 10

La banda larga del gambero

Ieri il management Stet, che ha illustrato anche il piano triennale, ha ottenuto il placet dell’Iri al progetto Socrate per la posa dei cavi in fibra ottica”. Sono passati vent’anni, più o meno, da questo annuncio, e l’Italia è l’ultima nella banda larga. In contemporanea partiva la privatizzazione di Stet-Telecom e l’azienda privatizzata non andava gravata di troppi investimenti. Inoltre, la banda larga va fatta in Italia “privatamente”, cioè con incentivi fiscali e contributi pubblici a fondo perduto – cioè con un guadagno (quando i fondi non arrivano la banda non s’allarga).
“Chi non ricorda la battaglia combattuta da Pascale - il discusso piano Socrate - per la cablatura di 10 milioni di case?”, ricordò Edoardo Segantini nel coccodrillo sul “Corriere della sera” alla morte del manager fiorentino della Stet:  “Era il settembre del ' 95, un’ora fatale per le telecomunicazioni italiane. L’Adsl - cioè la multimedialità fornita attraverso i normali cavi telefonici - era ancora una tecnologia promettente nei laboratori di Bell Atlantic. Un bel sogno d’élite. La fibra ottica - sosteneva Pascale - avrebbe fatto compiere un salto al sistema Paese. No, semmai un passo indietro alla concorrenza, ridotta ai confini della realtà, replicavano gli avversari, tra i quali, agguerritissimo e lucido, Franco Debenedetti”.Il collaboratore più stretto di Pscale, Vito Gamberale, fu arrestato – e non condannato naturalmente. Pascale fu dimesso da Prodi, il presidente dell’Iri. La storia economica, che non si fa, è in pratica una storia di corruzione.