sabato 27 giugno 2015

Stupidario Mafia Capitale

Il soggetto economico più liquido del paese, la Cassa Depositi e Prestiti, Renzi affida a due banchieri. Con un contorno di gentildonne per le quote rose. Poi dice che la mafia è Carminati.
Il costruttore Guarnera è arrestato per aver costruito tre palazzi con i buoni uffici di Carminati. Ma i tre palazzi sono ultimati, con tutti i timbri e i bolli, e si vendono liberamente a prezzo elevato, essendo prospicienti Villa Pamphili. Hanno tolto l’aria a tutta via Innocenzo X, sono stati costruiti al posto di un vecchio convento di quattro piani con un ampio giardino, sono alti ben nove piani, con la solita tattica del piano terra sopraelevato e dell’attico e superattico invece del tetto, e sono immuni a ogni ricorso e denuncia.
Si può costruire a volontà a Roma. Basta non metterci di mezzo Carminati, che sta antipatico ai giudici.

Il gruppo XII dei Vigili Urbani “Monteverde” entra infine in azione, con gran numero di carri attrezzi per rimuovere le auto parcheggiate in largo Colautti, dove naturalmente vige il divieto ma si è sempre parcheggiato.
Ad angolo col largo, via Barrili è ingombra di macchine in seconda fila di gente che si esibisce comodamente al noto caffè. Il 75 non passa, le macchine nemmeno, ma le vigilesse non vedono. S’impegnano al cellulare girandosi dall’altro lato, in attesa che le ultime auto vengano rimosse.

Volendo uscire da Roma, per esempio per andare a Capalbio…, si deve sottostare a una coda di 3-5 km, da una a due ore, imposta dagli appaltatori dei 30 km. di autostrada Civitavecchia-Tarquinia. Un cantiere aperto da cinque anni, senza nessun risultato: si è sterrato molto, per prendere possesso dell’opera, ma si è costruito niente. Il cantiere è più che altro di perizie, varianti, penali, direttori generali e vice-direttori generali, giudici amministrativi, sempre integerrimi, arbitri, pieni di titoli, e consulenti, di ogni specialità: il business è questo, non la pietra e l’asfalto.
L’appalto vero si direbbe l’intrallazzo – non un caso isolato, per carità, è la routine. Ma per Carminati era troppo, e Prestipino e Pignatone non sono interessati.

A Città del Messico e al Cairo, pagato il dovuto di quei corrottissimi paesi, i 30 km. della Civitavecchia Nord-Tarquinia, tutti in piano, sarebbe stati approntati in trenta mesi, anche venti con un premio. La Civitavecchia-Livorno non è un caso isolato di affarismo in appalti, ma è solo quello: un progetto avviato almeno quattro volte in quarant’anni, è rimasto sempre a quello stadio. Ma dopo aver pagato studi, affidamenti e penali. Nella partita coinvolgendo pure Capalbio, che fa l’opposizione al progetto. Certo innocentemente, fa da spalla al business dell’affarismo – se proprio non si può… basta far correre i soldi.
Perché non si interviene? Certo, qui non solo manca Carminati, non c’è neppure il concorso esterno: concorrono tutti dal di dentro.  

La storia della Resistenza impossibile

“I vinti non dimenticano” presuppone un “si dimenticano, ma loro…”. A nessun effetto, ormai è stantia pure la loro storia. E tuttavia, riproposto al largo pubblico, Pansa si scopre per quello che è: uno storico. Buono o cattivo non importa, l’unico in materia.
Dice: ma Pansa non è uno storico. Certo, ma gli storici che fanno? Oltre a piangere Berlinguer (anche Moro, ma in quanto berlingueriano). Il revisionismo di Pansa è la storia. Che gli storici di professione non fanno – non fanno per la verità neppure altro, a parte santificare Berlinguer, ma a questa storia proprio non ci pensano. Avrebbero archivi vastissimi, hanno ancora testimoni, e niente, non ci sentono. Manca perfino una vera storia della Resistenza.
Pansa, in piccolo, ha pure quella. A margine delle ignominie seguite alla Liberazione: l’occupazione jugoslava di Trieste, Gorizia e Fiume, le stragi, di fascisti (almeno 20 mila), e non (ne conteggia 12.233 tra Piemonte, Lombardia, Liguri, Emilia-Romagna, più le faide in Toscana), gli stupri e le violenze sulle donne fasciste, la liquidazione sommaria e a tradimento dei capi partigiani bianchi e socialisti che “non marciavano”, la libertà di violenza e stupro degli Alleati, specie delle truppe francesi.
A p. 240 ne dà in breve i connotati. La diffusissima organizzazione del Comitati di Liberazione, anche nei piccoli centri, ma confidati a vecchi politici del primo dopoguerra. La funzione dei Comitati limitata alla testimonianza, mentre erano ineffettuali e inesistenti sul piano operativo. Notevole, anzi singolare, l’incapacità di catturare il milione e più di militari sbandati, con le armi, all’armistizio: non si volevano.  .
Giampaolo Pansa, I vinti non dimenticano, BUR, pp. 466 € 5,90 

venerdì 26 giugno 2015

Problemi di base - 234 bis

spock

Perché il presidente della Bundesbank parla ogni giorno e il governatore della Banca d’Italia mai?

Il governatore della Banca d’Italia è muto, o si fanno due pesi e due misure?

Sono pesate anche le lingue in Europa, qualcuna pesa più dell’altra?

E il presidente della Banca Centrale Europea: sarà sempre Weidmann che si fa chiamare Draghi?

Ma la banca, non era italiana?

E la commedia, l’opera, l’architettura, e il canone, il contrappunto, la fuga, il madrigale e la polifonia in musica?  

Questa Italia non è quella di prima?

spock@aniit.eu

Fisco, appalti, abusi (72)

Il Comune di Roma ha raddoppiato l’addizionale locale Irpef, dallo 0,5 allo 0,9 per cento, ed è in rosso. Roma paga mediamente, in cifra, più di Milano, che ha un reddito (quasi) doppio.

Il ticket sulla ricetta è passato a Roma da 1 a 3-4-5 euro. Quasi come il costo di molte medicine.
Ciò almeno un anno fa: il paziente (“utente”) l’ha scoperto da solo, pagando, nessuna comunicazione è stata data. Ma il problema non è la stampa romana. È che, a un anno dai superticket la Sanita del Lazio continua a essere in profondo rosso – senza che, naturalmente, la stampa romana se ne avveda.

Molti medicinali sono stati declassati a parafarmaci, per non rientrare nel SSN, a .extra.

Il federalismo fiscale si è tradotto nella moltiplicazione per tre volte del prelievo degli enti locali. In aggiunta al carico fiscale nazionale, immutato e anzi accresciuto. Riportando la lancetta indietro di ventitré anni, a prima dell’Infausta Isi o Ici, il carico fiscale locale (comunale e regionale) si è quintuplicato.

Nel paese che ha il record mondiale di automobili, telefoni  e case pro capite, e quello europeo della “ricchezza”, doppiando la Germania, seconda in graduatoria, e di supercar, dietro la Germania (che però le produce), solo la metà della popolazione paga l’Irpef. Che sperequazione.

La dispersione del Busi

Laclos e Machiavelli, Laclos e Proust. Handke. L’ospedale. Le vacanze in solitario in cerca di marchette. L’amore che nei libri non c’è, non ci può essere. Ma è più di una pausa scandalosa tra i romanzi di Busi, è la somma di una dispersione.
Abbondano i virtuosismi. Come le farciture epigrammatiche: “l’erotismo è la ciliegina candita sulla torta quando manca la torta”, la Scandinavia è “una regione di solo spazio”, senza il tempo, “la Finlandia è un paese dove, per poterci abitare, bisognerebbe risiedere undici mesi all’anno altrove”, o lo scrittore che fa più filosofia del filosofo -  “Io non se Heidegger o Husserl o Wittgenstein abbiano letto Proust per rendersi conto di essere stati conglobati nella Recherche con venti anni d’anticipo”. C’è un pensierino mediamente ogni pagina. Qualcuno fantasioso - la “famiglia” dei segni d’interpunzione, per esempio, “Il papà Punto Fermo…”. I più perenti, all’“Isola dei famosi” non avrebbe potuto usarli.
Forse voleva battere un record. In questo, che è classificato per i “capiarea” come libro di viaggi, i viaggi sono di turismo sessuale. E il librone si finisce per leggere come un tentativo di battere il record imbattibile dei 200 “sfregamenti”, come li chiamava il Belli, consecutivi – da outsider: il record è giapponese, i tentativi di batterlo tedeschi. Intervallato dalla filosofia della scrittura. Busi è uno che non esiste, dice, se non  scrive. E allora? Se si rileggesse…
All’inizio, e poi ala fine, argomenta pure che il sesso gay, oltre che insaziabile, non “viene” in letteratura: “Non c’è sviluppo… o è pornografia o è letteratura rosa” - il genere in effetti non si è ripreso dal canone imposto da Genet negli ani 1940, del sesso come compulsione e condanna, e senza piacere.. Di se steso lamentando che il funambolismo va con una “rinsecchita sensibilità”.
Lamentando (vantando) cioè la dispersione. Che assona con disperazione, ma quanto da lontano. Per animare la ripetizione sessuale Busi usa molti sinonimi ma non “improsare”. Che sarebbe la parola giusta: Busi ha rispetto per la parola, la scrittura, ma si è intorcinato.
Aldo Busi, Sodomie in corpo 11, Mondadori, remainders, pp. 413 € 2,50
BUR, pp. 459 € 12

giovedì 25 giugno 2015

Il mondo com'è (221)

astolfo

Fondamentalismo – “Quando un conflitto s’incarna in una fazione religiosa o eretica”, nota lo storico antichista Paul Veyne in margine al suo “Foucault”, e sulla traccia di Bernard Lewis, l’arabista, “la religione non è né la sua origine né la sua copertura ideologica, ma la sua espressione solenne; e come pure in Occidente, si esprimerà in una teoria politico sociale”. Ma con limiti, nel caso dell’islam: “Essere mussulmano è appartenere a una comunità dei credenti, a una causa santa, la quale è multietnica e politicamente divisa, spesso conflittuale; tuttavia, contro gli Infedeli, i Credenti di ogni nazionalità formano o dovrebbero formare un gruppo solidale i cui membri devono o dovrebbero prestarsi mutualmente manforte”.

Giovanni Paolo II – Santo, ma dimenticato, anche per il decennale della morte l’altro mese. Il papa della storia, delle moltitudini, che ora fanno tendenza, e dei record. Il pontificato più lungo e più denso, del Novecento e anche oltre. Con un numero ineguagliato di discorsi, messaggi, encicliche, lettere apostoliche.  Viaggiatore ineguagliato fuori di Roma. Capace di parlare alle folle cristiane e non cristiane, ai diplomatici e ai poveri. Uno che ha vissuto, in prima persona, “al fronte” come oppositore, sia il nazismo che il comunismo, Con un ruolo non minore nel rovesciamento di quest’ultimo, ispiratore e protettore di Solidarnosc.

Manager – È d’uso contestarli per le remunerazione, a sei zeri. Mentre privilegiano potere e considerazione. Più di tante ville, supercar e barche da 25 metri non possono acquistare, né possono godersele, questione di tempo. Mentre a ogni istante soffrono ansiosi per il potere e la considerazione.
Sono un caso patente della labilità del potere: anche assoluto, è sempre in equilibrio instabile.

Moro-Andreotti 2 – Una sintetica cronologia per situare gli eventi. Andreotti, fallito alle elezioni del 7 maggio 1972, le prime elezioni anticipate della Repubblica, il suo progetto di indebolire la destra missina (Il Msi raddoppiò i voti), col governo di centro-destra inedito per la Repubblica da lui formato l’anno prima con i fuoriusciti del Msi, cede il governo a Rumor. Dieci mesi dopo però rientra, provocando un rimpasto che lo porta nel quinto governo Rumor come ministro della Difesa (14 marzo 1973-23 novembre 1974). Nell’autunno del 1974 provoca la fine del quinto Rumor attaccando Moro. A Rumor succederà proprio Moro, con due governi di fila, ma con Andreotti al Bilancio (23 novembre 1974-29 luglio 1976). Fino a quando Moro non cederà il governo direttamente a Andreotti, a fine luglio 1976, col primo governo sostenuto dal Pci. In tutt’e tre le esperienze, Andreotti si mosse in sintonia col Vaticano di Paolo VI, e con l’ambasciata americana. Nessun dubbio che Andreotti fu la scelta di Kissinger, dell’ambasciatore americano e della presidenza Ford, una sorta di condizione sine qua non, per il governo imprescindibile col Pci di Berlinguer.
La guerra tra Moro e Andreotti , ma piuttosto di Andreotti a Moro fu pubblica e durissima, a partire dalla seconda metà del 1974, seppellito politicamente, anche se formalmente ancora al governo, il centro-sinistra. In estate Andreotti, chiusa la crisi di governo aperta per portarlo alla Difesa, pronto rientra in gioco. Al segretario di Togliatti spiega che il terrorismo è a destra, sotterrando il suo governicchio. E tanti golpe cita, genera, resuscita, lui che la destra e i servizi pratica meglio di tutti. Nel mirino il capo dei servizi segreti, generale Miceli, forse (così sarà alla fine) incolpevole ma uomo di Moro. :
Per la forma la crisi di governo era stata aperta dai socialisti, avendo il ministro socialista Giolitti dichiarato che i vincoli di un prestito del Fondo Monetario Internazionale non erano applicabili all’Italia, e che anzi l’inflazione si vince allargando la spesa. Andreotti lesto s’è infilato e la crisi si è chiusa. Fanfani, che aveva tentato di mettersi di traverso quale capofila della destra, era stato zittito con puntuale rievocazione del caso Montesi.
Dei golpe denunciati in serie si sa all’epoca che è stratega il generale Maletti, vice di Miceli per conto di Andreotti. Con Borghese, Gheddafi, Delle Chiaie, “la massoneria”, l’ingegner Francia, Cavallo, Rocca, Cefis, e i cani sciolti, Pacciardi, Sogno, Fumagalli, bersagli convenienti a entrambi gli schieramenti Dc - Sogno e Pacciardi, poi insieme nella Resistenza, si erano  fatti la guerra in Spagna. Maletti è quello che ha dato il passaporto, con  comodo vitalizio, a Giannettini, l’agente Zeta, l’autore di “Tecniche di guerra rivoluzionaria”, già spia dell’Oas, per farlo fuggire dal processo per piazza Fontana. I golpe si denunciano a settimane alterna sul “l?Espresso” e su “Panorama”.
A un ceto punto parla anche Maletti con l’ “Espresso”, sciolto dalla riservatezza, per denunciare “gli eredi del golpe Borghese”, che  anch’essi progettano un colpo di stato: bande di odontotecnici, commercialisti, pensionati e guardie forestali. L’elenco di Maletti è soprattutto interessante per i tanti “generali in servizio”, sia delle forze armate che dei carabinieri, suoi superiori in carriera, che partecipano ai golpe. Chi sono Maletti non lo dice, per rispetto, dice, delle gerarchie, li lascia indovinare. C’è anche il generale Miceli, il suo capo, l’uomo dell’onorevole Moro?
Maletti era in Grecia quando Papadopulos fece il golpe, il golpe della Cia. Il nome peraltro viene da lontano. Si devono al maresciallo Graziani tutte le pratiche antiumanitarie che verranno in giudizio presso i tribunali internazionali: le rappresaglie con decimazioni e ostaggi, i campi di concentramento, la deportazione delle popolazioni, la colpa dei vinti, moderno Sippenhaft, e i defolianti e, in Libia, l’esecuzione dei resistenti per lancio senza paracadute dall’aereo. In Etiopia, dopo un attentato, Graziani ci pensò su una diecina di giorni e il 19 giugno ‘37 fece accoppare tutti i monaci del convento di Debré Libanos, 297, più 129 diaconi e 23 laici, 449 in totale: l’eccidio lo curò un generale Maletti.
Dopo Brescia, Andreotti destituì Miceli, e minacciò di farlo arrestare. Contemporaneamente Gelli, capo della P 2 già noto ma non ancora esecrato, faceva girare due carte. Una su un dossier Mi-Fo-Bia-Li, un accordo di Miceli con Gheddafi nel 1971, petrolio contro il blocco della armi ai golpisti libici dl “Principe nero” (un discendente dell’ex re?), l’altra un appello a una riforma costituzionale che spazzasse via i partiti e la corruzione, da realizzare mediante una intesa di Andreotti con Berlinguer. (continua)

Olocausto – Volontario oltre che (più che?) obbligato, regolamentare. Effetto delle decisioni dei singoli comandanti, della Wehrmacht più che delle SS (dell’esercito più che della polizia politica). E delle insistenze delle autorità locali, specie in Francia e in Olanda: dei sindaci e le autorità di polizia locali, e dei notabili. Irène Némirovisky fu arrestata malvolentieri dalla Wehrmacht nel paesino del Morvan dove era sfollata e risiedeva da due anni, Issy-l’Évêque. Il marito e le figlie furono ricercati solo tre mesi dopo – la scuola delle figlie poté nasconderle perché preavvisata.
In Francia, e anche in Germania, molte famiglie ebraiche hanno potuto passare la guerra e le razzie indenni. Una zia di Irène Némirovsky e il marito Abraham Kalmanok, due ebrei molto religiosi, hanno passato la guerra in una casa di riposo russa fuori Parigi. La madre di Irène Némirovsky nel suo grande appartamento a Parigi, e nella sua villa a Cap d’Ail.
  
Ratzinger – Il papa della rinuncia veniva dallo scetticismo, quasi. Già in “Rivelazioni e tradizione”, 1965, il suo primo libro pubblicato, scriveva: “Non è che una serie di ostacoli storici  - tra i quali soprattutto bisogna menzionare l’esecuzione di Stefano, quella di Giacomo, come pure, finalmente e in modo decisivo, l’imprigionamento di Pietro e la sua fuga - che hanno portato a creare la Chiesa invece del Regno (celeste)”.

Razzismo – Quello “scientifico” si è formato su Spencer, sul darwinismo sociale – anche quello di Hitler. Talvolta senza astio né pregiudizio.

Streghe – Sono state bruciate in Europa fino al 1801.

astolfo@antiit.eu

L’Olocausto dei figli fu amarezza e risentimento

Amarezza, risentimento. Per i più giovani soprattutto, per molti “figli nascosti” e nipoti, l’Olocausto dei genitori ha significato una vita perduta, angustiata fino alla solitudine. Contro la patria, tanto più se nuova o priva di significato. Contro l’ambiente di vita: vicini, conoscenti. Contro la famiglia stessa, e nel fondo la “differenza”, religione o razza che si voglia.
Denise Epstein, la figlia maggiore di Irène Némirovsky - aveva dodici anni quando la madre fu internata a Auschwitz dove morì senza traccia - ha solo amarezza e risentimento. Della madre ha saputo salvare molti testi importanti, tra essi la famosa “Suite francese”, ma non si è riconciliata. Ha vissuto sposata, con figli e nipoti, e con un lavoro, a Tolosa, ma non può dire sua la Francia. La religione non c’è: l’ebraismo latitava in famiglia,  il cristianesimo del tardo battesimo è una barzelletta, una serie di barzellette. Nessuna gratitudine nemmeno per la protezione in convento al coperto della Resistenza. Non c’è riconoscenza. Per l’editore Albin Michel un po’, ma non per Julie Dumot, ex dama di compagnia dei nonni che si assunse molti rischi all’inizio per portarsi tutrice delle due orfane, e inventò dopo la guerra un para-consiglio di famiglia con l’editore Albin Michel, la Société des gens de lettres e la banca dove lavorava il padre, per finanziarne l’istruzione in un educandato, a pensione: Denise la sospetta di appropriazioni e ruberie. La stessa banca, che la assumerà a diciotto anni, e si occuperà anche della sua salute, è oggetto di vituperio. .
L’ebraicità è una sorta di tara. Il sionismo ha tentato di rapirla in treno, a quindici anni, come “figlia orfana” da educare in Israele. La nonna materna si è rifiutata di accogliere lei e la sorella orfane nel 1942, e le ha diseredate alla morte. I genitori erano superficiali che sapevano tutto e nulla predisposero per salvarsi, loro e le figlie. Alle quali avevano imposto un’educazione mostruosamente restrittiva: niente nuoto perché il mare è traditore, niente scuola perché si prendono le malattie, le figlie confidando alle istitutrici. Una madre che soprattutto scriveva: leggeva ai bambini i giornali dei bambini perché ne era golosa (si abbonava col nome della balia), ma di suo scriveva, furiosamente, come “una sorta di pre-scienza”, dice Denise, di presentimento.
La sorella minore, Elisabeth, cinque anni al momento della fine, ha superato in qualche modo il trauma, in “Mirador”, una memoria bilanciata, che sa essere gaia talvolta anche sui fatti tristi – la nonna, le pellicce, le suore. Denise, pur dedita alla memoria della madre, di cui sembra in foto la copia, non ha conservato una goccia della di lei gioia di vivere. E lo sa, lo dice ripetutamente.  Si è rassegnata e non si riconcilia, neppure in questa tarda confessione a futura memoria. In odio alle suore, seppure per motivi diversi, le due sorelle hanno vissuto separate, ritrovandosi “molto tempo dopo”, con difficoltà – e solo in odio alle suore.
La serenità ritorna da ultimo, nell’assistenza alla sorella in agonia, e nella riscoperta delle radici. Ma più nella famiglia russa della madre che in Israele, una sorta di consolazione – essere (considerata) russa era la via d’uscita anche nell’autofinzione della madre operata da Elisabeth, “Mirador”.
Denise Epstein, Sopravvivere e vivere, Adelphi, pp. 181 € 13

mercoledì 24 giugno 2015

Problemi di base - 234

spock

I diritti dell’uomo sono più sicuri dell’esistenza di Dio?

Più giusti?

E sono gli stessi al di sopra e al di sotto delle Alpi?

Perché cadiamo, e non levitiamo?

Cos’è la forza di gravità, chi ci capisce?

Perché Samantha (Cristoforetti) stava meglio senza?

L’Unione Europea che cosa unisce?

Col “se” non si fa la storia, ma una storia del “se”?

Se la contessina Giulietta Guicciardi avesse accettato la proposta di matrimonio di Beethoven, ci sarebbe stato lo spread?

Chi è la contessina Guicciardi?

spock@antiit.eu

La giusta filosofia è nonsense

Un esercizio in traduzione in sintonia col “Tractatus”, quasi un gulliveriano affaccendarsi, che avrebbe divertito Wittgenstein – oppure no, le incertezze lo innervosivano. La ricomposizione è puntigliosa della prima traduzione inglese del “Tractatus”, scritto in tedesco, nel 1922 – una seconda sarà rifatta nel 1961 da Pears e McGuinness. Dopo una prima edizione nell’originale tedesco l’anno prima, sciatta e anzi scorretta (“pirata”). Nelle lettere di Wittgenstein a Ogden, uno dei traduttori, e di Ramsay, il co-traduttore, a Wittgenstein. Con annotazioni, osservazioni, suggerimenti quasi parola per parola di ogni punto controverso del “Tractatus”.
E come avere l’interpretazione autentica di un’opera così arduamente concettosa? Sì e no. Nuovi stimoli se ne hanno, ma nel giusto? Il curatore stesso, Luigi Perissinotto, non ne è convinto. Wittgenstein conosceva poco l’inglese – un decennio più tardi, ormai da tempo fisso a Cambridge, trovava faticosa la preparazione delle lezioni. E poi, aggiunge, l’autore può non essere il miglior interprete della sua opera.
Questa obiezione è discutibile: uno scritto filosofico, anche se volutamente concettoso, scritto e riscritto “in levare”, è scientifico e si vuole chiaro, non ambiguo e multistrato quale invece si fa configurare l’opera letteraria – o i canoni sono inversi? Ma ha il pregio di far risaltare la vena “mistica” dell’opera – meglio sarebbe dire profetica.
La corrispondenza è soprattutto utile, anche gustosa, per sapere come Wittgenstein voleva che il “Tractatus” fosse letto. A partire dalla scelta del titolo spinoziano, “Tractatus logico-philosophicus”, suggerito da George E. Moore, invece della “Philosophical Logic” di Ogden – sia Moore che Russell avevano già titoli latini in proprio (il titolo di lavorazione del “Tractatus” era stato “Der Satz”, la proposizione, più aderente all’elaborato). Che per Wittgenstein era un controsenso, il “Tractatus” avendo concepito come nonsense (“non esiste qualcosa come una logica filosofica”), e non come un genere speciale di nonsense, ma come una serie di nonsense.
Perissinotto fa anche un excursus delle traduzioni italiane del “Tractats”, tutte a opera di A.G.Conte, ma ognuna con qualche variazione nei punti enigmatici.
La giusta filosofia avrebbe divertito Wittgenstein? Probabilmente no, era permaloso.
Ludwig Wittgenstein, Lettere a C.G.Ogden, Mimesis, remainders, pp. 130 € 6

martedì 23 giugno 2015

Stupidario romano

Qual è il problema dei problemi a Roma? I camion-bar. Da sempre, sono ormai cinquant’anni di polemiche: i caldarrostai, i Tredicine, i camion-bar. Non c’è cronista romano che non vi si sia esercitato.
Se c’è qualcosa di squallido a Roma è la stampa romana.

Il sindaco Marino, pusillanime, non ha altro argomento: i camion-bari. È andato alla Festa dell’Unità per dire che li caccerà dalle aree monumentali - i monumenti di Marino devono restare solitari, per le gite in bicicletta, la domenica pomeriggio. Applausi.
Gente onesta, che paga perfino l’affitto a Marino del suolo pubblico. Non come i compagnucci della parrocchietta, che gli pagano pochi euro per l’attico a Fontana di Trevi, anzi non glieli pagano..

“L’assessore renziano lascia e attacca Marino”, informa Ernesto Menicucci: “È fuori di testa”. L’assessore Improta, continua il cronista, “era uno dei pezzi da novanta” del Campidoglio. Pezzi da novanta si dice dei potenti e dei mafiosi. Di Improta, assessore ai Trasporti, l’immagine di potere è sbiadita.
“Per lui”, scrive ancora Menicucci, c’è “un posto pronto nel cda di un’azienda statale”. Ah, ecco. Senza scandalo.

“Tangenti profughi pagate a Odevaine. Trovate le fatture”. Le “fatture delle tangenti”, questa Mafia Caitale vuole proprio essere incredibile.
Con l’Iva? La giornalista non lo dice.

Letture - 219

letterautore

Appunti - Sono utili e inutili, specie se non  si rileggono. Servono a fissare l’attenzione più che la memoria – cioè la memoria indirettamente fissando l’ascolto o la lettura per alcuni secondi. I greci che annotavano tutto, di chiunque professasse una saggezza in qualche modo speciale, filosofi, santoni, politici  – i presocratici sono tenuti in vita da appunti sparsi – chiamavano i loro appunti apoftegmata, i detti, l’annotazione dei detti.

Bisanzio – Trascurata e quasi dimenticata, ha in Italia presenze eccellenti, perfino dal punto di vista imperiale, o politico. Ravenna Robert Byron dice “il luogo più sconvolgente d’Europa”. Con Roma, Palermo, etc, ma a Ravenna è un’altra cosa: “Per un artista rappresenta l’assoluta eccellenza”.

Citazione – Stabilisce la solidità della ricerca scientifica – il numero di citazioni,  Impact factor.  Molti presocratici e poeti sopravvissero in antico, tra la Grecia e Roma, in virtù delle citazioni.  Sono anche parte del “testo”, in quanto motore dell’ermeneutica.

Dante - “La monade umana più completa che sia esistita”, lo dice lo storico Paul Veyne, “”che s’interessava a tutto e faceva una passione di tutto”. Lo dice alla fine, tra parentesi, del suo lungo omaggio a Foucault, ma con esattezza.

Manca un Dante bizantino. È mussulmano, matematico, fedele d’amore, esoterico e massone in anticipo, ma non bizantino, eppure fu a Ravenna, alla corte di Guido Novello da Polenta, vi passò coi familiari gli ultimi anni agiati, e vi morì.

Elegia – È il genere più abusato. Enzensberger, “Considerazioni del signor Zeta”, ne cita a sorpresa di Marx, Stalin e Heidegger. Ma anche di Hiter se ne potrebbero estrarre, ritmate e a fondo idilliaco seppure non in versi, dal “Mein Kampf”.  È la forma più soggettiva – ombelicale, compiaciuta.

Elettronica – Implica la scomparsa del “testo” – e quindi della filologia? Non c’è più la prima stesura, le riscritture, le varianti, la stessa grafologia.

Futurismo – Dimenticato in Italia, liquidato dai più come fascista, i libri di Marinetti sono ai remainders, è studiato e fa testo in Francia. Dai testi minimi a larga diffusione al culto che gli ha votato Giovanni Lista, ora culminato in un librone “definitivo” di 2.208 pagine, “Le futurisme. Textes et manifestes, 1909-1944”.

Filologia – In “Leonce e Lena” si è letto a lungo che Valerio pregava per una “religione futura”, finché qualcuno non lesse il manoscritto di Büchner e trovò che invece pregava per una “religione comoda” – la differenza era fra kommende e kommode.
È esercizio inesauribile. Specie per i refusi. Se Yeats scrisse “soldier Aristotle” o “solider Aristotle”, e se l’ozio è indispensabile al mondo o l’odio, il correttore di bozze è corruttore, e i torchi gemono, oppure i turchi, o i tirchi.
Joyce è pieno di possibili riscritture-riletture. Che però si possono dire “progettuali”, lo scrittore si vuole “aperto” cioè ambiguo – quando non sono volute, create artificiosamente.

Italia -  E.F.Benson, prolifico scrittore inglese del primo Novecento, tornando in Italia, all’inizio del suo “Up and down”, maggio 1914, prova la strana sensazione, che non sa spiegarsi, sbucando in treno dai tunnel alpini, di “essere arrivato a casa”. È la stessa idea che ha Robert Byron nel suo primo libro, dieci anni dopo, “L’Europa vista dal parabrezza”, e anche lui non sa spiegarsi perché: “L’idea che l’Italia ci appartenga, come per diritto di nascita, allo stesso modo come le grandi opere d’arte sono patrimonio della civiltà”.

Furono in uso in Inghilterra nel primo Novecento i Medici prints: stampe, cartoncini, biglietti di auguri che raffiguravano capolavori dell’arte italiana.

Machiavelli – Busi (“Sodomie in corpo 11”) lo legge accosto a Laclos, ricavandone una comune strategia di scrittura. Con questa conclusione: “Machiavelli celebra nel segreto della propria accidia l’autonomia della parola dal potere politico che vuole piegarla a sé, e non l’autonomia del potere politico (la sua impunità) dalla morale”. Un richiamo forse più valido per il comune libertinismo – del pensiero e della parola, non nel’accezione volgare della licenza sessuale.

Pound – Fu fascista, senza dubbio. Non nei comportamenti, era un americano eccentrico in Italia, se non per le trasmissioni alla radio in guerra. Ma nei convincimenti sì.
Saul Bellow lo voleva meglio pazzo che fascista e antisemita. Lo scrisse in una delle lettere che ora si pubblicano, il 7 gennaio 1956, a William Faulkner, che alla fine di un convegno del People-to-People Program (inteso a favorire l’emigrazione dai paesi comunisti europei verso gli Usa), aveva invitato gli scrittori a impegnarsi per la liberazione di Pound dal manicomio. “Caro sig. Faulkner”, la lettera è risentita, “Se (Pound) fosse sano dovrebbe essere processato di nuovo come un traditore; se fosse matto non andrebbe rilasciato solo sulla base del presupposto che è un poeta. Nelle sue poesie e nelle sue trasmissioni Pound ha invocato la sciagura per gli Ebrei e ha predicato l’odio e l’assassinio”.  Né servirebbe per la propaganda nella guerra fredda: “Gli europei lo prenderebbero come un sintomo reazionario. In Francia Pound sarebbe stato fucilato”. Né vale l’argomento del diritto speciale per i poeti: “Liberarlo perché è un poeta? E perché mai? Forse poeti migliori di lui sono stati sterminati. E non diciamo una parola per loro?”.
Alla lettera di Bellow Pierluigi Battista obietta: “Ma quella predicazione valeva tredici ani di un uomo considerato pazzo e sottoposto a terapie medico-psichiatriche che di frequente oltrepassavano la soglia della crudeltà”, cioè erano crudeli.
Ma Pound fascista lo era e lo sarà. Ammiratore di Mussolini, Hitler e Oswald Mosley. Fu più volte in Italia, ma vi stabilì nel 1924 per il fascismo, di cui apprezzava tutto. Anche l’antisemitismo, al modo sempre di Mussolini, o del primo Novecento europeo, superficiale più che cattivo, ma costante. E lo disse, a tutti i suoi interlocutori, negli ani de fascismo e dopo, dopo la liberazione dal manicomio, quando pubblicamente si trincerò nel silenzio. Le sue simpatie erano inalterate, lo sanno i familiari e i pochi che ebbero accesso alla sua fiducia.

Proust – Senza amore, malgrado le migliaia di pagine – c’è la nostalgia, ma di una mancanza. E senza sesso. Questo c’è, ma per sentito dire – sembra da repertorio, manualistico, specie quello gay?
L’amore per Albertine è implausibile, dietro la gelosia. E la storia d’amore Swann-Odette è alla sommatoria una satira: della modestia dell’oggetto d’amore, banale, di nessuno spessore, rispetto alla gloria della concupiscenza

Shakespeare – Uno dei tanti “Shakespeare” dovrebbe essere un grecista. Uno che  conosceva le tragedie greche, e le pasticciava. Il Lear per esempio da Edipo cieco, in “Edipo Re”, Marcantonio, Macbeth…: le trame non lo sono, i caratteri e la hybris

Vangeli – Carrère, Veronesi, a suo modo anche Houellebecq, e i “biografi” di Giuda, Oz, Chandernagor, se li riscrivono. Si immedesimano in Cristo.Un ritorno del padre, delle origini? Il tentativo di ricreare una chiesa, un corpo mistico? Per gioco intellettuale, e per bisogno di “autenticità” – fondazione, primitivismo, disintermediazione. Di originalità.

Wittgenstein – Per primo fu proposto in  Italia, nel 1954, da un gesuita, G.C.M.Colombo. Cui l’aveva segnalato Anscombe? Un’edizione apprezzata da molti, in traduzione e col testo inglese.

letterautore@antiit.eu

Milano sotto il tallone dei santini (di ‘ndrangheta)

La ‘ndrangheta controlla la Lombardia. Coi “pungiuti”, i santini, e i nipoti stretti. Roba da non  credere. Rossi, benemerito cronista di tante morti bianche, mostra di crederci.
Cinque anni fa Rossi aveva argomentato che le mafie meridionali dominavano Milano, quattro o cinque di esse. Ora la ‘ndrangheta. È un progresso o un regresso?
Giampiero Rossi, La regola, Laterza, pp. VII-218 € 18

lunedì 22 giugno 2015

Stupidario greco-europeo

Perché l’altalena di fiducia-sfiducia nella soluzione del debito greco? La riposta è nella domanda.

Dice: no, la risposta è nei fondamentali. I fondamentali della speculazione? Per quale altro motivo fare domani, forse, l’accordo che si poteva fare ieri?

Si dice che l’accordo per la Grecia non si fa perché le destre europee, in Germania, Spagna, Portogallo, Irlanda e altrove, e con loro i socialisti, non vogliono darla vinta al “comunista” Tsipras. Ma chi ha fatto vincere Tsipras?
E gli altriTsipras, di sinstra e di destra, in Italia, in Spagna?

Si dice che Angela Merkel sia bloccata dall’opinione pubblica tedesca, per la quale la Grecia è imbrogliona e ladra. Ma chi glielo ha fatto credere?

L’euro è stato sfruttato da alcuni a danno di altri. Questo non si dice ma è vero – e incontestato.

Il mio amico Foucault

”Un bel giorno, Foucault ha imprudentemente suggerito che l’umanità dei tempi nostri cominciava a imparare ha incominciato a imparare che poteva vivere senza miti, senza religione e senza filosofia, senza verità generali su se stessa”. Imprudentemente, a metà opera, lo storico antichista Veyne, impegnato a dare spessore filosofico all’amico di una vita Foucault, rovescia l’assunto. Sula base di Foucault, che non si taceva le sue debolezze. E che resta uno storico (“archeologo”). Anche, a tempo peso, fra una ricerca storica e l’altra, filosofo della storia, ma senza molto impegno, e non preciso né attendibile. È che il lavoro di Veyne, un omaggio all’amicizia, è impegnato a puntellare Foucault in ogni punto debole, e a emendarne le sbandate.
Sul piano personale, un ritratto seducente. “Esile, elegante e tagliente personaggio, che niente e nessuno faceva indietreggiare, e la cui scherma intellettuale maneggiava la penna come se fosse una sciabola”, “il buon sessantottardo”, dal “sottile profilo con scoppi di risa”. Un intellettuale d’azione, goloso della vita, il 68 in piazza, le canne, l’Lsd, e le black rooms a san Francisco, nelle pause dell’insegnamento a Berkeley, da cui uscirà mortalmente infetto nel 1984, quando ancora di Aids si sapeva poco e non si diceva niente. Ma uno che sapeva a memoria tutto Char, il poeta, e non si voleva un eversore contro la verità, la moralità e la normalità: “Niente di tutto questo: non ha fatto che proporre delle riforme circostanziate  (come la soppressione della pena di morte), e non insegnava l’anarchia e la dissolutezza”. Un scrittore. Di sinistra, senza essere di partito, né fazioso, neanche nella sua propria difesa. Riformatore sempre in moto: sulla follia, la malattia, la pratica linguistica, il sesso, la cura di sé, Khomeini e la rivoluzione gentile. Esploratore instancabile, e uomo di pensiero inflessibile, diretto piuttosto che ironico.
La testimonianza è appassionante, oltre che leggibile, anche nella ricostruzione delle idee. Che Foucault lega allo scetticismo, al relativismo, a Heidegger molto, seppure in modo molto diminutivo per il filosofo svevo, e soprattutto a Wittgenstein – Foucault chiama “giochi di verità” quelli che Wittgestein chiama “giochi di linguaggio”. L’archeologo alla ricerca di “dispositivi” - in vece delle “strutture”. Nell’ambito del “discorso” – “termine scelto male”– che è il quadro formale attraverso il quale conosciamo. L’Idealtypus di Max Weber – e l’ “opinione” di Nietsche? La “cosa in sé” di Kant riportata alla singolarità. Mai definito ma sempre evocato lungo gli anni, “con le parole di discorso, ma anche di pratiche discorsive, di presupposti, di epistemè, dispositivi…”. Anche mobili, anzi “erranti”: le mutazioni sono ininterrotte nei secoli, benché misteriose. Più o meno analoghe ai modi (attributi) di Spinoza, alle monadi di Leibniz, ai multipli di Platone.
Foucault non potrebbe non concordare, che la storia vedeva “come una successione di fratture”. Come “antropologia empirica”. E “opera di teatro”: capire ciò che gli altri dicono e fanno è mestiere di attore (mettersi nella pelle dell’altro) e di drammaturgo (trovare le parole per dirlo). Una rappresentazione sarebbe il termine più esaustivo.
Paul Veyne, Foucault. Il pensiero e l’uomo, pp. 197 € 19


domenica 21 giugno 2015

La crisi e noi

“Grecia–Ue, lo scontro «brucia» 1.000 miliardi”, “Il Sole 24 Ore”: “Anche senza Grexit, la crisi ha un costo record: 600 miliardi persi in Borsa, 385 sui titoli di Stato”. “Atene e l’economia del tempo di guerra”. Il “Corriere della sera”: “L’euro-crisi ha fatto danni come una guerra”, “Berlino preme per piegare Atene”, “Per le vie di Atene sfinita dalla terza crisi”. Francesco Forte: “L’Italia rischia un «terremoto»”. Tremonti: “Le assurde richieste ad Atene di un’Europa che sa dire solo «no»”
Padoan: “Non sono preoccupato”. In effetti, qual è il problema? Marino, forse.

Secondi pensieri - 221

zeulig

Benedizione – È la vera maledizione, arguisce Enzensberger, nella piccola filosofia portatile del “Signor Zeta”. La maledizione logora chi la promuove e moltiplica le energie e le difese di chi ne è vittima, la benedizione invece isola, e spesso fa dimenticare le difese istintive, lo scongiuro, l’allerta.
Tutto si può dire, ma è il limite del paradosso, che non ci sia peggior diavolo di Dio.

Dio – Nasce incensurato. Più che per le creazione, come vuole la Bibbia - tutti creiamo nel nostro  piccolo qualcosa in continuazione, comprese le formiche – eccelle perché immune alla colpa. In tanti hanno tentato e tentano d’infangarlo, e non ci riescono: ributta il fango in automatico indietro. Non si spiega altrimenti che abbia concepito (generato) il Male e sia a esso immune.

Disincanto – L’Entzauberung di Max Weber non è il “disincanto” di un mondo senza Dio né dei, ma lo “smagamento” che la tecnica imperversante opera.

Essere – Resta ingombrante, malgrado gli spaventi e le abiure indotti dai “Libri neri” di Heidegger, la sua questione dell’essere.  Che viene risolta nel “ci”, relativizzandola – relativizzando l’essere, l’uomo e l’umanità. Lo stesso di Foucault, l’altro filosofo radicale che resiste ingombrante del Novecento, del suo “dispositivo” (“discorso”). Ma il fatto di porre la questione dell’essere, non da ora, attraversa e sminuisce queste relativizzazioni. Le riporta al loro “essere” aggiuntivo e magari innovativo, di evoluzione, invenzione, scoperta, induzione, deduzione. Sorprendente a volte e anche benemerito, ma della natura del soprammobile.

Fede – S vuole ortodossa e non. Se solo ortodossa si spegne: univoca, stabile, immutabile, nei riti, la preghiera, la salmodia, l’ermeneutica, sarebbe morta e non vivo.
Ciò è vero della fede in senso proprio come di ogni altro affidamento, dalla simpatia all’amicizia, alla devozione, e all’amore. Non è una contraddizione: si parla di fede e on di legge. Non c’è vera religione senza eresie.

Galileo – Il suo critico principale, quasi uno “stroncatore”, è quello che a lui deve la rinomanza, Alexandre Koyré. I suoi “Studi galileiani”, che non senza motivo forse non si ristampano, rimproverano a Galileo di non aver fatto della fisica ma solo della pedagogia e della filosofia. E in filosofia di: 1) avere, 2) non avere seguito Descartes. Che però veniva dopo, specie le opere cui Galileo si sarebbe\non si sarebbe conformato.
Velenosa anche la dimostrazione, che Koyre fa profusamente e che dà pregio alla sua raccolta, che le speculazioni filosofiche più fumose hanno contribuito, nel Rinascimento, alle origini della fisica sperimentale e quantificata. Che non è la lode che sembra.

Heidegger – Un chierichetto, figlio di sacrestano, anche se per nulla evangelico. Quando uscì “Essere e tempo” i teologi ebbero il dubbio che fosse opera di teologia, ma erano loro stessi teologi e non evangelici. E quasi satanico, così beffardo com’era quando non si controllava.
Un teologo senza Dio? In realtà è molto di chiesa. Il primo concorso lo fece per la cattedra di Filosofia Cristiana. Non lo presero, ma continuerà ad andare a Messkirch a messa, nel banco del coro che era suo da ragazzo, e a segnarsi e inginocchiarsi nelle chiese di campagna nei suoi trekking.
Ma teologico lo è non per l’aneddotica. La sua “istorialità destinale” è messianica - si sarebbe meravigliato di essere biblico, suo malgrado un po’ ebreo? L’Eterno è il mio pastore, dice la Bibbia. E lui: l’uomo è il pastore dell’Essere.
E di nuovo cosa fa? Recupera l’Assoluto in mezzo alla (alla fine della?) miscredenza. Non metafisico, non religioso, un Assoluto che “non si mostra che nascondendosi”, tipo cane e gatto, velato\svelato, presente\assente,  “istoriale” nella discontinuità: che è l’umanesimo, il modo di essere dell’umano, anche se pretenderà di negarlo. Il suo uomo è un essere che ha una vita interiore, ne è anzi prigioniero: gettato nel mondo, preda della Cura, un essere-per-la-morte, autentico e no. Insomma, metafisico: senza corpo, desiderio, bisogno, convivialità, solitudine, politica – un prete: l’uomo della religione senza religione, che l’anima chiama Dasein.

Hybris - Trascurata e anzi cancellata, benché sia la costante dell’epoca, fino all’insolenza. Inclusa quella che si fa un vanto di misconoscere la trascendenza. Forse è qui la radice dello stato depressivo invadente o della crisi: la ragione che non tiene conto della sua hybris si espone alla hybris di ritorno, ex divina. Tenerla in conto elimina un senso di mancanza e quasi di colpa. E non per calcolo opportunista: è aver dispiegato tutto l’armamentario razionale di cui si dispone, compreso l’irrazionale.

Multigender – I bambini chiamano tutti gli uomini papà e tutte le donne mamma, dice il primo capitolo della “Metafisica” di Aristotele. È la fine di Aristotele?

Potere – Si può dire un equilibrio instabile. Costituzionalmente, il più instabile – mutevole anche al battito d’ali della farfalla a Hong Kong. Anche il potere assoluto non scaccia l’incertezza: un evento improvviso imprevisto, o anche una semplice minuta variazione – sottrazione, aggiunta.

Purezza – È l’assenza della colpa, della souillure. La cancellazione della colpa compresa.
È l’attributo massimo probabilmente di Dio. Che è censore incensurabile, e di milgiore qualità fra tutti i giudici, perché intoccato dalla sporcizia.

Realismo – Ce n’è più di Foucault, delle singolarità? Delle cose ma in quanto conosciute, di Foucault (giochi d verità), e di Wittgenstein (giochi di linguaggio)?

Perché non sarebbe neo neorealismo? Il primo essendo quello della Scolastica (Anselmo d’Aosta, Tommaso d’Aquino, Duns Scoto), il secondo quello inglese opposto all’incipiente idealismo tedesco.

Relativismo – Totalizza anch’esso, naturalmente. Viene come opposto allo storicismo, da Croce a Simmel e Foucault, una parte di Hegel compresa, un’opposizione di cui non c’è necessità. La verità nel tempo e nello spazio presuppone la Verità vera, come metronomo (scansione) se non come metro.

Umanità – È in rapido declino. Ha cessato di essere al centro del mondo con Copernico, con Darwin si è ridotta a specie vivente, con Nietzsche all’empiria, e poi al fenomeno.
Ma c’è un mondo senza l’umanità? Non è il mondo una sua creazione, dell’umanità? Finisce dunque il mondo, ma che mondo?

Verità – L’uomo non può accedere alla Verità, si dice con Foucault, anche con Wittgenstein, la quale non esiste. Eccetto che per l’enunciato?
La verità è mobile – elastica, adattabile, e non per conformismo o opportunismo: è l’intelligenza.
È sempre provvisoria. Tanto è vero che si smentisce in continuazione.
È una metamorfosi. La vita eterna.

Koyré direbbe: l’uomo è capace di concepire l’idea della verità ma incapace di raggiungere la Verità., una per tutte. Certo, non attraverso l’LHC del Cern a Ginevra. Ma questa non è la Verità?

Foucault: “La vita è approdata con l’uomo a un vivente che non si trova mai interamente al suo posto, a un vivente che è votato a sbagliare e a ingannarsi”. Rispetto alla Verità? A più verità successive? L’atto di filosofare è veritiero.
Senza Verità niente filosofia.

zeulig@antiit.eu 

L’Europa dei prestigiatori e i maghi delle tre carte

Ci vorrebbe oggi un altro “persiano” che veda l’Europa con gli occhi della verità. Ne siamo tutti convinti, che siamo a un brutto passo, tra stupidità e avidità – di potere, sia pure solo di prevaricare profughi affamati, e di furbizia, ignoranza, arroganza, con la grazia dell’orso. Anche l’ancien régime era cieco, e Montesquieu non può che riderne. Ma ora non si ride nemmeno, abbiamo fatto guerre inutili per tutto un secolo alla stupidità rivestita di arroganza.
S’immagini un “persiano” che sbuchi dalla metropolitana al Tiergarten davanti al Bundestag. Non un selvaggio, uno che si assorba nello scontro di civiltà, no: uno altrettanto colto e non totalmente alieno, ma di un’altra cultura, che supponiamo vergine ma con lo stesso linguaggio. Quante sorprese questo “alieno come noi”, quello che vive nel presente storico, non ci racconterebbe, all’occhio di tutti.
Montesquieu ne ebbe l’idea tre secoli addietro nel 2021. Quante ne hanno da raccontarsi Uzbeck e Rica, insolenti, melodrammatici. Fu così che il re di Francia si rivelò un prestigiatore, uno che voleva far credere a suoi sudditi che la carta fosse oro. Come del resto il papa, che voleva far credere ai fedeli che il tre è uno e l’uno tre.
Montesquieu, La lettere persiane