Una delle opere mediorientali di Mozart, quali erano allora
di moda – lo steso Mozart ne scrisse parecchie, tra esse l’“Idomeneo”, re di
Creta, e una delle due altre opere milanesi, “Mitridate re del Ponto”. Commissionata
dal Teatro Regio Ducale di Milano, che già competeva con Napoli per la primazia
nel teatro d’opera europeo, nel 1771 per il carnevale del 1773, e andata in
scena per ben ventisei serate tra il 26 dicembre 1772 e il 25 gennaio 1773. Con
le scenografie, di cui si sono conservati gli abbozzi, dei fratelli Galliari, richiestissimi
allora in tutta Europa: Fabrizio, Bernardino e Giovanni Antonio. Dedicata, come
le precedenti opere milanesi di Mozart, all’arciduca Ferdinando e alla consorte
Maria Ricciarda Beatrice d’Este. Su libretto di Giovanni de Gamerra, uno spagnolo
di Livorno, mezzo poeta mezzo avventuriero, germanista, che s’immortalerà dieci
anni dopo con “La Corneide”, un repertorio delle corna maschili in sette volumi
- ma sarà poi poeta controrivoluzionario.
Il “Silla” di Gamerra sarà molto musicato. Per Mozart il
livornese si fece rivedere versi e scene da Metastasio, presso cui mendicava un
posto alla corte viennese. Per lo stesso libretto in tedesco, per la musica due
anni dopo (il “Dizionario biografico degli italiani” reca erroneamente l’anno
dopo) di Johann Christian (il “Dizionario biografico degli italiani”,
erroneamente, Christoph) Bach, “Giovannino”, l’ultimo dei figli di Johann
Sebastian, da Mattia Verazi, librettista di corte del principe elettore del
Palatinato a Mannheim. Dove Mozart nel 1777 (non due anni dopo, “Dizionario
biografico”) ebbe modo di lodarlo. Il “Silla” tedesco non sarà però ripreso,
quello di Mozart invece, dopo un lungo oblio seguito al successo del debutto,
riavrà nuova vita nell’ultimo mezzo secolo.
Sila è uno simpatico. Che avrebbe potuto fare il Cesare
con un anticipo di mezzo secolo, ma abbandonò di sua volontà la dittatura, e se
ne torno a casa solo, senza tronfi e senza nemmeno la scorta. Alla Scala il
maestro Minkowski riesce un duplice miracolo. Di far cantare una compagine
tedesca in italiano, necessaria per dare forza ai recitativi accompagnati, che
sono parti drammatiche, in italiano, senza accenti e senza urlare – non buona
stagione per l’italiano neanche in musica: la registrazione canonica del “Lucio
Silla”, quella di Harnoncourt a Vienna dal vivo, 1989, con Editha Gruberova,
Cecilia Bartoli e Peter Schreier, apre il libretto con la traduzione tedesca. E
di dare consistenza drammatica a un’operina nata male, tra mille caprici, che
tuttavia consacrava Mozart a sedici anni come il miglior compositore tedesco d’opera.
Dopo i quattro anni italiani.
Milano non s’è ricordata di “Volgango Amadeo” per il
bicentenario, nei terribili anni Settanta, tra piazza Fontana, Calabresi e
Feltrinelli. Recupera ora nel migliore dei modi – dimezzando le impossibili sei
ore del trattamento originario dell’opera, infarcito di ripetizioni e
coreografie. Amedeo de Mozartini, come amò firmarsi, fece tesoro dei quattro
anni in Italia, a Napoli per l’opera, a Roma per le voci bianche della Sistina,
a Bologna per il padre Martini, e a Milano per il Sammartini e il Ducale -
oltre che nella marca salisburghese subalpina. “Lucio Silla” è ancora opera
classica, di maniera, di eroi senza macchia e eroine fedeli alla morte. Ma
anche molto romantica, nella stessa celebrazione della morte, e nei desideri,
le avventure, i tradimenti perdonati, oltre che nelle tonalità quasi
sentimentali.
Il Mozart milanese Astolfo così racconta in “La morte è
giovane”, di prossima uscita:
“Il Maestrino entra a palazzo Melzi alla
Cavalchina, residenza del conte Firmian. Vi si arriva anche in barca, Milano è
stata a lungo porto attivo, le cui acque, poi coperte, respiravano per quanto
atrofizzate. Viene dal Regio Ducale, il teatro dove prova opere italiane per
grande pubblico. Non è bello, ma non fa niente – sono i tedeschi,
romantici, che vogliono statuario l’uomo di genio, e sul cavallo bianco. È un angiolone spiritoso, se è suo il ritratto romano di Blanchet, a
Milano amato e protetto. Cucina per lui eccellenti pietanze del suo paese
Marianna d’Asti, la salisburghese Mariandl Troger, sorella del segretario del
conte, sposata Asti. Sono amorevoli la prima donna Antonia Bernasconi,
mezzosoprano, “il Sartorino” Pietro Benedetti, tenore, i castrati Pietro
Muschietti e Giuseppe Cicognani, il contralto Anna Francesca Varese - promiscui
sono pure i ruoli femminili. Femminella è Farnace, che vuole fare le scarpe al
padre Mitridate Eupatore sconfitto da Pompeo e fregargli la giovane fidanzata
Aspasia, principessa greca - e sarà Cecilio due ani dopo, il senatore amico e nemico
di Lucio Silla, che magnanimo lo perdona e gli dà pure in moglie l’amata
Giunia, e per i femminella il Maestrino scrive belle arie.
“Mozart
è in città già il Maestrino, genio della libertà nella gioia, contro le tarde proiezioni romantiche, che invece vogliono
tormenti. Il La Fontaine della musica, dirà Stendhal, per la naturalezza -
Stendhal, il dilettante della melodia all’italiana, seppe snidare valori non
registrati dai viennesi, che sono gli esperti. L’ingegno arricchiva Milano,
sull’orecchio assoluto della vicina Cremona, gli Stradivari, Monteverdi, gli Amati.
Il padre l’aveva portato a Milano per fargli una carriera, sulle orme di Giovannino
Bach. “In questo paese mi sembra che perfino la membrana dei timpani sia più
delicata”, scrisse Joseph-Jérôme de Lalande, che fu in Italia negli stessi
anni, “più armoniosa e sonora che nel resto d’Europa”.
“Come metà Europa, Wolfgang era stato a
studio dal padre Martini a Bologna. Dove lo incontrò il dottor Burney, che
lo ricordava infante a Londra, “il celebre piccolo tedesco Mozart”, uno dei
tanti bambini prodigio, ma già decorato dello Speron d’Oro dal papa. La sinfonia invece apprese dal Giovanni Battista milanese, il
Sammartini, che dotava il genere di formula tematica e architettura. Suo unico
inciampo è il tenore Guglielmo d’Ettore, siciliano già capriccioso, fresco
sposo. Che cinque volte in due giorni vuole riscritta l’aria di sortita, cioè
di entrata, del Mitridate, e infine impone
una sua aria di baule, la collaudata melodia di Quirino Gasperini: “Son pentito
e non ascolto,\che i latrati del mio cor...”
“Carl
Firmian, governatore di Milano per conto di Maria Teresa, amico di Winckelmann
e Angelica Kaufmann, che aprì a Brera, splendore dei gesuiti, l’accademia d’arte
e la maggiore biblioteca, cui lasciò quarantamila volumi e ventimila incisioni,
con le note dell’angelo adolescente, che mandò a scuola dal Sammartini, illeggiadriva
la residenza a palazzo Melzi. Burney lo dice “grande personaggio, con tutti gli
attributi”. Tra i suoi meriti non minori la scelta della sposa per Giuseppe
II, l’erede al trono, nella principessa filosofa Isabella di Borbone Parma, di
cui seppe stimare le qualità, in difetto del patrimonio e d’imperiosa bellezza.
“Il
conte Firmian governava a Milano i Verri, il marchese Beccaria, il padre Frisi,
il professor Parini, che nominò direttore della Gazzetta e poeta del Teatro Ducale, e incaricò di fornire a Mozart tradotto
il Mithridate di Racine, e per le
nozze dell’arciduca Ferdinando con Maria Beatrice d’Este il libretto di Ascanio in Alba. “Un tirolese mediocre”
lo dicono i Verri, austriacanti filofrancesi, per la nota ambivalenza di Mila-no.
Ma non c’era in Francia una Storia di
Milano di Pietro Verri, né una amministrazione
altrettanto buona. Era impossibile fare buoni soldati de-gli italiani, il conte
lamentava a Vienna, e intendeva disciplinati, ma i mi-lanesi pagavano per
questo. Le dame facevano la passeggiata ferme sulle bastardelle, carrozze
aperte da cui potevano guardare sedute negli occhi i cavalieri. Facendosi scudo
del cavalier servente ereditato dalla Spagna.
“Mozart fu a Milano felice, vi ebbe agi,
non incontrerà più tanta generosità e libertà creativa, malgrado il sospetto verso
i teutonici urlatori, ringrazierà col toccante, brillante Exultate, jubilate, il
mottetto che il sopranista Venanzio Rauzzini s’era portato da Monaco. Ma ebbe
interrotta la carriera che il padre divisava dall’imperatrice Maria Teresa, la
quale, alla data catastrofica del 12 dicembre, nel ‘71 scrisse al figlio Ferdinando,
l’arciduca celebrato col fastoso Ascanio:
“Mi chiedi di assumere al tuo servizio il giovane di Salisburgo. Non so perché,
non credo tu abbia bisogno di gente inutile. Se ti fa piacere, non voglio
impedirti di farlo. Quello che voglio dire è di non caricarti di gente
inutile”. Si sa che gli austriaci sono oculati amministratori. L’imperatrice
era stata ragazza musicista e cantante. Ma la musica a volte suona afona.
L’austero Carlo VI, che in tutta la sua vita non rise mai, amante della musica
e contrappuntista, aveva lasciato il regno alla figlia senza un soldo, senza neppure
una successione sicura, per una guerra civile lunga otto anni, dopo aver perduto
la Spagna, Napoli, la Sicilia, la Serbia, la Valacchia. Maria Teresa sapeva di politica e di latino. È in latino che si
faceva, al suo tempo, e ancora per mezzo secolo, la politica dell’impero. In
latino si tenevano i dibattiti in Parlamento, il latino parlavano i domestici,
perché padroni di nazioni tanto diverse potessero intendere. Aveva conosciuto
Wolfgang bambino, ogni tanto riceveva padre e figlio, e non li apprezzava:
“Girano il mondo come mendicanti e discreditano il servizio”, ammonì il figlio.
“La recensione di Parini al Mitridate riconosce, dopo i timori di
una “barbara musica tedesca”, che “il giovine Maestro di Cappella studia il
bello della Natura, e ce lo rappresenta adorno delle più rare grazie musicali”.
Mozart
ebbe successo all’opera, cui più ambiva, solo in Italia. Per Mitridate ebbe a quattordici anni
un’orchestra di sessanta elementi e fama internazionale. Con Ascanio in Alba batté in coppia con
Parini la concorrenza temibile di Hasse e Metastasio, del loro Ruggiero resta poco più che il titolo. Lucio Silla fu rappresentato a Milano ventisei volte. L’Idomeneo, creato a Monaco nel 1781, una
delle opere più ispirate e ricche, ebbe un’unica rappresentazione. Scriverà a
suo rischio le altre opere, non commissionate, questo privilegio l’ebbe solo a
Milano. La cosa non è irrilevante: si capisce che sia morto presto, senza causa
apparente, depresso nel prolungato isolamento tra gli artisti a Vienna, e in
casa con l’inuti-le moglie. Nell’‘89, l’anno della libertà, degli artisti
inclusi, per il concerto del 12 luglio Mozart ebbe un solo sottoscrittore, il
solito van Swieten.
“Un musicista è, era, in Italia parte onorata
della migliore società, mentre oltralpe, fosse pure Beethoven, viveva solo,
doveva elemosinare, andava all’osteria. E Milano doveva essere un’altra città. Francesco
III di Este, duca di Modena, che fu governatore della Lombardia a lungo a metà
Settecento, girava imbellettato. Il conte Firmian era, dice Burney, “una specie
di re di Milano”, per la munificenza. Il suo palazzo decoravano grandi quadri
di grandi pittori. Ma per l’imperiale pregiudizio Mozart fu breve pure a
Milano. E la Scala, che per la nascita gli ha
dedicato due libri, La Vita e Le
Opere, i centenari delle opere milanesi ha ignorato, Mi-tridate nel 1770, Ascanio
nel ‘71, Silla nel ‘72, ci sono pause
nella storia.
“Il conte era un tedesco di Mezzo Tedesco.
Morendo, “lasciò anche molti debiti”, dice la Treccani. Suo zio Leopold Anton,
vescovo di Salisburgo, è l’ideatore di una delle più vaste deportazioni in
massa per motivi religiosi che si ricordi prima di Hitler, avendo costretto nel
1731 diciassettemila protestanti a emigrare in Prussia. L’Austria virtuosa, di
cui Milano ha ottima memoria, bandiva pure i libri stranieri, da Montesquieu a
Schiller – Crébillon lasciava circolare per lo svago. Di Leopold Anton si ricorda
che, non riuscendo a far parlare Michael Hulzögger, un cacciatore che si era smarrito nell’Untersberg, per riapparire muto
dopo un mese, lo ascoltò in confessione. E dopo la confessione lasciò il soglio
pastorale e ammutolì pure lui. Il silenzio Hulzögger aveva interrotto solo per
dire “tutto vero” ciò che aveva scritto Lazarus Gitschner. Autore di libri profetici,
Gitschner aveva visto Federico Barbarossa, in un tunnel sotto il Königsee”.
W.A.Mozart, Lucio
Silla, Teatro alla Scala