Colpa - Ci sentiamo tutti sempre
colpevoli, è nel bagaglio della coscienza critica, cioè dell’Occidente. La Germania
eccezionalmente, perché ha perso la guerra.
Coppia
–
Fanno pena e simpatia Marazzita e gli altri giudici di “Forum”, che devono
sorbirsi più spesso i rimasugli di un amore, di una vita coniugale, col
sottinteso che magari i cocci si ricompongano (il sottinteso della
trasmissione, la tensione che sottostà, è il “miracolo”). Mentre i giudici
sanno benissimo di fare la constatazione di un decesso – la cartella che
dovranno leggere di sentenza probabilmente se la scrivono prima, gliela
scrivono gli sceneggiatori.
Il problema nella coppia è come lo
poneva Petrarca – a maggior ragione nella coppia in appartamento, segregata e
quasi coatta: non è di essere amato ma di amare. La ricetta del Petrarca – il problema nella
coppia, anche con figli, è l’intervenuta aridità, l’inaridirsi. Il reciproco
incolparsi non è spiegarsi, è un processo a qualcosa che è finito, per lo più
imperdonabile – giusto la questioni di pelo caprino di “Forum”.
Educazione – È stata a
lungo quasi esclusivamente femminile, la trattatistica si esercitava sull’educazione
delle fanciulle. E quasi tutta incentrata sul pudore, una forma di difesa. Nei
primi e più antichi libri è solo questione di consigliare le forme di difesa,
contro la natura o la stessa umanità lasciata a se sessa, istintuale. Ma delle
ragazze e non dei giovinetti, come sesso debole. Non per sopraffazione ma a
protezione.
Fascismo- Fu “nazionalista ma non nazionale”. Fu anzi il
primo “salto nell’Europa”, per un malinteso bisogno di modernizzare – la
modernizzazione come adeguamento, di una pretesa inferiorità a una pretesa
superiorità (Mussolini contestava la “razza nordica”, ma si adeguava). È la tesi
di Corrado Alvaro, “Pratica di letteratura” (in “Il nostro tempo e la speranza”),
che così la spiega: “La dittatura fu il coronamento di questo sforzo di
esorbitare dai termini della vita nazionale e, sembrerà ardito dirlo, ma lo
dirò, fu una finestra aperta sull’Europa, un tentativo di uguagliarsi a un ipotetico mondo
internazionale”. Rinunciando alla tradizione e a quelli che si chiameranno i “caratteri
originari”: “La dittatura era nazionalista ma non nazionale: rifiutava la
tradizione come troppo domestica e dimessa, rifiutava come ignobile tutto
quanto, popolare, è apporto a una cultura viva, e infine rifuggiva da una
cultura nazionale perché la cultura si risolve sempre in critica e libero
esame”-.
Femminismo – Non funziona
nella coppia, e anzi ne rifugge: tendenzialmente è single – da vecchia paucciana con aperitivo e crociera. Per il
motivo che Corrado Alvaro prefigurava nel 1950: “La donne apprende male l’arte
di Don Giovanni Tenorio, un’arte che proviene dall’incapacità di volere bene,
che si vendica di questa incapacità, diventando collezionista; ma per
sostenerla ci vuole una forza,una durezza, una fondamentale disperazione dei
propri sentimenti”, che non perché donne evidentemente si ha. Il femminismo attivo,
dell’odio di genere, non porta nessuno in nessun luogo – ma questo ormai si sa.
Italiano – È desueto. Un
paradigma e un termine di riferimento che sembra non reggere più, dopo il
benessere, il giustizialismo e la cultura della crisi. Non c’è più storia,
praticamente, dell’Italia. Non se ne fa la sociologia, se non le caricature
massgiudiziarie della corruzione e della mafia. Rileggendo “”Il viaggio in
Italia” di Piovene, o Corrado Alvaro, è riferimento indiscusso. Quindi fino
agli anni 1950. Anche rileggendo Arbasino, in tempi quindi meno remoti, è riferimento
costante,seppure epidermico, tipico del blabla lombardo. Ma irresoluto, e come
tela di fondo fragile, piena di faglie, partendo dalla “gita a Chiasso”.
Libertà – C’era la
libertà romana – fatta di oppressione, anche brutale, ma non importa. C’era, e
c’è, una libertà tedesca. Che però non si sa cosa sia. Quella romana era la legge.
Quella tedesca sarebbe tribale e anarcoide. Non individualista perché si vuole
di popolo, ma anarcoide. E in realtà non lo è – è più conformista. È stata
“inventata” dai filologi come calco della “libertà romana”. C’è invece – ma non
si celebra – la libertà anglosassone : io e il mio Dio, o dell’individualismo. Con
pochi e minimi vincoli, e più sociali che statuali. Eredità celtica?
Mammismo – “Non c’è
Paese che abbia tanto esaltata la madre da secoli, e non ce n’è uno che abbia
fatto tanto spreco dei suoi figli”. Partendo dalla modernizzazione, per cui Roma
non è più Roma: gli osti fanno i ristoratori, i ragazzi non sdraiano più indolenti
sui muri al sole. Nel breve saggio con cui coniò la categoria, “maternismo” o
mammismo”, Alvaro ci arriva per cerchi concentrici: la madre è la speranza.
Roma viveva allora, 1950, la
storia di un’elefantessa allo zoo che si era rifiutata di allattare
l’elefantina da lei generata.L’elefantessa aveva agito “pressappoco come aveva
agito Catone di Utica, uccidendosi per la perdita della libertà romana”. In un favola alla Esopo la morale sarebbe: “Soltantogli
uomini tengono alla vita essendo schiavi. Un animale mai”. Un animale schiavo.
Opere
pubbliche –
Sono lo “Stato” – nella sua forma deteriore, di esibizione. Per mezzo secolo,
fino alla caduta del fascismo, l’Italia, unico paese in Europa e al mondo, si è
dotata di uffici postali, stazioni ferroviarie, caserme, ministeri, tanto gonfi
quanto vuoti. Di accesso scomodo, e con spreco enorme di spazi. A nessun fine
se non segare una certa immagine dello Stato, come il. Superiore dispensatore di
privilegi ai suoi amministratori, custodi, mediatori.
Politica – Il “tutto
politico” è antipolitico. Uno svuotamento della politica. La sua riduzione a
bega, o come oggi usa a capo d’accusa. Dove tutto diventa politico, lo diventa
in senso deteriore, per la stessa politica e per la vita consociata. E allontana
dalla politica. Lo vede il (residuo) lettore di giornale, che viene confrontato
fastidiosamente con dieci e venti pagine di politica ogni giorno del nulla. O
del devoto della Rai, che si sorbisce tediosi tg per la prima metà, un tempo
interminabile, tutti debitamente
“politici”: cosa ha detto questo e cosa ha detto quello, tutto lo spettro
politico -spettro è la parola giusta.
Vittoriano – Un monumento
estraneo a Roma e ai romani. Una cosa – sia pure non un bruttura – a se stante.
Non significa l’Italia postunitaria, che al contrario era umile e faticatrice.
Non prospetta un disegno, né estetico né politico. È solo grande: si voleva una
cosa grande e questo il Vittoriano è. Si può dire esemplare delle opere
pubbliche italiane, che per mezzo secolo si fecero nell’ostentazione. È tuttavia il monumento a Roma più frequentato
e fotografato dai turisti. Un caso dell’utilità dell’inutile?
astolfo@antiit.eu