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sabato 25 luglio 2015

Orfani (postsovietici)

La realtà è dura
La posizione è netta
La retorica è artificio
Vuoto, il ruolo centrale
Di noi che fermi siamo
Agli anni Cinquanta
(del 1900)
E la testa usiamo
Per dire sì
All’ideale defunto

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (252)

Giuseppe Leuzzi

"La Nazione" ha una pagina, nell’edizione provinciale di Carrara, sugli sviluppi giudiziari per la morte di una ragazza operata di appendicite, a causa dell’interruzione dell’elettricità in sala operatoria. All’ospedale di Vibo Valentia. Nove anni fa. Dalla lettura si capisce poco: più che di malasanità, il problema sembra una lite fra giudici, sempre di Vibo Valentia.
Una volta, al tempo dei romani, gli apuani erano stati dislocati nel Sannio, e i sanniti tra Massa e Carrara. Sarà successo lo stesso con la Calabria, e non ce ne siamo accorti.

Si celebra a Palermo l’anniversario dell
’eccidio del giudice Borsellino e degli agenti di scorta, mentre sotto accusa è nella stessa Palermo l’antimafia. Non tutta, ma buona parte sì.

La leggenda nera

Cantone scrive a venti Comuni-campione per invitarli a dare meno appalti senza gara. In cima alle chiamate dirette vengono Firenze, Bologna, Milano, Aosta etc. Non Catanzaro. Invece sul “Corriere della sera”, l’inevitabile Stella scrive una pagina contro Catanzaro:

Il giornale non ci crede dalla gioia, e fa questo titolo, anche se sbagliato (poi ricrederà, nella rubrica delle lettere che nessuno legge): 
I Comuni e gli appalti senza gara
Catanzaro, telecamere da 23 milioni
La denuncia dell’Anticorruzione: nel comune calabrese fino al 97 % delel forniture assegnato con "procedura negoziale", cioè appunto senza gara. Punte dell'93% a Milano e dell'86 % a Roma 
Stella definisce il sindaco di Catanzaro Abramo "eletto dalla destra tra accuse di brogli e nuove conte di voti". Quel sindaco è stato eletto almeno un paio d’anni fa, e dunque ha superato le "accuse di brogli". Questo Stella non sarà Beria?

Ma è una storia di avvocati: informatore di Stella è infatti un avvocato di Catanzaro, che prepara la candidatura contro Abramo. Pezzo forte di Stella è l’assunzione a Catanzaro di un legale contro i "curiosoni" dei bilanci comunali. Mentre è vero che il Comune ha fatto causa per diffamazione e diffusione di notizie false e tendenziose, contro l’avvocato-candidato.

Alvaro poeta delle origini
"Di quello che l’aveva veduto nascere ricordava tutto e chiaramente", Alvaro fa riflettere il suo protagonista di "L’uomo nel labirinto": "Gli alberi e le case, il colore delle ore, che ormai era arrivato a indovinare solo a guardare fuori della finestra; il gusto dei cibi e il sapore dell’acqua, il modo di trattare gli uomini, che gli erano parsi accessibili, mentre questi altri gli erano estranei e come incontrati in viaggio" - il "colore delle ore".
E quando in treno verso Lipari il protagonista si sveglia a un tratto, è perché "i suoi orecchi, abituati alle grida e ai rumori delle stazioni, avvertirono un suono nuovo e voci conosciute. Un altro linguaggio percorreva il treno, più lesto e più allegro come nel risveglio di un giorno di festa". Il dialetto, che Alvaro dice "la parola familiare" – dell’amante May che lo accompagna all’uomo viene di pensare: " La bocca di lei gli pareva di quelle bocche straniere che hanno la piega d’una lingua ignota, su cui non è rimasta impressa mai quella parola familiare che è in fondo al pensiero, per quanto sia diversa la lingua che si parla". La vita radicata è opposta col segno più a quella metropolitana sradicata, e si opina che le lingue senza radici siano incapaci di pensiero.
Al risveglio dell’uomo nella terra materna anche la vista si acquieta: "I monti acquistavano le parvenze che egli conosceva, e a uno svolto si parò dinanzi la sua montagna in mezzo agli altri monti: alta, solenne, con i fianchi materni, che era quella e non altra, diversa da tutte quelle che erano intorno, quasi costruita in modo diverso, con tutti i massi lucenti che alle altre mancavano, con le macchie d’alberi che avevano un’animazione diversa da tutti gli alberi del mondo" – la montagna dai "fianchi materni".
Il ritorno
Ancora Alvaro, qui in "Memoria e vita", lega il senso vivo della vita all’infanzia, e quindi alle radici, familiari, culturali, etniche: "Avevo passato dieci anni in quel mucchio di case presso il fiume", ricorda del paese natio, San Luca, "sulla balza aspra circondata di colli dolcissimi digradanti verso il mare, i primi dieci anni della mia vita, e pure essi furono i miei più vasti e lunghi e popolati".
Ma non è così semplice come sembra, il ritorno è contrastato. Il ritorno "nella regione del suo paese", in Calabria, è subito avvertito dal protagonista, anche se dal versante non suo, il tirrenico e non lo jonico: "il suo paese era al di là della montagna, e qua risentiva la primitiva impressione di essere ancora forestiero". Ma, "come per un gioco fanciullesco", può divertirsi a "indovinare i suoni della sua terra" – e ci riesce : "Avvertiva, dalla parte dove poggiava il capo, un senso di nuovo e di fresco. Là doveva esservi il mare, il mare in pendio che egli conosceva, lungo la costa arsa su cui si spingevano le viti nane piantate sulla rena". È il primo di molti "ritorni" di Alvaro alla sua "terra". Il "mare in pendio" non c’è, ma è una cosa sua, di Alvaro, del suo protagonista.
E tuttavia "era come vedere i cenni di un muto che si sforzi di parlare": così, con un ritorno muto al luono natio, Corrado Alvaro conclude il suo primo romanzo, "L’uomo nel labirinto". Non come atto d’orgoglio, ma di contrizione e di diminuzione: "Alcuni uomini perdono la loro razza, altri no. Io la conservo", fa dire al protagonista all’incontro di "un viso noto", una piccola cameriera mora: "Io mi riconosco in lei. Vuol dire che in me si riconoscono tutte le persone povere, modeste, silenziose".
Il ritorno omerico, nostos, sa di nostalgia, e così è: non c’è ritorno se non voluto, anche se per necessità interiore.

Maschere mascherate

Mascariare si dice a Palermo per calunniare: viene da tingere col carbone - basta un tocco e resta il segno – ma sa di maschere. È una vicenda molto siciliana, quella di Crocetta, Borsellino, Tutino & co.. Pirandelliana, ovvio, benché da maschere mascherate più che nude: tutti sono una cosa e il contrario, e niente è come appare. Ma è anche molto confessionale, e anzi democristiana. Crocetta viene dal Pci, ma è di parrocchia ed era impiegato all’Eni, cioè targato bianco, Leoluca Orlando il suo presunto killer, il medico Tutino, uno che recitava il rosario, forse per imitare il Gattopardo, l’onorevole Lumia, e la famiglia Borsellino – Paolo era di destra, ma confinava con la destra Dc.
Questo che c’entra? C’entra: è la Dc che ha infettato la Sicilia, pure così industre e potenzialmente prospera, oltre che bella e ben tenuta - non si può sostenere il contrario, che sia stata la Sicilia a infettare la Dc. E ora infetta il Pd. Le sinistre questa Dc le ha espulse da tempo, prima il Pci, che nell’isola raccoglieva sì e non il 10 per cento quando in tutta Italia (Sicilia inclusa, che tanto pesa nel voto nazionale) era a un terzo del voto, poi i socialisti e ogni altro. Il Pd non riesce a esprimere in Sicilia – alla Regione e a Palermo – nemmeno un candidato.

leuzzi@antiit.eu

La sovranità è borghese

Una rievocazione nostalgica? Ne ha l’aria, benché l’excursus sia limitato all’Europa continentale che alla sovranità sta rinunciando, per un ideale per ora pronubo di disgrazie.
Includervi la Gran Bretagna e gli Usa, che invece ne fanno una prerogativa incedibile, avrebbe costituito un ottimo contrappunto, per sapere dove stiamo andando, ma De Giovanni sta al suo Hegel. Da un filosofo che è stato parlamentare europeo qualcosa ci si sarebbe aspettato sull’evoluzione, se non è una deriva, contemporanea. Ma il suo è un esercizio dottrinale: un ritorno a Hegel, che pone a compimento della riflessione di Bodin e Hobbes. A preferenza del decisionismo di Carl Schmitt, e del normativismo di Kelsen, criticati anzi polemicamente.
Machiavelli no, oltre l’Europa manca anche lui, e pure Rousseau, ce n’è poco. Per non dire del dimenticato Alessandro Passerin d’Entrèves, cui si deve la più attuale “dottrina dello Stato”, soprattutto nelle lezioni a Oxford, esiliato della Repubblica, e di Hannah Arnedt che a lui si è rifatta, “Che cos’è l’Autorità?”, 1954 (ora in “Passato e presente”, 1968), due reincarnazioni di Hobbes: la scienza politica dopo la guerra civile, la scienza politica dopo il totalitarismo, da resistenti e partigiani: forza, potere e autorità, Passerin d’Entrèves lo spiega, fanno la sua elegante dottrina dello Stato o sovranità (la mafia, che non ha studiato, lo sa), la forza mista all’autorevolezza, l’Auctoritas, la romana legittimazione.  
L’elogio diventa più vivo con la contestazione, oltre che di Schmitt e Kelsen, del “fondamentalismo dei diritti umani” imperante. Che è poi l’uguaglianza estrema alla base del liberalismo, fondamentalmente anarcoide. Ma fa insorgere uno strano legame. L’autorità dello Stato contestata nel nome dei diritti civili, etc., è vecchio argomento polemico, e anzi atto di nascita, della Trilateral, poi gruppo Bilderberg, il think thank dei ricchi e pensosi dei destini del mondo: la società dei diritti è anarchica. È curiosa questa collusione tra lo Hegel di sinistra e gli high tories, la grande borghesia.
Biagio De Giovanni, Elogio della sovranità politica, Editoriale Scientifica, pp. 232 € 20

venerdì 24 luglio 2015

Stupidario calcistico

Valgono più i 40 milioni di Vidal o quelli di Goetze?

Perché cambiare un buon calciatore, sperimentato, con un altro “uguale” ma non sperimentato – e non a suo agio evidentemente nella squadra di provenienza?

Mercato fiorito quest’anno, orgoglio di tutte le gazzette: “Abbiamo già speso più di tutte le altre leghe calcistiche, più perfino della Spagna. E ancora ci sono 38 giorni di mercato”. Senza contare le percentuali dei procuratori.

Da Montella in giù, Della Valle ha licenziato tutti alla Fiorentina. Per candidarsi meglio a palazzo Chigi, più piacione e censore

Oggi come oggi non ci sono i giocatori a Firenze per fare una squadra che punti alla salvezza, dopo le tante partenze. Della Valle incassa per uscire dalla squadra? Niente più stadio, con “sviluppo” immobiliare connesso, niente più evergetismo.

Berlusconi vuole pagare 25 milioni alla Roma per un terzino che la Roma non fa giocare. Poi dice che Berlusconi non sbaglia un affare.

L’Inter s’illustra con Jovetic, che a Manchester non fanno giocare. Dopo essersi illustrata con Podolsky e Shaqiri, che il suo allenatore non ha fatto giocare.

Girano più di tutti i giocatori rappresentati da Raiola, perfino Balotelli, che in nessun posto poi fanno giocare. Una storia tutta simpatica di successo. Partendo, dice lui, da Nocera Inferiore e, dice ancora, dalla pizzeria paterna a New York. Rispettato residente a Montecarlo – rispettato anche dalla Agenzia delle Entrate: le provvigioni sono sicure.

È molto popolare Raiola, e trova sempre ottimi ingaggi per i suoi assistiti. È anche lui un evergeta, condivide le sue ricchezze?

E gli altri procuratori, quanta parte delle provvigioni rimane a loro? Pagano infatti poche o punte tasse.

Il giallo pedagogico

Un divertimento e un esperimento. Il primo di una serie di venti. Una delle iniziative di Atlantyca Dreamfarm, il gruppo editoriale meno noto e più prospero, costituito qualche anno fa da Pietro Marietti (da ultimo Piemme) e Marcella Drago (De Agostini), che questa serie ha già venduto in diciotto lingue in venti paesi, tra essi la Francia, la Cina e la Corea. E detiene il record delle traduzioni italiane nel mondo, con “Geronimo Stilton”, secondo solo a “Pinocchio”.
“Adele e l’enigma del faraone” è un film di Luc Besson del 2010, un film di fantasy basato sul fuumetto “Lea aventures extraordinaires d’Adèle Blanc-Sec” di Jacques Tardi, una serie che fa data dal 1976. Ma il faraone non si può dire soggetto esclusivo. Anche Agatha è naturalmente un po’ Agatha Christie. Gli ingredienti si vogliono classici. Pasqualotto ha anche una vera investigatrice, benché dodicenne, Agatha Mistery, di grande fiuto cioè, che da grande farà la scrittrice di gialli. Agatha una memoria eccezionale e una spalla un po’ stolida, il cugino quattordicenne Larry, che studia con scarso profitto alla scuola per detective Eye International, ma abilissimo tecnologo. Ha pure il maggiordomo, e deve risolvere il furto di un preziosa tavoletta egiziana, la sparizione della famosa perla del Bengala, insomma il repertorio.
Divertente, ma anche di più: un insegnamento. Paqualotto mette a frutto una duplice esperienza. A Londra A lungo nell’editoria fantasy e dei giochi di ruolo. Ma psicolinguista di formazione, e insegnante a tempo preso a Scienze della Comunicazione a Bologna. Oltre che la detective Agatha ha all’attivo una serie di avventure, “Il manuale del vero Pirata”. Ambientazioni esotiche ma appropriate - non le fughe indigeste nei non luoghi e le non persone che affliggono la narrativa contemporanea: questi racconti ha elaborato nel quadro di una “didattica creativa” per arricchire i linguaggi e le forme espressive. I racconti scrive semplici e svelti, come è del genere. Ai piccoli lettori propone in fondo il gioco di indovinare in anticipo, scrivendone in appositi spazi, chi e perché è il colpevole. Molto più di un divertimento.
Sir Steve Stevenson (Mario Pasqualotto), L’enigma del faraone, Corriere della sera-Gazzetta dello sport, pp. 137, ill., €1

giovedì 23 luglio 2015

Il labirinto donna

Una satura all’uso antico. La prima opera Alvaro ha inzeppato di tutto: la novella, il romanzo, l’autobiografia (il romanzo delle origini), la provincia e la metropoli, la campagna e la città, la fuga e il nostos, nostalgia e ritorno. C’è anche un tentativo di dramma borghese, dialogato. L’effetto è raffazzonato. Si vede in questa riedizione - l’ultima, ormai di vent’anni fa - che il curatore Natale Tedesco ha voluto quella originaria, del 1921-22, mentre lo stesso Alvaro era intervento dodici anni dopo a riscrivere il tutto, accorciandoolo di un terzo. Anche incongruente, e troppo parlato benché breve. Non ben raccontato. Perfino sbiadito, malgrado le insistenze – non ha fisionomia nemmeno il protagonista, incerto a partire dal nome, Babel o Babe. Pieno di umori sì, come sempre in Alvaro, forse strapieno.
Tante cose sono soprammesse. Appiccicate. Il filo è l’uomo della donna, fatto (disfatto) dalla donna: l’editore dice il protagonista “un giovane reduce meridionale”, e invece non è più giovane, è stato marito a lungo, con suocera e cognati, ed è vedovo, reduce dalla battaglia dei sessi -  ed è “uomo” nel senso non di essere umano ma di opposto alla donna, benché femministo. Quindi, benché ragioni molto e molto si riservi, per altri arcane riflessioni, è una larva, come personaggio e come uomo-marito-vedovo-amante. Fino a concludere, senza vergogna: “Purezza. Se vi fosse un poco di purezza, se io trovassi un po’ di purezza, sarei riscattato”.
Oppure si può prendere la lettura dall’altro capo, critico. Walter Mauro e Tedesco tengono l’opera in grande pregio: per le novità. Tedesco ci vede perfino, in anteprima, il tradimento degli intellettuali. Qui non è questione di intellettuali, non c’è nessun società sullo sfondo, è questione d perdigiorno. Ma le novità ci sono. Il dettaglismo di Proust, che Alvaro fu uno dei primi a leggere e il primo a tradurre. Insieme con la fenomenologia, dei sentimenti, di amore, di amicizia, dei loro contrari. E la Nuova Oggettività povera delle attuali scuole di scrittura: nomi falsi, situazioni avulse, personaggi disincarnati. C’è (poco) l’espressionismo, nel senso di mettere le viscere all’aria. C’è già l’incipiente – ora - post-femminismo. C’è molto l’uomo senza qualità, pirandelliano naturalmente, ma più vero di quello musiliano che sarà poi l’originale - l’uomo senza qualità è, dev’essere, un piccolo borghese, presuntuoso e confuso. E un anticipo di scuola dello sguardo. Ci sono fermenti europei, sempre vivi, di questo grande provinciale – il finale è il nostos, con le donne affacciate alle finestre curiose, “come tartarughe fuori dal guscio”, su fino alla “Stalla”, il palazzo abbandonato che è ora una discarica, a scrivere lettere all’amata che ha abbandonato: “Era come vedere i cenni di un muto che si sforzi di parlare”.
Un racconto enigmatico? Per un effetto d’incertezza che è il segno maggiore della sua “contemporaneità”.
Corrado Alvaro, L’uomo nel labirinto

Ma l'Ue tratta il riconoscimento dell'Is

Paura, accuse, ripicche, tutto meno l’essenziale. Con un finto panico che scarica le coscienze – si parla dei quattro italiani rapiti a Tripoli: “Ci sarà un riscatto”, “No, sarà chiesto il riconoscimento”, etc. Mentre l’essenziale è che  l’Onu e la Ue stanno trattando in Libia proprio questo: il riconoscimento dell’Is, del suo governo a Tripoli. Con un’aggravante: l’Is non controlla Tripoli, vi è solo presente, come altre bande, ma tanto basta per legittimarlo all’Onu e alla Ue.
Bernardino Leon, un oscuro funzionario dell’Onu, ha mandato pieno dell’Onu e della Ue, e tratta proprio su come far emergere, accanto al legittimo governo libico di Tobruk, anche quello islamico di tripoli. A questo fine è stato bloccato l’Egitto, che poteva annientare l’Is in Libia tre mesi fa. Ed è stato ignorato il piano italiano anti-barconi, che pure gli Stati Maggiori italiani avevano approntato in dettaglio.




La non politica estera

Il Pdemocristiano l’ha messa ai margini, un ministero di seconda categoria, affidato prima a una ex Fgci, senza competenze, se non di essere stata insieme dalemiana e veltroniana, poi a un ex impiegato del Comune di Roma. Si finisce per non sapere più le cose elementari, come evitare di consegnarsi ostaggi all’Is d Tripoli, anche se solo a fini di riscatto.
Triplice ignoranza. Che la Libia è piena di banditi. Che l’Is a Tripoli vuole essere riconosciuto governo legale. Che la Libia è un paese confinante - per l’Italia la Libia è come l’Austria, la Francia, la Slovenia. L’esito è noto: avere l’Is al governo a Tripoli è la fine della pace per l’Italia. Ma nessuno se ne cura.
Non solo di questo. L’Italia non si cura in realtà di niente, e comunque non ha voce in capitolo su niente, anche se i suoi interessi sono preponderanti. Non ha voce a Bruxelles su nessun tema, se non come sfida: vediamo adesso cosa vuole l’Italia… Gli immigrati ha confidato a Alfano. Doveva combattere la mafia dei barconi, che poi è l’Is, ne aveva i mezzi e la capacità, e si è lasciata fare da Bernardino Leòn (?). Spende tanto, anche se non si dice, per “combattere” l’Is in Siria e Irak, e poi si fa passare il peggio del peggio dal governo turco amico dell’amico Erdogan. Che, se volesse, stroncherebbe l’Is in un giorno. Ma, pur avendolo alla frontiera, cioè in casa, se ne guarda bene.
Ps. Erdogan ora si segnala per cancellare dalla rete e dalla memoria i 33 giovani volontari a Kobane massacrati da un kamikaze. Non per cancellare i kamikaze dell’Is, perseguirli - almeno uno, per dare l’esempio. Gentiloni ha protestato? Certo, a Erdogan non gliene potrebbe fregare di meno

I due mondi

La foto rubata dagli inquirenti, di Lassaadi Briki, tunisino, e Mohammed Waqas, pakistano, li mostra nello splendore di ogni fantasia da immigrato, rilassati, curati, disinvolti, perfettamente integrati, a fare liberamente la spesa. In una sorta di paradiso terrestre per loro, se si conoscono gli ambienti di provenienza. E tuttavia il loro sogno non è d’integrarsi ma di ferire in qualche modo chi li ha ricevuti e “liberati”.
L’immigrazione di questi anni non è come quella postbellica degli europei del Sud verso l’Europa del Nord, o quella transatlantica un secolo-un secolo e mezzo fa degli europei verso le Americhe. Quelle erano emigrazioni intra-europee. Erano curate, con visti,  biglietti, prenotazioni, richieste eccetera. E soprattutto avvenivano all’interno di un mondo che, per quanto si voglia diminuire il peso e il senso di Europa, condivideva tutto, eccetto la ricchezza.
Gli immigrati andavano allora ad altre “Europe”, con i quali avevano in comune, se non le classi dirigenti e  il benessere, la moralità e i principi delle leggi. I “barconi” sono un’immigrazione, benché vicina, e anzi quasi di frontiera, da un altro mondo. Per secoli rancoroso, per ragioni di cultura storica e politica più che di religione – come tale è anche avvertito, nella percezione comune (non critica, ma sostanziale).

Recessione - 38

Tutto quello che bisognerebbe sapere e non si dice:

Secondo il Centro Einaudi-Intesa San Paolo, il ceto medio italiano (reddito compreso fra il 75 e il 125 per cento di quello medio per classe demografica di appartenenza) si è ridotto dal 57,1 pe cento del totale delle famiglie nel 2007 al 38,5. In cifra: circa 7 milioni di persone, tre milioni di famiglie, hanno perso l’aggancio alla soglia minima del ceto medio.

Per la prima volta nell’Italia postbellica, secondo il sondaggio Einaudi-Intesa, una generazione di ceto medio è convinta di avere fatto un passo in dietro rispetto ai genitori.

Fra il 2008 e il 2013 sono emigrati 554 mila italiani. La maggior parte per motivi fiscali. Ma due quinti degli emigrati sono giovani tra i 15 e i 34 anni.

Aumentano i poveri, ora a quota 15 milioni. Più 30 per cento dal 2008.

Meno 25 per cento a maggio la produzione industriale rispetto al 2007: un quarto dell’industria italiana è ferma.

Il governo dà la produzione industriale in boom a maggio, Confindustria la calcola in calo rispetto a maggio, e a giugno, del 2014.

Il consumo di benzina è sceso dal 2009 al 2014 del 27 per cento.

mercoledì 22 luglio 2015

Letture - 221

letterautore

Contini – Dimenticato e quasi rimosso è il filologo che ha “fatto”, letteralmente, mezzo Secondo Novecento italiano: Gadda, Pasolini, Pizzuto, Lucio Piccolo.

Francese - Si sente dire alla Rai ròbot, con l’accento sua prima o e la –t finale, désert (per dessert), dépliant, e steig invece di stage. Era la lingua di mezza Italia un paio di generazioni addietro.

Islamic State – Su “Amor Mundi”, il sito dell’Hannah Arendt Center, Robin Creswell e Bernard Haykel scoprono che l’Is si diletta molto di poesia, oltre che di teste mozzate e boia bambini. E se ne fanno una ragione: “Può sembrare curioso che alcuni degli uomini più ricercati al mondo perdano tempo a modellare poemi in metri classici e rime baciate – più facili in arabo che in inglese, ma qualcosa che sempre vuole pratica”. Anche perché  la loro poesia è “piena di allusioni, termini ricercati, e trucchi barocchi”.  Ma si tratta, concludono, sempre di rime politiche. In forma poetica per un riguardo del terrorista verso se stesso, essendo uno che si è messo al bando dalla società, incluse spesso la famiglia e la comunità religiosa. Lo schema che preferiscono è d’altronde l’acrostico, lo slogan – il più gettonato è Daesh, l’acronimo della denominazione ufficiale dell’Is, quello col quale si compilano i versi più minacciosi.

Italiano – È sempre più reticente – a opera della Rai? La strage di via d’Amelio è “di stampo mafioso”. Le decapitazioni per mano dei bambini boia dell’Is sono “una violenza” – i bambini boia o le decapitazioni? L’Is, Stato islamico, è “imputato di terrorismo”. L’assassino del gioielliere è il “presunto assassino”.  

È – era – “vivere la libertà come grazia e non come angoscia” per Maria Zambrano, che così ne scriveva all’amica Elena Croce.

Si traducono ogni anno più opere italiane in lingue straniere, attesta Giuusepe Antonelli su “La lettura”, di quante opere straniere si traducano in italiano – e se ne traducono moltissime (soprattutto romanzi, che nessuno legge, giusto perché gli agenti le impongono (“ti do l’autore che chiedi se ne compri quest’atra mezza dozzina”).
L’ “italiano” più tradotto è il topo detective Geronimo Stilton, almeno cento milioni di copie in undici anni, in 45 lingue. Pinocchio è il libro più tradotto al mondo, dopo Saimt-Exupéry. “Pinocchio” ha all’attivo traduzioni in 243 lingue, spiega Antonelli, “l’unico al mondo ad averne di più è “Il piccolo principe”” – nella classifica mondiale dei più venduti di sempre c’è anche “Il nome della rosa”: Eco viene diciannovesimo posto.

Margot – Huxley, “Crome yellow”, ricorda che Gladstone mise assieme 34 rime per Margot. Gladstone è lo statista, W.E., che nel 1889 ricevette a Hawarden, il suo ritiro in campagna, la visita di Emma (“Margot”) Tennant, venticinquenne, fidanzata e poi sposa del nipote Arthur Littleton. Dopo la visita, impressionato, pare, più dal diminutivo che da Emma, compose quattro stanze di versi tutti attorno a Margot.  Though young and though fair, who can hold such a cargo\ of all the good qualities going as Margot?” etc. - includendo “embargo”” e “far go”.

Paretimologia – La più nota è quella che apparenta pioppo e popolo: sono false etimologie. Come dire matto e mattarello – Mattarella? Gianfranco Contini ne era ghiotto: “Non c’è nulla in comune tra pira, piramide e piramidone, solo paretimologie. Lo stesso fra Pietra e petra delle rime petrose”, che attribuisce a Dante.

Rilettura – “Non c’è la lettura, c’è solo la rilettura” è precetto di Nabokov (“Lezioni sulla letteratura”) a proposito di se stesso lettore: “Incidentalmente, uso la parola lettore molto indefinitamente. Abbastanza stranamente, non si può leggere un libro, si può solo rileggerlo. Un buon lettore, un grande lettore, attivo, creativo, è un rilettore… Quando leggiamo un libro per la prima volta, lo stesso procedimento di muovere laboriosamente gli occhi da sinistra a destra, riga dopo riga, pagina dopo pagina, questo complicato lavoro fisico sul libro, lo stesso processo di apprendimento in termini di spazio e tempo di che cosa tratta il libro, questo si frappone tra noi e la valutazione artistica”. Si parla di un libro, lo si ricorda, a una seconda e terza lettura? Ma solo per un libro “artistico”, la lettura comune scorre – fa più fatica a soffermarsi.
Ma l’argomento di Nabokov non è artificioso. Al primo approccio siamo sovrastati dalla novità, se c’è, mentre siamo stanchi dalla “fatica di leggere”, da sinistra a destra e riga dopo riga. Solo a successive scansioni del testo si può apprezzarlo nell’insieme, come si farebbe con un quadro. Una pretesa che la psicologia rafforza, poiché la prima percezione considera necessariamente incompleta, non essendo il lettore-percettore pronto, con la “struttura appropriata”, a percepire la novità.

Satira – È scomparsa dalla circolazione. Anche a teatro – Litizzetto, Crozza sono politicanti. È scorretta? O il mercato non la vuole? Si direbbe il contrario, se l’opinione pubblica si esprime nei vaffa , nel dileggio e nell’astensione. Ma non c’è non solo in Italia, anche in Francia latita - se non di destra e greve - e negli Usa. In Germania sì, ma non si traduce.

Traduzione – Dopo trent’anni di tentativi e affinamenti, la traduzione probabilistica computazionale è più o meno dov’era: la parola giusta è contestuale, non c’è un algoritmo per scegliere la parola giusta. La tentazione è sempre forte, della ricerca, di tradurre Dante baldanzosamente in automatico, ma l’esito è solo brutale o ridicolo. L’unica funzione del traduttore automatico è di reminder, una specie di sinonimario involontario, che potrà aiutare la scelta corretta.
I modelli automatici funzionano meglio nella semplificazione dei linguaggi, sia di partenza sia di arrivo. Ma anche qui con limiti: “meglio” rispetto alla traduzione automatica simultanea, ma più spesso che non di intralcio alla scrittura di sm, quando si esercita su più lingue.   

“La lingua dell’Europa è la traduzione”, è la fulminante sintesi di Umberto Eco, “Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione”. Sottinteso, il predominio linguistico europeo. Che però è imperialismo a tutti gli effetti, perciò storicamente destinato a decadere – o allora l’inglese resterà lingua franca senza l’Inghilterra (né gli Usa), come il latino adottato dai barbari, senza Roma..
Sì, le traduzioni sono ora “europee”:  da e all’inglese, spagnolo, francese, tedesco, italiano. E occupano questo “spazio privilegiato” nella “rete linguistica globale” soprattutto per “i reciproci flussi di traduzione” (Antonelli, “La lettura”, 19 luglio). Ma lo sono come è europeo il clima – è estate nel mondo quando è estate in Europa e Usa. E anche le ferie dei giornali: che vengono di luglio e agosto quando i giornali europei e americani scacciano le notizie per le curiosità, lo svago, le piccole scoperte.

Derrida – sempre preso dalla sua fascinazione per il tedesco - la definisce (“Heidegger e la questilone”) “l’alterco tra le lingue”: la traduzione come scambio di significati implica una continua ridefinizione (la Übersetzung come Auseinanderersetzung).

letterautore@antiit.eu

ll provincialismo al cuore dell'Italia

Racconti di vita rustica, un genere deserto. Che i luoghi già dei Sanmniatelli, il comune di Lari e il Castello di Perignano, hanno voluto recuperare – il castello è protagonista del racconto centrale, La terra perduta”. Con questa raccolta dedicata al padre, “il severo conte Donato” – dopo peripezie che il curatore della ristampa, Floriano Romboli, illustra: dal conte, anche “senatore del regno d’Italia”, il giovane Bino era fuggito via ai vent’anni, salvo finire a Parigi cantante in locali di terz’ordine, per essere rimpatriato su segnalazione allarmatissima di Guglielmo Marconi.
Il genere alletta. Ma queste novelle Sanminiatelli stesso definisce, riprendendole in una delle tante riscritture che amava, “molto cattive”. Lo sono, non tanto per le figurine che (non) le animano, di pazzi, stolti, malaticci, moribondi, quanto per la riscrittura, che non salva ciò che è nato male e spesso deforma. Qui nel senso del bozzetto letargico. Un provincialismo che ha una forte tradizione in Toscana, al centro dell’Italia e dell’italiano, e tuttavia irredimibile.
Si fa fatica a pensare che Sanminiatelli è morto solo trent’anni fa, attivo novantenne: è un’altra epoca. E tuttavia la nostalgia della riproposta qualcosa comunica: qualche tarlo rivive, della umanità vera della campagna e del “popolo”, malgrado l’abuso del manierismo. Pezzi di bravura: “Oh, la poesia estiva dei luoghi comodi campagnoli!”, cose così - che inevitabilmente si dppiano e si triplicano, incontinenti: “Poesia semplice e asemplice emeixnana, momonotoma e melanconic” per l’ebberzza dell’allitterazione. Nei vezzi dialettali e nella pscologia semplice, è questa scrittura peraltro all’origine, inconfessata, forse ignota, di Cassola e Cancogni nel dopoguerra: l’attenzione per il microcosmo paesano, per i destini minori, le passioni decerebrate. Bino Sanminiatelli, Bocca Mariana, Cld, pp. 207 € 10

Ricomincio da Berlusconi

Arrivati alle tasse, la clonazione è totale. In tutto: la prima casa anzitutto, e poi le aliquote. Dopo le pensioni, la semplificazione legislativa, la Grande Riforma, i patti con gli italiani, le belle donne giovani, la responsabilità dei giudici, e un limite alle intercettazioni, c’è un limite a tutto. Per belle giovani s’intendano le ministre, le sottosegretarie e le consigliere d’assalto. Renzi fa quello che Berlusconi non ha fatto.
Niente scandalo, evidentemente solo le cose da fare. Ma allora è colpevole l’odio, oltre a Fini e allo stesso Berlusconi. Non aver consentito al governo di fare le cosa da fare, a furia di scandali falsi e pettegolezzi, da parte di almeno un paio di presidenti della Repubblica, della Cgil del carrierista Cofferati,  dei giornali delle banche e della Procure. Del sovietismo immarcescibile in Italia, che è poi il fondo fascista, altro che la Resistenza.

martedì 21 luglio 2015

Problemi di base - 237

spock

Si dorme col buio e si ragiona con la luce?

O con la luce si lavora?

O non viceversa?

E quanto buio c’è nella luce, e viceversa?

Ma i contrari non sono uguali, o sì?

La notte acuisce i pensieri, ma perché il pensiero vuole essere acuto?

Il pensiero è snob? Distinto, remoto, inattaccabile, poiché non vuole-può essere profondo. Inattingibile anche.

O non sarebbe meglio andante, comune, banale? Di qualche utilità

spock@antiit.eu

Lo "spirito" hitleriano

La vera “questione” è l’antisemitismo di Heidegger. Il terreno di coltura è lo Spirito, che non è l’esprit francese ma il Geist, con i connessi geistig  e geistlich. Che Heidegger non usa prima, se non tra diminutive virgolette, e anzi sconsiglia, ma dal “Discorso del Rettorato”, 1933, e poi per una ventina d’anni a profusione, fino alla lettura di Trakl. Cioè fino alla riabilitazione – questo a Derrida è mancato? Ma no, anche dopo: fino alla fine, all’intervista a futura memoria allo “Spiegel”, sotto il nome di destino, la Führung, il Gemüt, il Volk (il Volk…), il Dio nascosto, l’alba che non può mancare, il viaggio incognito. Fino al ritorno, dopo la sconfitta e il silenzio imposto nei pochi anni fino alla riabilitazione, del “destino inevitabile”, tra l’Occidente e l’Oriente assenti (ben presenti, ma “vuoti”), via Trakl. Dopo averlo temprato via Hölderlin e (l’incolpevole) Schelling. Col “fuoco” e la “fiamma”, spirituali beninteso, che tanto infiammano un ignaro Derrida.
Il pensiero di Heidegger è perfino trasparente, pur nella sua sorniona allusività - altrove si direbbe mafiosità. Che Derrida, benché appassionato delle decifrazioni, trascura: la questione è “dei pensieri e degli impensieri” di Heidegger… Il testo è di una conferenza a Parigi, il 14 marzo 1987, al Collège International de Philosophie, sul tema: “Heidegger: questioni aperte”.Raddoppiata a stampa dalle note. Si penserebbe al nazismo, cui l’editore francese rinvia, riproponendo il saggio-conferenza in contemporanea con la traduzione italiana. Ma è parola e tema che Derrida virtuosisticamente evita.
Allora. Di spirito non si parla in “Essere e tempo”, 1927, se non, appunto, tra virgolette. “E tuttavia, con la parola, seppure tra virgolette, qualcosa dello spirito, e senza dubbio ciò che fa segno verso il Gemüt, si lascia sottrarre alla metafisica cartesiamo-hegeliana della soggettività”. Che “Essere e tempo”  rifiuta. Sembra chiaro, ma Derrida sorvola. Anche sul Gemüt, che più che intraducibile è la saracinesca nazionale e esclusiva che si pone a ogni altro (destino, popolo, etc.), di una soggettività maggiore. Sono le virgolette che eccitano Derrida. Le virgolette non sono sempre le stesse: “È la legge delle virgolette. A due a due montano la guardia: alla frontiera o davanti ala porta, preposte al soglio in ogni caso, e questi luoghi sono sempre drammatici”. Nientedimeno - però la filosofia delle virgolette mancava.
Se non che un fatto c’è. Il “Discorso del Rettorato” toglie le virgolette e celebra lo spirito addirittura in fiamme. Anzi il Geist, una cosa che “non c’è nella Grecia dei filosofi più che in quella dei Vangeli, per non dire della sordità romana: il Geist è fiamma. E questo non si direbbe e dunque non si penserebbe che in tedesco”. Sembrerebbe che Derida abbia capito e detto tutto, e invece no. Se non è una sottilissima ironia, la sua è cecità, per quanto arzigogoli. Nell’“Introduzione alla metafisica”, due anni dopo il “Rettorato”, c’è in Heidegger “una specie di diagnosi geo-politica, di cui tutte le risorse e tutti i riferimenti tornano allo spirito, alla istorialità spirituale, con i concetti già analizzati: spirituali sono la caduta o la decadenza (Verfall), spirituale è anche la forza”.
Capito? No. Il senso è chiaro, dell’improvvisa discesa dello spirito, ma Derrida a questo punto devia sull’animalità. Su cui impegna una lunga esposizione critica. E sempre sulla imagerie verbale - das Welten von Welt, il farsi mondo del mondo, die Welt ist, in dem sie weltet, il mondo è in quanto si mondanizza (si mondializza?): un’ubriacatura (la Umdeutung  e la Missdeutung lo fanno impazzire).
La “questione” viene in nota, a metà conferenza-saggio, ma per opporre a Heidegger, al quale si contesta “d’aver partecipato alla persecuzione di Husserl”, suo estimatore e patrono accademico, lo stesso Husserl. Che in “La crisi dell’umanità europea e la filosofia” (“testo pronunciato nel 1935, a Vienna!”) esclude dallo “spirito europeo”, nelle sue stesse parole, “gli Eschimesi, o gli Indiani dei mercatini, e gli Zingari che vagabondano in permanenza in tutta Europa”, lui “che pure  si sapeva «non ariano» lui stesso”, mentre vi includeva i dominion  britannici e gli Usa. Insomma uno scandalo, di uno che non meritava di essere trattato bene - neanche in precedenza?
La “questione” storico-politica Heidegger l’aveva peraltro chiaramente detta nei due testi dello Spirito, maiuscolo e senza virgolette, del 1933 e del 1935, il “Rettorato” e l’“Introduzione” – benché alla sua maniera; allusiva, iniziatica (ci si ricorderà un giorno dell’impressione netta che “Essere e tempo” produsse già nel 1927, fuori quindi da ogni polemica razzista, su Hans Jonas: “Non è una filosofia, ma un affare segreto, pressoché una nuova credenza”: la crisi dello “spirito europeo” si è prodotta nella prima metà del secolo XIX, per “il collasso dell’idealismo tedesco”). Comincia qui per Heidegger, nella sintesi di Derrida, “la vacanza dello spirito, la dissoluzione della forza spirituale, il rifiuto di ogni domanda originaria sui fondamenti”. E per lo stesso Derrida, che abbandona per una volta  il gusto per la parola e il tedesco, e assimila la “crisi dello spirito” di Heidegger non soltanto a quella  dell’ebreo Husserl ma anche a quella del latino Valéry, benché del tutto fuori contesto, cioè alla fine della guerra nel 1919 – nella stessa esposizione che Derrida ne fa in una lunghissima nota, Valéry non c’entra nulla, è solo il vezzo citazionista di Derrida, ma rafforza certo il piedistallo a Heidegger.
La “questione” è Derrida, e il suo rapporto – suo come di tanti altri, è vero, ma molti sotto suo influsso – con la filosofia tedesca post-idealistica, della crisi, della fenomenologia e dell’ontologia. Essendo personalmente soprattutto appassionato delle parole, e di Heidegger in quanto mago della parola – a doppio taglio: come poeta in proprio inventivo, e come furbo svevo-alemanno che dice e non  dice, reticente. Il tedesco di Heidegger è per Derrida una selva incantata. Se ne potrebbe arguire della filosofia come possessione – il daimon qui non c’è, ma c’è molto deinon, nel senso di pauroso, terribile.
C’è anche un che di ludicrous in questa chiaroveggenza distratta di Derrida, assurdo e comico insieme, e forse purtroppo ridicolo. Se si assume il discorso inaugurale di Hegel a Heidelberg il 28 ottobre 1816, noto a entrambi, Heidegger e Derrida, dalle “Lezioni sulla storia della filosofia”, che dice la filosofia in Germania erede dell’ebraismo - la Germania rappresenta come la depositaria finale del ”fuoco sacro” dello spirito, dice proprio così Hegel, del Geist, compito che una volta era spettato “alla nazione ebraica”. Le genealogie sono rischiose, ma se fossero vere? Dei tedeschi non c’è da fidarsi, a lungo hanno voluto invece essere greci, però…
L’ultima pagina si legge come una parodia, purtroppo involontaria, dello Heidegger che profetizza rinascite (recessi temporanei e albe future, marce, destini incomprimibili, tra Occidente e Oriente - Derrida dimentica che l’Oriente di Heidegger era ben preciso, solido e minaccioso: la Russia sovietica): “Voi dite ciò che si può dire di più radicale quando si è cristiani oggi” ed ebrei, Derrida interpella Heidegger: “A questo punto, soprattutto quando parlate di Dio, di recesso, di fiamma e di scrittura di fuoco nella promessa del ritorno verso il paese della pre-archi-originalità, non è sicuro che non riceviate una risposta analoga e un’eco simile dal mio amico e correligionario, l’ebreo messianico. Non sono sicuro che il mussulmano e qualcun altro non si unirebbero al concerto e all’inno”.
Fa senso rileggere una riflessione su Heidegger appassionata, acuta, pignola, in certo senso devota, per giunta di un filosofo ebreo, anche se senza kipah, dopo che l’antisemitismo di Heidegger è diventato manifesto. E - benché si tenti di coprirlo di “storia dell’essere” - volgare: la cospirazione giudaica mondiale. Non che il nazismo di Heidegger (nazismo e non nazionalismo - si confondono ad arte, mentre sono distinti e anche antitetici: Jünger per esempio sta in un altro mondo che Heidegger, anche se lui ha fatto la guerra per Hitler e Heidegger si è imboscato) non fosse noto prima, con corteggio di antisemitismo spicciolo (posti accademici, denunce, radiazioni)…  Bisognerà ripensare il nazismo? Gli anni 1938-1942 la guerra la Germania l’aveva già vinta, senza perdite.
Jacques Derrida, Dello spirito: Heidegger e la questione, SE, pp. 142 € 19


lunedì 20 luglio 2015

Rcsexit

Implacable con i greci, il “Corriere della sera” rischia in proprio un sorta di “Corrierexit” – o meglio di Rcexit, poiché coinvolge anche l’altra corazzata del gruppo editoriale Rcs, la “Gazzetta dello sport”: il fallimento. Sembra impossibile, i due quotidiani sono una miniera, ma a venti giorni dalla scadenza del 10 agosto per la rimodulazione del debito, le condizioni delle banche creditrici non si ammorbidiscono.
In teoria tutto è già definito. Rcs ha un debito di circa 600 milioni, che aveva denunciato ai creditori non rimborsabile. In crescita da un paio d’anni da 470 a 530 milioni, e negli ultimi dodici emsi a circa 600. Un mese fa un preaccordo aveva stabilito le linee di un consolidamento, cifrandole anche, ma non se ne è fatto nulla. Si tratta di un secondo, o ennesimo, preaccordo: quello precedente, del giugno 2014, ha visto l’editrice insolvente. A opera degli stessi amministratori in carica oggi.
Le banche creditrici sono a vario titolo (azioniste, ex, prossime) vicine a Rcs, ma non, evidentemente, alla sua migliore gestione: Mediobanca, Intesa, Unicredit, BnpParibas, Popolare di Milano. Il preaccordo peraltro è  severo: c’è una limatura dello spread sull’euribor, mediamente di 40 punti base per le varie categorie di indebitamento, che sembra molto ma non lo, lo spread si aggira sempre sui 400 pb.
Sui tassi Rcs non ha alcun potere contrattuale. Mentre è insolvente sul lato dismissioni. Aveva concordato dismissioni di asset non core business per 250 milioni entro il 2014. Non ha venduto quasi nulla, e ha avuto a giugno i termini aggiornati al 30 settembre. Ma per quella data potrà realizzare, al più, 120-130 milioni, se avrà portato a termine la cessione di Rcs Libri a Mondadori.

Ombre - 276

A quattro giorno dalla firma dell’accordo con l’Iran, una delegazione di industriali tedeschi era già ospite a Teheran. Non la guidava Angela Merkel, come di consueto in queste missioni, ma il suo vice, il socialista Gabriel. La Germania faceva parte del quintetto che ha avallato la bomba iraniana.

Il calciatore Salah rifiuta la Fiorentina, che gli ha dato lustro, per andare all’Inter. Sbarramento dela Fiorentina, con minacce, cause penali, civili, sportive e quant’altro, clausole, firme, tweet avvelenati, contro l’Inter. “Salah non può andare in una squadra italiana”. Salah allora va alla Roma. Non dopo un mese, uno o due giorni dopo. La Fiorentina tace. Sarà chela Roma non è una squadra italiana?

Salah è diventato famoso con la Fiorentina per aver fatto due gol alla Juventus – poi niente più. La Roma lo vuole per questo? E gli raddoppia l’ingaggio. Poi dice che il calcio non è tecnica e passione.

“L’Europa dei tecnici ha fallito”, scrive il Nobel per l’Economia Krugman domenica sul “Sole 24 Ore”. Dopo l’Italia dei tecnici, dunque, un altro fallimento tecnico? Non è proprio così: Draghi alla Bce e gli uffici europei del Fmi mostrano di sapere cosa avviene. Mentre molti politici, Schaüble e tanti capi di governo europei, si sono lasciati abbacinare dalla scelta “tecnica” di porre la Grecia fuori euro. Non è il tecnicismo in questione, la conoscenza dei dossier, ma i “tecnici”, specie se politici.

Questo sito si è sbagliato, un giudice si è trovato a Firenze che ha reintegrato Mallegni a sindaco di Pietrasanta, malgrado i fulmini dei fratelli Manzione fedelissimi di Renzi, l’una sua capoufficio legislativo, l’altro sottosegretario all’Interno. Firenze, cioè Verdini. L’accoppiata Renzi-Verdini riunisce la Toscana che conta.

Si sa, non da oggi, lo sapeva anche questo sito, che se si votasse Grillo vincerebbe su Renzi – e forse anche Salvini. Ma per saperlo dobbiamo aspettare che il “Financial Times” faccia parlare Grillo, il quale dice: “Se si va alle elezioni noi vinciamo”.
Renzi fa tanta paura ai giornalisti italiani? O la servitù è volontaria – l’educazione sovietica (il capo ha sempre ragione) è indelebile.

Non c’è giorno che Tito Boeri, presidente renziano dell’Inps, non abbia un’idea.  Tutte stravaganti. Peggio: fa più lui per dare l’idea di una finanza pubblica incontrollabile che tutti i magnaccioni del mercato messi assieme.
Quando Boeri animava lavoce.info era tutto pepe liberista. Sarà uno dei tanti cavalli di Troia dell’affarismo? La previdenza privata, altro che b uusiness!

Si moriva di amianto nelle fabbriche in Lombardia negli anni 1970-1980. Ma con diversi effetti giuridici. Nel caso dell’Enel e della Franco Tosi senza colpevoli, i Tribunali non ne hanno trovati. Nel caso della Pirelli invece una pletora di colpevoli: tutti i dirigenti. Tutti condannati ora, dopo trent’anni,  a sei e sette anni, anche se ottantenni o novantenni.

Tra gli undici con dannati per le 24 morti provocate dall’amianto alla Pirelli di Milano anche l’amministratore delegato Sierra. Che presiedeva l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro.

Santino di una pagina del “Corriere della sera” per Wolfgang Schaüble, l’eroe della distruzione della Grecia. Un politico di secondo piano, all’ombra di Helmut Kohl, l’unico che Angela Merkel si è tenuto, perché innocuo, un teorico dell’Europa “a più velocità”, cioè gerarchizzata, eletto a sfidante della stesa Merkel, e a paladino dell’Europa. Un giorno diranno che non erano in stanza?

Esso stesso in situazione di default,il “Corriere della sera” si segnala per la cattiveria contro la Grecia. Anche contro le esigenze di una cronaca leggibile, di cui la direzione Fontana si fa bandiera. A opera di un corrispondente da Berlino, ex di Lotta Continua, schiacciato su Schaüble, e di un inviato a Atene, il neo vice-direttore Fubini, che si segnala per un libro su un parente economista nel 1929 a New York, in grado di leggere subito gli aspetti tragici del crac di Borsa. Le buone intenzioni sono micidiali.

Il terzino Romagnoli, in forza alla Roma, che però lo ha prestato alla Sampdoria per appena mezzo milione, ora è fortissimamente voluto dal Milan come pilastro per lo scudetto e naturalmente la Champions. La Roma chiede, per un terzino che non fa giocare, 30 milioni.

Molti giornalisti informatissimi, specializzatissimi, attorno allo Hacking Team, la società di sicurezza informatica bruciata come niente dagli hacker. Nessuno che faccia capire cosa è successo, perché, con qual conseguenze. Non si capisce nemmeno che cosa faceva questo Hacking Team: Internet è il nuovo esoterismo, altro che democrazia.

Il giorno dopo la jugulazione della Grecia, il “Corriere della sera” fa diciotto pagine compiaciute,  con l’eccezione di Paolo franchi e Ivo Caizzi, contro la Grecia stessa. Uno schieramento impressionante di inviati, commentatori e perfino del filologo Canfora, sempre più la maschera di se stesso. Ma le correda con due pagine di foto, che valgono” tutto l’opposto: chi comprerebbe una macchina da Djisselbloem, che la notte della tregenda badava a farsi rieleggere, o Juncker? L vero giornalismo è inconscio?

Marina di Carrara fa appena in tempo a celebrare la bandiera blu di Legambiente che l’Arpa Toscana, l’agenzia per la protezione ambientale, vi proclama il divieto di balneazione: batteri di Enterichia Coli tre volte in eccesso sul limite tollerabile. Bandiere blu, cioè da evitare?

Due anni fa Cassano e Balotelli erano i pilastri della Nazionale. Un anno fa non li voleva nessuno. E tuttora nessuno li vuole, anche se costano poco.


Fine '800 dal buco della serratura

Curiosa ripubblicazione, di un racconto ormai svaporato nell’erotismo (una ex prostituta guarda dal buco della serratura), che è il suo soggetto, e nel realismo che è il suo stile, tra Flaubert e Zola. Un testo classico di Fine Secolo, fine Ottocento – in cui la donna è “orizzontale”, e anche la storia, più o meno. Ma in questo senso sì, qualcosa da dire ce l’ha: non c’è un Fine Secolo Novecento, il Novecento è svanito vergognoso.
Octave Mirbeau, Diario di una cameriera, Elliot, pp. 288 € 17.50

domenica 19 luglio 2015

Secondi pensieri - 224

zeulig

Corpo – Nella “Lettera sull’umanismo” l’animalità resta ancora tabù per Heidegger, che pure tanto l’ha indagata nell’ “Introduzione alla metafisica”, a commento della “Metamorfosi del Maligno” di Trakl, e nello “Schelling”: “Il corpo dell’uomo è essenzialmente altro che un organismo animale. L’errore del biologismo non è sormontato dal fatto che si aggiunga l’anima alla realtà corporale dell’uomo, a quest’anima lo spirito0, e allo spirito il carattere esistenziale, e che si proclami più forte che mai l’alto valore dello spirito”. È il corpo dell’anima?

Filosofia tedesca – È la sola filosofia, diceva Hegel, aprendo le “Lezioni sulla storia della filosofia” col discorso inaugurale dell’anno accademico 1821, e come la Bibbia per la Germania, materia d’elezione. Dopo avere evocato lo “spirito del mondo”, ed aver ridotto a “pallido fantasma” ciò che si oppone alla serietà e al bisogno superiore dell’intelligenza prussiana: “Vedremo che negli altri paesi d’Europa, in cui le scienze e la formazione dell’intelligenza sono state coltivate con zelo e determinazione, la filosofia, malgrado il nome, è scomparsa ed è morta fin nel suo ricordo e nell’idea stessa, mentre si è conservata come specialità nella nazione tedesca. Noi abbiamo ricevuto dalla natura la missione superiore d’essere i guardiani del fuoco sacro”.
Cominciava l’era dei “primati nazionali” - quanti non se ne attribuirà l’Italia? – e dele “missioni”. Ma quello di una facoltà  esclusiva (“specialità”, Eigentümlichkeit) del pensiero è solo di questa filosofia. È vero che Hegel si rifaceva agli Eumolpidi di Atene, che avevano la guardia dei misteri di Eleusi. E al tempo in cui lo “Spirito dell’Universo si era riservato alla nazione ebraica”.

Infanzia – “Le ore dell’infanzia sono più lente”, diceva Maria Zambrano (nel ricordo di Alvar Gonzales-Palacios). Forse per questo la memoria ne è più dilatata?

Intercettazione – Se ne continua, e quasi se ne impone, l’uso come forcipe della verità, e come  principe della verità stessa, processuale, d’opinione e storica. Una forma di accertamento di cui però sono noti i limiti: la fedeltà, la labilità, l’impossibile ermeneutica – l’impossibilità di rendere i torni, i tempi, interni ed esterni, l’incertezza (i contesti, territoriali e temporali, i precedenti, gli usi….). Molto più labile della testimonianza personale, visiva, orale, e tuttavia se ne pretende l’assoluta affidabilità. Ma per un bisogno di indiscrezione più che di verità. Che l’intercettazione effettivamente profonde con larghezza: come guardare dal buco della serratura ma comodamente assisi, e dalla parte del bene: buon diritto, buona educazione. Più che altro, è l’intronazione della verità come maleducazione.

È peggio della testimonianza se si parte dal presupposto – vanificato ma non ancora negato - che
nessuno è chiamato a testimoniare contro se stesso. Più spesso è usata a fini di parte, politici o affaristici, anche se in sede giudiziaria. Ma grande è la tentazione di assumerla a forcipe della verità. Mentre ne è la circonvenzione.  A opera di un qualsiasi trascrittore, un milite, un semplice amanuense, non necessariamente letterato, o di una partito o fazione, come usa nelle Procure della repubblica, faziosissime.  

Internet – È il mondo degli eguali. Ma non persuasivo: l’eguaglianza non è persuasiva?

Opinione pubblica – È largamente rapidamente traslata dai media, cioè dall’intermediazione giornalistica, alla “rete”, al pubblico indistinto di internet – di cui i media sono finiti succubi: mediano la “rete”, la rilanciano, la imitano. Perdendo altrettanto rapidamente ogni ambizione a essere giudizio critico e storico. Ma in favore di un maggiore “contemporaneismo”, valutazione-determinazione (giudizio) del presente. Senza presupposti o fondamenti  conoscitivi o strumentazioni critiche, anzi apodittico perlopiù, e semplificato. Ma per ciò stesso influente, attivo nel tempo presente. La comunicazione è fortemente emotiva. Umorale anche, e quindi variabile. Ma sulla base di certe costanti, che sono quelle che fanno la  fortuna delle varie forme di comunicazione sintetica in rete, facebook, twitter, what’s app: pubblicità (l’era riservata si vuole sempre più ristretta), condivisione, eguaglianza (indifferenza).

Riforma – È il principio della ragionevolezza: l’adattamento (miglioramento) al “reale”.  La Riforma storica è l’opposto, e all’origine della volontà di potenza: centocinquant’anni di guerre devastatrici, come la Grande Guerra di cui fu l’antesignana, nel nome di un principio, incorruttibile, assoluto. Che avrebbe potuto essere affermato in altro modo, razionale anch’esso, ma era violento. La Riforma storica avrebbe potuto prendere il passo d Erasmo, ragionevole e decente – della decency di Orwell. Prese invece quello di Lutero, altrettanto appassionato ma violento, dell’intransigenza della follia, per ciò stesso (per essere intransigente) “seria” – delivering, realizzativa, “realista”.
L’epoca contemporanea, che si vuole riformista, non si muove nell’alveo della riforma ma della violenza. Della riforma impositiva, nel nome di principi quasi ovunque bacati: di parte, di privilegi, di (a costo di) distruzioni.

zeulig@antiit.eu 

La Resistenza di tutti

“Storie di ragazzi che scelsero di resistere” è il sottotitolo. Ma rivissute ai novant’anni: Rovelli è andato a cercare i superstiti, per un’ultima testimonianza, a uso dei ragazzi di oggi, e degli archivi orali.
Lo “scrittore e musicista” massese, animatore del festival annuale del 25 aprile a Fosdinovo in Lunigiana, “Fino al cuore della rivolta”,  prosegue l’opera dei quasi omonimi piemontesi Nuto e Marco Revelli, facendo raccontare agli ultimi partigiani in prima persona la loro storia personale. Cercandoli nei loro ambienti, in val d’Ossola (in memoria dei 40 giorni della Repubblica dell’Ossola, con la prima donna ministro della storia d’Italia, Gisella Floreanini), a Milano, a Reggio Emilia e nella Padania, in Liguria, in Lunigiana. Gente comune, operai, contrabbandieri (Franco Sgrena, padre di Giuliana, e altri), contadini, una neuropsichiatra, insegnanti, donne faticatrici e intrepide. Alcuni avevano letto Jack London, “Il tallone d ferro”. Qualcuno Steinbeck, “Furore”. Ma i più hanno fatto la Resistenza come veniva, per amicizia, per sfida, anche per caso.
Il primo racconto forse “unitario” della Resistenza stessa: ci fu il 25 luglio e tutti cominciarono a parlare liberamente, e poi ci fu l’occupazione tedesca. Memorie “involontarie”, non costruite, non politiche, di ragazzi allora “tra i 14 e i 23 anni”. A fini soprattutto pedagogici: “Ho insegnato per qualche anno a Milano, e in molte classi chiedevo che cos’era il 25 aprile. Ebbene, più d’una volta è accaduto che nessuno, in un’intersa classe, sapesse rispondere. Perfino a Sesto San Giovanni è accaduto, città medaglia d’oro dela Resistenza: nessno”. 
L’esito è una narrazione distesa, sempre in contesto, personale, familiare, locale (la fame, la famiglia numerosa, le angherie quotidiane, di sbirri e fascisti, l’indolenza anche, il gusto del segreto…). “Unitaria” e non faziosa - anche se gli intervistati sono tutti curiosamente “democratici” di oggi, del Pci con qualche cattolico (socialisti, repubblicani, liberali, militari sono morti prima?) Effetto forse della polemica revisionista che s’indovina retropensiero e molla di Rovelli. Sicuramente effetto del tempo. Che alla celebrazione faziosa ha fatto succedere l’indifferenzza e l’ignoranza. 
Marco Rovelli, Eravamo come voi, Laterza, pp. 257 € 20

Il mercato del debito

Lungamente sottaciuto, il nuovo ciclo del debito avviato con la crisi bancaria del 2007 è ora, almeno in parte, “materia di mercato”. McKinsey ne ha fatto la statistica e la pubblicizza.
In primo piano viene l’indebitamento pubblico.McKinsey lo calcola in crescita ogni anno dal 2007 di un inusitato 9,3 per cento – quasi il doppio dell’incremento dell’indebitamento privato e per investimenti. Quasi tutto devoluto al salvataggio delle banche, poco alle politiche espansive dei governi. Per un ammontare totale ora valutato in 58 mila miliardi, lo stesso del pil mondiale – il mondo sarebbe fuori dell’euro, il suo debito pubblico eccedendo d un 40 per cento il massimo tollerabile sancito a Maastricht, il 60 per cento del pil..
Sommandovi il debito privato - per investimenti e delle famiglie (per consumi) - il “debito del mondo” è calcolato in 199 mila miliardi, con tassi d’incremento medi di poco superiori al 5 per cento annuo.