sabato 1 agosto 2015

La Rai raggiante alla rovina

Sembra impossibile ma con la riforma di Renzi lo squallore Rai raggiunge vette record, un masochiamo da suicidio.
La culla del sottogoverno ritorna feudo del governo. Non più il Parlamento, come voleva la legge Gasparri, pure tanto criticata, ma il governo, direttamente e attraverso al sua maggioranza in Parlamento, nominerà il consiglio e il direttore generale-amministratore delegato. Lo nominerà fra tre anni, ma prima delle elezioni, che Renzi assolutamente vuole vincere. Ma cautelandosi anche per la sconfitta: legherà comunque a sé il consiglio Rai per cinque anni attraverso il contratto di programma, di durata non più triennale ma quinquennale, attraverso il quale il governo, e non più il Parlamento, stabilirà gli indirizzi – la “linea”.
Una controriforma fantastica, tanto è radicale – neanche Putin ha osato tanto. Gabellata dai media come riforma. Che il Parlamento vota obbediente. Nel silenzio quasi generale. Soprattutto dei sindacati Rai, per questioni molto meno importanti solitamente ciarlieri e critici. Se ne parla sui media giusto per dare conto dello scontento delle minoranze nei partiti, esigue. Sul merito silenzio totale, di cronisti e commentatori. Di questi, degli intellettuali, si può pensare che sia per prudenza, la Rai è pur sempre una comoda, per quanto piccola e parsimoniosa, mammella. Ma gli altri, soprattutto i giornalisti Rai, i dipendenti?
Un silenzio che è peggio della controriforma: un conformismo che travalica così rassegnato nel masochismo. . Per molto meno, con altri schieramenti, abbiamo assistito a rivolte generali dei media, qui tutti zitti. Anche i professori e augusti giornalisti parlamentarizzati dal Pd.
Ma più che complici, i media sembrano corvi in attesa di impadronirsi delle risorse pubblicitarie che la Rai, malgrado tutto, ancora drena: Il sottinteso è: che la Rai sia ridotta a portavoce del governo, a noi gli ascolti e la pubblicità.

Lettura tortura

La baronessa Rendell, da poco deceduta, si è concessa da ultimo una lenta cottura dei suoi fan, in un’estate londinese anch’essa soffocante. Un’ossessione però fredda. In una ragnatela di materiali poveri: la casa d’affitto semiabbandonata, la padrona di casa vecchia zitella inglese, innamorata da sempre di un uomo che non lo sapeva, le sue amiche, altrettanto vecchie, una nipote fotomodella glamour che tutti innamora, molte fattucchiere (Rendell ne è specialista), e l’inquilino aspirante serial killer a sua insaputa. Una tortura lenta, lunga, a cui il lettore non si può sottrarre.
Ruth Rendell, I tredici scalini, Fanucci, pp. 348 € 8,90

Il mondo com'è (225)

astolfo

Città politica - Altrove, a Parigi, a Londra, a Washington naturalmente, a Mosca, a Pechino, la città politica è separata e segregata da quella comune, a Roma no. C'e un quadrilatero, da Largo Chigi e San Lorenzo in Lucina a piazza S.Firenze e Corso Rinascimento dove si entra e si esce dai palazzi del governo senza barriere né aree di servitù, e il personale politico, ministri, parlamentari, collaboratori, ospiti si mescola liberamente con i passanti, sui marciapiedi, nelle piazze, nelle piazzuole riservate alle loro auto, nei caffè, le librerie, i negozi, i ristoranti.  Una promiscuità che sembrerebbe sancire una sorta di comunanza fra cittadini ordinari e la politica, la quale non si presenta chiusa negli arcani – i corridoi, i palazzi pasolin-guicciardiniani, le logge segrete. E invece ne è probabilmente la prima fonte del discredito: il potere si vuole isolato.
È pure vero che tra i passanti, soprattutto le rigogliose passanti con alti tacchi incollate all’i-phone, gli accenti padani dominano. Forse i padani diventano irrispettosi – il “palazzo politico”  vuole dire Roma – proprio per questa familiarità, che pure si godono (i padani non vogliono dover dire grazie).

La città politica romana può cambiare a Roma, anzi è già molto cambiata, col sindaco Marino. Che ha del potere una concezione sacrale. Non sembrerebbe, poiché è sempre nella merda. Ma in poco più di due anni non ha fatto altro: ha voluto monumentali molti posti monumentali, piazze e palazzi. Cioè vuoti, non vissuti come usava: a Marino piacciono le isole pedonali, altrove in regresso. Vuoti perfino di turisti – non si ferma nessuno sul vuoto.

Pax americana – Senza l’Europa non va da nessuna parte. È come dice Kissinger nell’“Ordine mondiale”: senza l’Europa, gli Usa “diverrebbero geopoliticamente un’isola al largo delle coste dell’Eurasia, e l’Europa stessa potrebbe trasformarsi in un’appendice della sfera d’influenza dell’Asia e del Medio Oriente”. Con l’Is alle porta, ecco perché.

Retribuzioni e reddito – L’ex ministro del Lavoro e sociologo dell’occupazione Tiziano Treu constata che la nuova occupazione, conseguente alla globalizzazione e alla delocalizzazione, tende a privilegiare le capacità intellettuali. Eccetto che in Italia, nota però, dove c’è solo lavoro non qualificato.
Ancora un passo e ci si arriverà: la globalizzazione è stata affrontata dall’Italia, già dalla prima crisi nel 1992, col taglio delle retribuzioni, oltre che con i massicci licenziamenti (un saldo negativo di 1.700.000 posti di lavoro la Banca d’Italia conteggiò tra metà 1992 e metà 1994). Ma è questo il motivo primo della crisi italiana: invece di fare più investimenti in produttività, si taglia. Si tagliano i posti e le retribuzioni. E i tagli non possono essere una soluzione: un sistema di retribuzioni frenate, bloccate, comunque diminuite in termini reali, blocca il meccanismo di riproduzione e ampliamento del reddito.

Sofferenza – Si vuole abolita. O comunque non si vuole vederla. Le dimissioni di papa Ratzinger non trovano altra spiegazione - dopo due anni e mezzo - che nell’abolizione della sofferenza in pubblico, la ragione sarà proprio quella che il papa ha addotto: una persona che abbia problemi di salute, anche solo di stanchezza, non si deve mostrare in pubblico. Il papa polacco che invece la sofferenza la testimoniava, come se portasse la Croce, è stato ed è molto criticato per questo.
Il papa tedesco risponde a una mentalità forse etnica, del tempo quando i vecchi, come ha rilevato Vladimir Propp, si esponevano o si uccidevano: dopo i 75 anni non si fanno in Germania interventi chirurgici o cure di un certo costo - non c’è il calcolo spesa\aspettativa di vita, che regolava i lager, non ci sono i lager naturalmente, ma è uno dei cardini dell’eugenetica, la buona morte.
Altrove si può ancora vedere Franca Valeri sul palcoscenico novantacinquenne e sofferente. O Albertazzi novantaduenne, anche se faceto e sempre ottimo dicitore. Ma l’Unione Europea, che prima o poi sarà chiamata a decidere, Non li abolirà? Non sono nella norma.

Sovietismo – È crollato senza spargimento di sangue: è per questo che non c’è stata soluzione di continuità, e tutto continua come prima? In Russia e nei Balcani, ma anche in Italia. A differenza del fascismo, che si vuole giustamente anatemizzato, il sovietismo continua. Ma perché non è finito impiccato come il fascismo. Non aveva le stesse colpe, si argomnenta. Sì, ma ne aveva altre, gravi: diecine di milioni di morti, nelle campagne, nei gulag, e nei manicomi, molti compagni impiccati o fucilati, carri armati contro le idee, una serie interminabile di abiezioni. Ma, a parte Ceausescu, si è dissolto senza morti. E non si è fatto l’esame di coscienza, semplicemente si è arreso, tal quale. I direttori spirituali sono gli stessi in Italia oggi come prima della caduta del Muro. Tifano per il mercato ma sono gli stessi, tutti d’un pezzo, indefettibili.

Unione Europea – Nata nella guerra fredda, non si ritrova senza. Il progetto non si è aggiustato al crollo del comunismo, con la ricomposizione della Germania e l’allargamento a Est, mentre il mondo si globalizzava – la data di nascita della globalizzazione è Tienanmen, 1989: la consacrazione dell’asse cino-americano avvenne nello stesso anno della caduta del Muro, sei mesi prima.
L’Unione è nata in tutti i suoi aspetti, compreso l’euro, allora Sme, prima del 1989. Un progetto rivoluzionario, senza precedenti storici, un’innovazione totale. Seppure nell’ambito di un  sistema di difesa militare, la Nato. Che era però anche un progetto di libertà, una difesa della libertà. La Nato non si è adeguata al crollo del Muro, e l’Unione Europea neppure, seppure per motivi diversi. Che sono molteplici, ma fondamentalmente due: l’allontanamento degli Usa dall’Europa, non del tutto ma sensibile, nel quadro della globalizzazione, e il ritorno della Germania continentale, ripiegata su se stessa.
L’Unione si fa, cioè in questa fase non si fa, unicamente tra europei, senza più coazioni esterne – nell’ultima crisi, la Grecia, il presidente americano ha avuto problemi a farsi sentire, e comunque il suo intervento era risentito, anche da lui stesso, come un’ingerenza. Lo sviluppo probabile sta nei limiti che Kissinger, sempre ne “L’ordine mondiale”, pone – Kissinger che è di formazione (mentalità) tedesco-europea: “Di quanta unità ha bisogno l’Europa, e quanta diversità può tollerare?” O meglio, vista la sua lunga storia: “Quanta diversità l’Europa deve conservare , per ottenere un’unità significativa?”
Una Ue ripiegata su se stessa Kissinger considera “un vuoto geopolitico”. Vittima della illusione, a suo dire, che ha perduto la Germania, della “potenza di mezzo” – o della mezza potenza?

Vandali – “Niente dopo il trionfo dei Vandali nel Nord Africa romano è sembrato così improvviso, incomprensibile, e difficile da contrastare come l’irruzione dell’Isis”: si conclude con questo richiamo sconsolato l’estesa disamina che la “New York Review of Books” fa fare - a un anonimo “specialista del Medio Oriente, ex esponente di un paese Nato” - di una ventina di libri ultimamente dedicati all’Is. Tutti concordi nel metterne in rilievo le debolezze: ignoranza, faziosità, strategie militari inconcepibili, su tre e più fronti di attacco, e l’ostilità generale del mondo islamico (grandi confessioni, sette, istituzioni,regimi, potentati, Al Qaeda), malgrado occasionali convergenze. Nonché degli Usa, la Gran Bretagna, la Francia, che hanno colpito l’Is con attacchi aerei su vasta scala, a nessun effetto pratico, la Giordania, l’Egitto, la Tunisia. E tuttavia vincente, da un tempo ormai lungo, su tutti i fronti. Compresa la propaganda, con i 20 mila volontari, in gran parte dalla Tunisia, forse per il soldo, ma anche dalla Gran Bretagna, la Francia e il Marocco.
I Vandali però non avevano contro, per l’appunto, il mondo intero. E non agivano su un impero solido come quello americano, ma su uno solo nominalmente imperiale, di fatto, da tempo, sfilacciato, disgregato, abbandonato – procedettero in Libia come su una terra nullius, benché coltivata e ancora ferace e ricca, di ori, di marmi, costruita,  adorna di molte bellezze architettoniche.

astolfo@antiit.eu

venerdì 31 luglio 2015

Stupidario romano bis

“Piove, alberi caduti, mobilità in tilt”, si eccitano stamani le cronache romane. Invece non ha piovuto - purtroppo, ha fatto finta – e la mobilità è stata quella che è ogni giorno. Era una sindrome milanese, quella di lamentarsi sempre (fa caldo, fa freddo, eccetera), e dunque è vero che la vera capitale ormai è Milano?

Roma è sporca. Roma non ha mezzi pubblici. Fiumicino non funziona. Tutto falso, ma piace dirlo, anche a Roma.

Ha, e ha creato, problemi a Fiumicino una linea aerea, Vueling, che ha fatto dello scalo il suo hub, dopo Barcellona, ma è una di un centinaio di compagnie che gravitano sull’aeroporto. E perché non criticare la Catalogna?

Il sindaco di Roma Marino litiga con gli assessori appena nominati. Anche questo non è vero ma sarebbe possibile. Ma chi è Marino, perché il Pd lo ha voluto e poi non lo vuole?.

È anche vero che i giornali di Roma appartengono a immobiliaristi, che fanno gli affari soprattutto col Comune.
I dieci anni di Rutelli, i soli indenni da scandali e contumelie, benché abbia maneggiato i miliardi del Giubileo e abbia costruito come nessun altro dopo Mussolini, erano tenuti assieme ferreamente da Cesare Geronzi, Capitalia-Banca di Roma, col contributo di Goffredo Bettini. Dividendo equamente appalti, affitti e piani di fabbricazione tra i costruttori, equamente tra destra e sinistra.

Vuole Marino via anche il papa, ma lui con più ragione. Intanto perché ha promosso il giubileo, il grande evento romano della decade, e non vuole affidarlo a un nemico. Marino è il primo e forse unico sindaco di Roma che non ha alcun contatto col Vaticano, che anzi osteggia in ogni occasione.

Roma non deve fare le Olimpiadi? Questo è certo, è così che deve finire, l’Italia ne è specialista: è specialista di remare contro, per invidia, per interesse - molti Nobel non sono arrivati in Italia perché la comunità scientifica o letteraria di riferimento (economia, fisica, medicina, letteratura) ha dato parere negativo su questo o quel candidato proposto da Stoccolma o Oslo.  

Ma come si fa ora col papa, che ha chiamato il giubileo straordinario? Roma rischia tutti i benefici di un’Olimpiade, senza i costi.

Però, è vero: l’Atac, l’azienda dei trasporti romani, da tempo variamene nella bufera, e col suo assessore Improta dimissionato da Marino, ha chiuso la linea 8 del tram, che serve mezza città. Per un mese e mezzo fino al 20 agosto, per l’ammodernamento del materiale rotabile. Senza che nessuno ci lavori. Tiene fermi il centinaio di tram che servono la linea, e il centinaio di tramvieri specializzati. Sostituendoli con gli autobus, con altri autisti, e col carburante da pagare in più.
Uno spreco e un disservizio non da nulla. Protetto, purtroppo, dai sindacati.
Gli autobus hanno capacità ridotta, ognuno trasporta un quarto di un tram, e sono lentissimi. Non percorrono la linee tranviaria riservata ma viaggiano, si fa per dire, nel traffico

La sinistra-destra di Jack London

Com’era Jack London giovane socialista di successo, in sezione e fuori? Edmondo Peluso, che Sergio Luzzatto ha rispolverato sul “Sole 24 Ore” l’altra domenica, l’ha incontrato e frequentato nella sezione socialista di Oakland nel 1905 e poi nella modesta residenza di Berkeley dove lo scrittore riuniva la sera generosamente gli amici, quando aveva ventitré anni, napoletano esuberante giramondo (si definirà “cittadino del mondo”), socialista già ai suoi sedici anni, nel 1898, poi tra i primi iscritti al partito Comunista nel 1921, emigrato sotto Mussolini in Urss, dove morirà fucilato, riabilitato nel 1956. Jack London era bello e forte, nel 1905 già autore di enorme successo col “Richiamo della foresta”, a 29 anni, reduce dal conflitto russo-giapponese, per coprire il quale era stato inviata dall’editore Hearst a Tokyo. Ne era tornato avvelenato: contro lo Stato maggiore nipponico, che l’aveva tenuto – cortesemente – lontano da ogni notizia, e contro i giapponesi in genere, contro i quali si scagliò in sezione, sconcertando gli altri socialisti, per quanto giovani e riverenti: il razzismo era forte in California.
La “Riviera” americana, ricorda Peluso nel 1934, priva di industria, viveva prima della grande guerra di commerci. Con una “borghesia mercantile prospera”, che pagava ai manovali e artigiani salari più alti che altrove. Ciò attirava l’immigrazione dal Giappone, e di più dalla Cina, per cui “era radicatissimo in California un forte odio di razza e una lotta preconcetta e selvaggia contro i «gialli», contro i Giapponesi e, soprattutto, i Cinesi” – “una forte colonia, in effetti” questa, concede Peluso, “nella quale predominava la manodopera a buon mercato”.
Il Jack London di Peluso non è diverso da quello che si conosce, ma è più caratterizzato. È colto al momento del passaggio, sia nella vita che nell’opera, dalla natura selvaggia, con la quale era diventato illustre, al “Tallone di ferro”, la summa socialista che lo caratterizzerà successivamente. Aveva divorziato dalla prima moglie e viveva solo con la mamma, alla quale era legato anche dalla comune “vita di tempeste”. In un villino non grande, ma in un “paesaggio d’incanto”. Era “molto ospitale e senza cerimonie”. Aveva sempre amici a cena, con i quali discuteva. Scriveva all’aperto: “Siccome gli era fisicamente impossibile restare a lungo chiuso, lavorava all’aria. La mattina presto partiva a cavallo. Si portava dietro un macchina da scrivere portatile, una sedia pieghevole, un tappeto e il pasto. Quando aveva trovato un posto che gli piaceva, un prato assolato, o uno spuntone su un canyon dalle pietre multicolori, stendeva il tappeto all’ombra di un eucaliptus, di un cedro rosso o di qualche sequoia gigante…”. S’imponeva ogni giorno un compito preciso. Schizzava in fretta i punti che intendeva sviluppare e poi, alla macchina da scrivere, svolgeva il tema.
Era orgoglioso che lo chiamassero “il Gorki’j americano”. Seguì la rivoluzione russa fn dal 1905, grazie anche a un gruppo di emigrati, tra essi in particolare una giovane Anna Stronskj, e nel 1917 parteggiò subito per i bolscevichi. Da allora si dedicò al romanzo sciale, che culminerà nel “Tallone di ferro”. Ma intanto si era risposato, e la seconda moglie, Charmion, “rappresentante tipica della piccola borghesia americana”, lo isolerà e lo inaridirà. “Vittima degli ambienti capitalisti” lo vuole il vecchio socialista Peluso, di un  mercato che lo sfruttava - “Mi sono spesso chiesto a chi o a che bisognava imputare la rovina intellettuale e fisica di questo giovane scrittore dal cervello così lucido, dalla muscolatura così potente… La sterilità che portò al crollo intellettuale di quest’uomo fino ad allora così fecondo fu anche la causa principale della sia scomparsa prematura”.
Per il momento, Jack London Peluso lo ricorda come i suoi personaggi: forte, rivoltato. Si è sforzato di leggere Marx, si sente a suo agio con Spencer - cioè col darwnismo sociale - e soprattutto è in sintonia con Nietzsche, del quale discorre spesso con Peluso. “Inclinava soprattutto verso Nietzsche, per la sua costituzione psico-fisica, per l’amore che esibiva della forza, per la «bestia bionda», per il «superuomo» tanto vantato dal filosofo tedesco”. Un’anticipazione del sinistra-destra che avrebbe fatto tanta letteratura e tanta storia nel Novecento.
Edmondo Peluso, Souvenirs sur Jack London,  “Commune” 1934, free online
https://fr.wikisource.org/wiki/Souvenirs_sur_Jack_London

giovedì 30 luglio 2015

Letture - 222

letterautore

Brecht – A rileggerlo, con le rime semplici, baciate o alternate, di cui non si fa conto, rinvia a Heine: identica la cantabilità, la semplicità, il cosmopolitismo, la critica, anche acerba, della società tedesca. Per questo entrambi sospetti  antinazionali – Heine colpevole anche di essere ebreo, benché rinnegato, Brecht perché comunista.

Duse – Non si celebra, troppo pirandelliana, troppo dannunziana, con sospetto di fascismo, malgrado tutto. Non solo non si celebra, ma non se ne parla, da tre quarti di secolo, della Repubblica ancora “sovietizzata”. Ora ritorna dall’America, riproposta dagli eredi di Lee Strasberg, che ne aveva il culto, come molto attori di Hollywood, compresa Marylin Monroe. Come innovatrice della recitazione in teatro, e della dizione.

Dialetto – Alvaro lo dice “la parola familiare”. In “L’uomo nel labirinto” fa osservare al suo protagonista Babel dell’amante My: “ La bocca di lei gli pareva di quelle bocche straniere che hanno la piega d’una lingua ignota”, sebbene May parli correntemente l’italiano, “su cui non è rimasta impressa mai quella parola familiare che è in fondo al pensiero, per quanto sia diversa la lingua che si parla”. In cui si oppone la vita radicata a quella metropolitana sradicata, e si opina che le lingue senza radici siano incapaci di pensiero.

Intellettuale - È stato molto pregiato dalla Repubblica, almeno fino al 1989, o al 1992: il Muro e la Procura di Milano hanno spazzato via, con la politica, anche gli intellettuali. Per la fine dell’intellettuale notabile, con la mani pulite, e la mancata o impossibile saldatura intellettuali-masse – che in mancanza di un regime politico comunista non ha senso.

Italiano – È un aneddoto, “L’esame per la cittadinanza”, del 1942, quando Brecht stava ancora in America. L’oste che fa l’esame per la cittadinanza ha una sola riposta: “1492”. Gli chiedono l’Ottavo Emendamento: “1492”. Respinto, L’anno dopo gli chiedono chi vinse la guerra civile: “1492”. Respinto. Finché, “al quarto tentativo il giudice gli pose la domanda” giusta:\ Quando\ fu scoperta l’America? E in base alla risposta esatta, \1492, l’uomo ottenne la cittadinanza”. L’italiano ha le risposte, non risponde alle sollecitazioni? Si spiegherebbe il “difficile cammino delle riforme”.

Memoria – “La fragilità della memoria\ dà forza agli uomini”, B.Brecht, “Elogio della dimenticanza”

Neorealismo – La critica più severa (autorevole, acuta) fu di Vittorini, si può dire subito, nel mezzo della cosa, 1954, presentando il secondo Fenoglio, “La malora”. Il primo, “I ventitré giorni della città di Alba”, l’aveva presentato appena due anni prima con parole molto convinte: come “racconti pieni di fatti e “di penetrazione psicologica tutta oggettiva”, di un esordiente che diceva “asciutto, esatto”, con “un gusto barbarico che persiste come gusto di vita”, ma con “un temperamento di narratore crudo ma senza ostentazione, senza compiacenze di stile”. “La malora”, romanzo borghese, Vitorini disse da editore un libro “forse più bello” del primo. Ma lo acculò, il libro e Fenoglio, alla poesia delle piccole cose: ai “provinciali del naturalismo, i Faldella, i Remiglio Zena: con gli «spaccati», e le «fette»” di vita, con lo stesso “modo artificiosamente spigliato in cui si esprimevano a furia di afrodisiaci dialettali”.
Fra il primo e il secondo libro era successo che “L’Unità” aveva stroncato “I ventitré giorni di Alba”. “L’Unità” di Milano, che Davide Lajolo dirigeva,  di un Pci puro e duro, nonché langarolo lui stesso, che si voleva anche lui narratore, in concorrenza coi conterranei Pavese e Fenoglio. Lajolo aveva stroncato la scrittura e anche l’onestà di Fenoglio. Con un monito agli editori, come il Pci usava: “Pubblicare e diffondere questo tipo di letteratura significa non soltanto falsare la realtà, significa sovvertire i valori umani, distruggere quel senso di dirittura e onestà morale di cui la tradizione letteraria può farsi vanto”.
Vittorini, criticando poco dopo il “romanzo borghese”, criticava Fenoglio o si prendeva una piccola rivincita su Lajolo – non si poteva allora attaccare il Partito? La questione è insolubile, ma è roba paludosa.

Pasolini – Si preannuncia per il quarantennale della morte un Pasolini musicale. Con la riscoperta ne, nelle opere curate da Walter Siti, dell’appunto “Studi sullo stile di Bach”, 1944-45, che legano gli esercizi per violino di Pina Kalc e le passioni giovanili “tra la carne e il cielo”. Di quelle nore che, “per un’ingenua sovrapposizione di immagini, immaginavo cantate da un giovanetto”. “Tra la carne e il Cielo” sarà anche un’opera celebrativa del compositore Azio Corghi. Ma contro sopravviene l’amusicalità delle sue narrazioni. Anche di quelle filmiche, che pure sono sottolineate – poco - da Bach. 
Ci sono evidentemente due Pasolini. Uno è quello delle stitiche conferenze sulla lingua e i dialetti, in falsetto con Moravia nei primi anni 1960 nelle Case della cultura e ai Lunedì delle signore. Molto svogliato, è vero. Che si limitava alle nasalità – ma erano le stesse di cui è farcito “Ragazzi di vita” - evocando Bach come musica da film.
- Utilizzerà la musica nei suoi film? – era una delle domande del popolo delle associazioni di cultura in giro per l’Italia. Non si aggiungeva “maestro”, ma era sottinteso.
- Solo Bach. Solo quella è musica.
Quale Bach?

Politicamente scorretto – Impera in tv, nella satira e anche nei programmi ante e pomeridiani per  casalinghe. E in politica col turpiloquio. Come una “naturale” reazione all’ipocrisia degli animi deboli, che le aprole vogliono devitalizzate? Mai il linguaggio corrente è stato tanto sboccato. Soprattutto quello femminile.

Proust – O dell’ambiguità, verrebbe da dire. Dell’indeterminatezza. Dello psicologismo che non ha fondo. Mentre è il letterato più esposto. E anche il più semplice. Schietto, mediocremente onesto – uno che non si camuffa. Perfino troppo, in un mondo e in un’epoca in cui tutti recitavano. Si potrebbe dirlo “il buon’uomo” Proust, ,snob ma non pretenzioso, piuttosto il tipo gregario.  
Uno che narra molto perché ha vissuto poco, per questo ricorda una luce o un odore, che al viaggiatore e all’attivista instancabile sfuggono. Così come i tempi. Un entomologo della mediocrità.

Religione – Non sta bene dire la religione degli scrittori e artisti tedeschi, a meno che non siano teologi o di sacrestia. La religione familiare, alla nascita, che invece conta molto, nei riferimenti, i linguaggi, la sensibilità. Anche in caso di rifiuto, che è sempre posteriore ai calchi dell’infanzia e l’adolescenza.  Thomas Mann non potrebbe essere cattolico – e dove ne tratteggia qualcuno, per esempio nella “Montagna magica”, lo fa di maniera. Günter Grass non sta bene ai protestanti. Goethe, nato luterano, crebbe tra i cattolici e stette bene a Roma. 

Simenon – Ha il 3 prevalente nei titoli e nelle situazioni. Anche il 13.

Socialismo – Mazzini morì ammonendo: “Meglio il ritorno degli austriaci che l’impianto in Italia di quella falsa e perversa dottrina che dividerebbe gli italiani in sfruttati e sfruttatori”.

letterautore@antiit.eu

Brecht si diverte con la morte

“Più debole delle nubi! Più leggero del vento.\ Non visibile! Leggero, abbrutito e maestoso come\ una poesia delle mie, volavo per il cielo”: Brecht sa presto cosa è e vuole, di levità, si direbbe con una parola di moda, francescana. Esordisce con questa raccolta di culto, ventinovenne nel 1927 - ma già autorevole editore di se stesso (aveva avuto il premio Klaist col suo se condo dramma, “Tamburi nella notte”, cinque anni prima). Con in più le tracce evidenti della collaborazione con Karl Valentin, clown e cabarettista politico.
Gli umori sono qui, più che nelle successive raccolte, liberi dagli impegni di partito. Ma con una presenza prevalente, tra i sarcasmi e le fantasie, della morte. Soprattutto nella seconda sezione, gli “Esercizi spirituali”. Infanticidi, parricidi, assassini, suicidi, risuscitati, sono di morte due componimenti su tre. La morte è un ritornello già dai tempi felici dell’irrisione. Quanto all’albero Griehn, sopravvive al “clamore della tempesta” vorticosa “solo grazie alla sua inesorabile\ docilità”- si salva il servo?
È difficile catalogare Brecht, anche politicamente malgrado tutto: fu un libertario, e un liberticida. Gli “Esercizi spirituali” (Brecht fu a battesimo e catechismo con la madre luterana, ma il padre era cattolico, e anche la città, Augusta, e le tracce di chiesa sono molto presenti, una delle sue note caratteristiche) sono una sezione che “si rivolge più che altro all’intelligenza”, da leggere quindi lentamente e più volte, “non mai senza candore”. Piena di ballate, satiriche, malinconiche, storiche,  è la sezione successiva delle “Cronache”, sempre cantabili. Tutte per qualche ragione giustamente famose: l’amicizia, la povera donna, la virtù, e ancora l’eroismo (“Mazeppa”), ma solitamente rovesciato rispetto ai componimenti scolastici bellicisti.
L’ultima ballata, che è la prima scritta, nel 1918, a quella ancora in corso, quella del “Soldato morto”, è una satira cattiva del milite ignoto che le autorità disseppelliscono e risuscitano, per rafforzare i ranghi nella marcia gloriosa delle truppe, benché sconfitte. E ovunque aforistico, non tralascia la battuta – “L’impudicizia ha spesso addolcito la nostra innocenza”. Nella “Lista dei desideri”, uno degli “Esercizi spirituali”, “delle storie” chiede “quelle incomprensibili”.
Si ristampa l’edizione di cinquant’anni fa. Qualche nota, magari un’altra introduzione, non avrebbe fatto male, Brecht non è poeta lirico-idilico, non si esaurisce nella parola. E d’altra parte è sempre difficile, anche qui, apprezzare Brecht in traduzione, dato che la sua poesia si basa sulla rima – solo il povero, der Arm, non vuole rima. Roberto Fertonani, cui si deve questa traduzione, nel 1964, supplisce alla rima con assonanze e consonanze, tenendo fermo l’impianto metrico. Un grosso lavoro, ma non è la poesia di Brecht.
Bertolt Brecht, Libro di devozioni domestiche, Einaudi, orig. a fronte, pp. 238 € 15

Recessione – 39

A luglio in calo al fiducia si consumatori e imprese (Istat).

A giugno aumenta la disoccupazione, di uno-due punti eprcentuali. Di più aumenta la disoccupazione giovanile. 

Tiziano Treu: in Europa la disoccupazione è aumentata dappertutto, eccetto che in Germania.

Ancora Treu: la nuova occupazione tende a privilegiare le capacità intellettuali, eccetto che in Italia, dove c’è solo lavoro non qualificato.
Il sistema delle retribuzioni frenate, bloccate, comunque diminuite in termini reali, blocca il meccanismo di riproduzione e ampliamento del reddito..

Trecento miliardi è costato ai contribuenti il salvataggio delle banche Ue tra il 2009 e il 2014, secondo un studio Mediobanca – una volta e mezza il pil della Grecia. Cifrati in 221 miliardi i contributi pubblici e le agevolazioni fiscali. Più una quantità non resocontata di aiuti alle banche non quotate: le banche regionali tedesche (Landesbanken), un colabrodo, e le casse d risparmio spagnole.

Vent’anni per recuperare il terreno perduto nella crisi dall’economia e l’occupazione, secondo il calcolo del Fondo Monetario, non sono solo una generazione perduta. Potrebbero essere una generazione e mezza, anche due, se l’economia mondiale non marcerà secondo le previsioni – se la Cina, p.es., rallenta o si ferma, come sembra. E dopo due generazioni non c’è più calcolo possibile, non ci sono basi o punti fermi.

mercoledì 29 luglio 2015

Ombre - 277

Il Senato ha negato l’autorizzazione a incarcerare il senatore Azzollini, l’ex sindaco di Molfetta. È da un paio d’anni che la nega, ma ora è definitivo. E adesso la Procura di Trani che fa? Che altro ha da fare, cioè.

Aspettando di carcerare Azzollini, Trani aveva puntato le società di rating, Standard & Poor’s, etc. Lodevole occupazione del tempo libero. Ma senza esito, sono ormai anche qui anni:  gli Stati Uniti non obbediscono, indisciplinati. La Procura di Trani una sola utilità ha, come fondale per “Il Giudice Mastrangelo”. Che eprò non si fa più.

“Troppo affollato, non salgo”, una signora lamenta all’arrivo dell’8 a Roma. Mentre c’è posto come ce n’è sempre stato, né poco né molto, ma il mezzo è ora pulito, sembra lucidato, e refrigerato. Si entra a Roma dopo i tg e i giornali con sorpresa. Non c’è nemmeno la spazzatura delle foto. Ma le signore non salgono perché tg e giornali le hanno condizionate: c’è l’apocalisse.

C’è un’offensiva del Pd contro il “suo” sindaco di Roma Marino. Ma dopo che i giornali l’hanno scatenata. I giornali romani appartengono a immobiliaristi, che fanno affari soprattutto col Comune. Marino intende mettere ordine in questi affari - appalti, affitti e costruzioni - e l’attacco è spietato. Una miniera per giornali e tg del Nord, e così l’offensiva si autoalimenta.

Se si arriva a Roma da Milano la sorpresa è sconvolgente. Milano, che ha fatto di Roma un’ossessione, da mesi, ogni giorno, è sporca, congestionata, e ha un’Expo, che ci è costata qualche miliardo (impossibile saperlo), ridotta a sagra multipla di finger food. Insomma di frittelle.

Se il “Corriere della sera” paga un otto  per cento e la banca non guadagna abbastanza, la colpa è del “Corriere della sera” o della banca? Per l’8 per cento il signor Thohir è partito dall’Indonesia, una lunga cavalcata, per assumersi i debiti dell’Inter. Altrove evidentemente non guadagna tanto.

“Essere francese non è reato”: formidabile titolo di “La lettura” a Stefano Montefiori che intervista lo storico Patrick Weil sull’integrazione etnica.

Il primo giudicato della famiglia viene assolto perché “il fatto non sussiste”: i Ligresti non derubavano la Sai e non bancarottavano. Come non detto? Abbiamo scherzato? No, la Sai doveva passare di mano, via Mediobanca, a Unipol-Lega delle Cooperative  – che da allora è regina di Borsa. A basso prezzo. 

Donato Masciandaro sul “Sole 24 Ore” denuncia anche lui come Fubini (v. sotto) un attentato all’euro appena sventato. Ma, a differenza di Fubini, non dice il colpevole. Non sarà mica Schaüble?

Hanno buttato giù il sindaco imposto da Renzi, Sara Biagiotti, ma i ribelli di Sesto Fiorentino non scappano via, restano nel Pd. Per Renzi una sconfitta doppia. In effetti, è il principio di una vera opposizione ai suoi metodi spicci, anche nel partito.

A Firenze la violenza sessuale continuata di sei ventenni su una loro “amica” è colpa di lei, che
già prima era andata a letto con qualcuno di loro. A Bergamo Bossetti ha ucciso Yara perché sua moglie aveva l’amante, e anzi vorremmo vedere le foto di qualche amplesso in Tribunale. Non sono caprici dell’estate calda, sono il modo d’essere dei giudici italiani, caldi malgrado il caldo.

La Grande Riforma della scuola sarà l’assunzione dei precari, con venti e trent’anni di servizio. Già Letizia Moratti voleva assumerli, quindi quasi quindici ani fa. Poi Gelmini, quindi quasi dieci anni fa. E sempre i sindacati si sono opposti, come ora si oppongono. A che, perché?

Si fa supporre che stabilizzare il precariato costa. Mentre è vero il contrario, il precario costi più dello stabilizzato.

Federico Fubini prende a partito i Nobel per l’economia che si sono schierati per la Grecia. Fanno parte, dice, di qualche complotto contro l’euro. Leggere per credere:
E non lo pagano per questo, sembra che lo pensi veramente.

Matrimonio a Sarzana, La Spezia. Lo sposo è il sindaco. La sposa è dirigente del Porto di La Spezia. Raffaella Paiva, candidata sfortunata alla presidenza della Regione, è presente col marito, presidente del Porto di Genova. Foto sono di gente tranquilla, ma l’odore di nomenklatura è forte: di politici che cercano e hanno posto - altri invitati ce l’hanno di minor prestigio.

La patria è incancellabile

Un lungo week-end di campagna, tra pranzi, colazioni e passeggiate, di personaggi che emergono e svaniscono a sorpresa, molti ragionamenti e amori inconcludenti, e una Russia improvvisamente emergente da un mondo francese ipertradizionale. Una visione, piena di umori, follie, verità, dette o alluse. Quasi un sogno, della scrittrice emigrata, che al suo alter ego Boris fa dire subito: “Dato che ormai mi ero rassegnato all’idea che non avrei mai visto e conosciuto al Russia vera”. È il brutto-bello del’esilio, che uno si porta sempre dietro qualcosa, anzi ne è prigioniero.
Nina Berberova, Roquenval

martedì 28 luglio 2015

Secondi pensieri - 225

zeulig

Amore – Si vuole, si cerca, assoluto. Mentre è sempre mancante, inevitabilmente: è una ricerca. Inesauribile, cioè intimamente incompleto.

Memoria – “È  il tempo stesso che rende il tempo indistinto”, Lillian Hellman s’interrompe a metà del racconto “Una donna  segreta” per riflettere.

Ozio - “Temiamo le pause”, titola “La lettura” opportunamente un saggio di Donatella Di Cesare sulla rincorsa del tempo. È il nostro modo di essere, in affanno sempre, e per riempire  le pause di più, spiando la posta elettronica e la messaggistica, navigando per facebook, divertendosi con twitter, dialogando con what’s app, insistenti, interminabilmente. L’ozio è desueto. Di più, è urticante, angosciante, deprimente. Invece di ricaricare le batterie le scarica definitamente.
“Sogniamo di poter sconfiggere una volta per tutte quel «tiranno» che ci incalza”, scrive la filosofa, “vagheggiamo di abolirlo. Ci sentiamo a nostro agio nell’atmosfera atemporale prodotta dalla nuova civiltà delle 24 ore su 24, dove non è prevista chiusura e l’orologio è bandito: dai supermarket non-stop al 24-hours, dai notiziari televisivi al flusso continuo della rete”. O non a disagio? “Qui si perde il senso del tempo”, continua la filosofa, “che sembra dilatarsi, mentre saltano i limiti degli orari”.
È una perdita, è così. Il tempo lo aboliamo – “non c’è tempo” sarebbe il nostro intercalare, se ancora ci pensassimo, se del tempo perduto facessimo un problema – di fatto, segretamente scontenti di averlo fatto.

È stato, non dichiarato e non celebrato, neppure postumo, il segno del Sessantotto. La scoperta del tempo, limitato, da sfruttare e godere – non eccezionale, ma andava fatta. La libertà non era tanto dalle costrizioni (istituzioni, gerarchie, famiglie), quando di muoversi, conoscersi, pensare, o non pensare.

Potere – L’anarchia ne è una delle forme. Esplicitata, anche se non detta, in Jünger, ma non d’autore: l’eversione in genere è una ricerca di assoluto. Ci sono delle forme, del potere come della verità, che si riconformano a ogni assalto, anche dall’interno, anche il più distruttivo.

Puritanesimo – Si associa con la libertà. Ma dei puritani dice Katherine Ann Porter, la storica di Cotton Mather, il prolifico teologo “creatore “ del puritanesimo fondativo della patria americana: “Niente di più falso che i puritani cercassero la libertà religiosa in questo paese. L’idea della libertà politica e religiosa vi penetrò malgrado loro”.
Nonché illiberali, i puritani non erano, non sono, comunità di fede, chiesastica.

Radici – Lo scrittore Corrado Alvaro, “Memoria e vita”,  lega il senso vitale della vita all’infanzia, e quindi alle radici, familiari, culturali, etniche: “Avevo passato dieci anni in quel mucchio di case presso il fiume”, ricorda del paesino natio, San Luca, “sulla balza aspra circondata di colli dolcissimi digradanti verso il mare, i primi dieci anni della mia vita, e pure essi furono i miei più vasti e lunghi e popolati”.

Sovranità -  Alessandro Passerin d’Entrèves potrebbe storcere il naso, ma il Prefetto incarna la sua elegante “Dottrina dello Stato”: la forza mista all’autorevolezza, l’Auctoritas, la romana legittimazione. Nel caso almeno dell’Italia: la legittimazione che all’Italia sempre è mancata, argomentava l’illustre studioso nell’ultima prolusione a Oxford, per avere i Savoia e i loro aiutanti scambiato i bastoni per briscola: “I governanti dell’Italia unita sembrano aver provato più paura da dentro che da fuori”. E hanno lasciato fuori dallo Stato la chiesa e i lavoratori, si volevano legittimare con la polizia.
Ma non solo l’Italia: la sovranità nazionale non esiste - come per la giumenta di Orlando è il suo solo difetto: si fa e si disfa, è una tela di Penelope. 

Tempo - E’ un nostro costituente, della vita umana? Come potrebbe non esserlo?

Verità - “Chi ai nostri giorni vuole scrivere la verità ha da superare almeno cinque difficoltà”, scriveva Brecht nel 1934 (il testo, “Cinque difficoltà per chi scrive la verità”, è stato tradotto dal primo numero di “Classe operaia”, gennaio 1964).
“Deve avere:
il coraggio di scrivere la verità
l’accortezza di riconoscere la verità
l’arte di rendere la verità maneggevole come un’arma
il giudizio di scegliere coloro nelle cui mani la verità diventa efficace”
la scaltrezza di propagarla verità fra molti”.
Poesia? Anche. Dunque: la verità vuole arte, accortezza, scaltrezza, maneggevolezza, efficacia, e deve fare male.

zeulig@antiit.eu

Le combinazioni della vita, o l’anti-Proust

Un progetto stupefacente, tra Proust e l’autofiction libera, e una resa accattivante, di una scrittrice e commediografa di successo di cui niente è più possibile leggere, a trentanni dalla morte. Questo è il quarto e ultimo volet, “Maybe” in originale, 1982, della quadrilogia avviata nel 1969 con “An unfinished woman”, seguito nel 1973 da “Pentimento” e nel 1976 da “Il tempo dei furfanti”.
Fino ad allora Lillian Hellman era stata autrice di commedie di successo, “The Children’s Hour”, “Watch on the Rhine”, “The little Foxes”, del “Candide” musicato da Bernstein, sceneggiatrice di film, con Wyler, Zinneman e altri registi, compagna per quasi trent’anni di Dashiell Hammett. Soprattutto questo: gli è stata devota fino a cancellarsi. Ma era un carattere forte, “una donna del Sud” dice lei, di New Orleans, e in questo racconto senz’altro lo è. In Pentimento” si era inventata “Julia”, una che mimava i suoi viaggi nel nazifascismo e nel comunismo. Qui s’inventa una “Sarah”, non molto prossima (il titolo “Maybe” è più appropriato) ma abbastanza, bella e fantasiosa anch’essa, con la quale condivide alcuni amori e alcune paturnie, specie la fissa del cattivo odore, della pelle, delle parti intime, etc., contro il quale non bastano tre bagni al giorno, con un misurato libertinismo e uno smisurato alcol.
Perché Sarah? Perché no? “Sarah è quella che la scrittrice è stata o avrebbe potuto essere. La memoria non aiuta, e anzi confonde. A metà narrazione Hellman si interrompe con un esilarante - proustiano, ma molto accorciato - anti-Proust. Dapprima con la sindrome del cattivo odore, un piccolo capolavoro. Poi con la filosofia: “In aggiunta agli inganni soliti in cui ciascuno di noi cade nella propria vita, è il tempo stesso che rende il tempo indistinto e mescola verità e mezze verità”. Né “è una novità che si finge a volte inconsciamente”, non senza ragione – e senza escludere che “a volte abbiamo dimenticato veramente”. Si parlerà infine di “Sarah” per ricordarne il “marito”, l’uomo affascinante (il diplomatico John Melby?), bello e alto come Boris Karloff, che non era come si vede in Frankestein, col quale si incontrano “venti o trenta volte in sette o otto anni”, senza hangover: “Le volte che andammo a letto insieme furono tranquille e senza passione, eppure fu, e resta, una delle combinazioni più riuscite della mia vita”. Una storia d’amore che non fu – c’è sempre una mancanza in amore.
Come contorno s’incontra Hammett in alcune pagine, che non  scrive più e dopo le sbronze passa alcuni giorni senza connettere – con una o più donne estranee accanto, che nelle bevute nei bar si è associate, e ha condotto padrone in casa di Lillian Hellman. C’è Roma, dove con Wyler nel 1960 lavora, allo Hassler Villa Medici, a un rifacimento di “Children’s Hour”, del film. C’è Frank Costello, il gangster, col quale, “alla fine degli anni Trenta”, esce “almeno una volta al mese”, per pranzi poco parlati, e nient’altro – o sì: una notte Costello “tirò fuori un grosso rotolo di banconote e mi diede cinquemila dollari”, da rimettere agli esuli spagnoli bloccati tra Spagna e Francia sul Ponte Internazionale. E ci sono, come già in “Pentimento”, le zie adorate che l’hanno cresciuta a New Orleans, orgogliose ma intelligenti e indipendenti. “Noi meridionali bianchi”, ha scritto in “Il tempo dei furfanti”, “cafoni, reazionari e no, siamo tutti tirati su con la convinzione che sia nostro diritto pensare come ci pare e andare per la nostra strada, per stravagante che sia”.
Un flusso occasionale ferreo. Breve, bello e importante.  La storia vera è inverosimile (Costello, Goldwin, Hammett) , quella inverosimile avrebbe potuto, potrebbe, essere vera.
Lo stesso la scrittrice dirà del mccarthysmo, per il quale è più famosa. Dapprima, 1952-53, quale compagna di Hammett, che si rifiutava di fare i nomi dei suoi compagni del partito Comunista, per avere spiegato intrepida alla Commissione che la vera America, della libertà e anzi del diritto di parola, era quella di chi si opponeva ai suoi metodi inquisitoriali – e la Commissione dovette mandarla assolta. Verso la fine, prima di questo “Maybe”, per aver denunciato in “Il tempo dei furfanti”, suscitando un putiferio, il silenzio all’epoca di McCarthy dei liberali e progressisti: “Non ero sconvolta tanto da McCarthy quanto da tutte quelle persone che non presero affatto posizione… Non ricordo un solo personaggio importante che sia venuto in aiuto a nessuno. È ridicolo. Amaramente ridicolo”. 
Lillian Hellman, Una donna segreta, Bookever, remainders, pp. 90 € 5

lunedì 27 luglio 2015

Il fantasma di Grillo

Perché il “Corriere della sera” – poiché di questo si tratta
fa il tedesco più dei tedeschi? Ma perché teme Grillo. Che è sopra nei sondaggi. Sta per buttare giù Marino a Roma e Crocetta in Sicilia, anche senza intercettazioni, due dei maggiori presidi dei governi locali. Può essere esaltato dall’effetto Tsipras. E poi chissà.
Tsipas “dopo” – dopo la jugulazione a Bruxells – è diventato popolarissimo, ha due terzi dei voti. Il “Corriere della sera” si sbraccia ora a montargli contro Varufakis, ma è sempre la “sindrome Bongiorno” – esiste solo quello di cui parla il “Corriere” (che per questo, sdegnato, non parlava di “Lascia  raddoppia”, una volgarità).
Si dirà: ma sostenendo questi tedeschi alla Schaüble non si aiuta Grillo? Questo è certo. Ma la supponenza a volte sbaglia anch’essa.

I due Neroni

Per i corrispondenti e inviati quisling, Schäuble è – sarebbe in linguaggio corrente – uno “stronzo”: un provocatore, estremista, battutista, il bambino del re nudo. E palesemente un rescapé, unico nel governo in età, scampato al ciclone Merkel, sopravvissuto. Ma è il ministro del Tesoro, della Germania, e non può divertirsi facendo il bambinaccio. Come il bellimbusto col ciuffo, Weidmann, che è il presidente della Bundesbank, nientedimeno. Ogni volta che questi due parlano, e parlano sempre, sempre a sproposito, il mondo paga tributo, alla speculazione.
Non si è mai visto nella storia, neanche nella peggiore, un capo della banca centrale e un ministro del Tesoro, i massimi responsabili della politica monetaria, in questo caso della maggiore potenza, seminare tanto ludibrio sulla moneta stessa, con tanto piacere, come questi due. Viene da richiamare Nerone, il poeta che solo poetava se bruciava Roma. Quando si farà il processo, sicuramente saranno impiccati.
Si dice la Merkel una grande statista. Ma questi due sono mostri suoi.

Problemi di base - 238

spock

Perché Moro doveva morire?

Perché non si fa la storia di Moro?

Che fine ha fatto la “trattativa”, lo Stato-mafia?

Senza Napolitano niente più processo?

O lo Stato non è più mafioso?

I giudici non si divertono più? 

E ci rimborsano le trasferte?

E dov’è finita la Cia?

E l’ossicino nella Coca Cola dissolvente?

spock@antiit.eu

Brecht censurato

Asor Rosa lo vuole tribuno: “Mettersi in una tribuna” sarebbe il proprio di Brecht. E negli “elogi” politici, del partito, di Lenin (quello di Stalin è omesso), lo è, temi e ritmi sloganistici, di propaganda. Brecht è propriamente il contrario, uno poco affidabile, troppo pieno di umori, e soprattutto ragionativo. Anche in questa silloge di “poesie politiche” che Enrico Ganni ha enucleato con voluminose censure. Iconografico, essenziale sempre, apodittico, è pur Brecht - qui Asor Rosa ci azzecca: “La forza della persuasione non fonda sullo sviluppo illimitato del ragionamento”. È però vero che la raccolta sembra di voci dall’aldilà, morte. Ingombranti, poiché se ne fa lantologia. Di più l’introduzione di Asor Rosa, per quanto simpaticamente alla mano.
I revenant esistono, se possono così assediarci, ingombranti, padronali. Asor Rosa che annette il brechtiano Fortini al suo personale, corrotto, progressismo non sembra vero, e invece non esita. Ma anche Brecht non fa mancare il suo contributo, a questo convegno di fantasmi. Con cadute ripetute, rimarchevoli, di sensibilità, affini all’invidia, e di tono. Nel lungo poema contro New York dopo il crac del 1929, tanto più incomprensibile per uno già “americano” di fatto, seppure obbligato dall’esilio, che tentava la scalata a Hollywood. O contro Thomas Mann, sempre verbosamente, colpevole di avere accettato l’allungamento della prescrizione dei crimini di guerra tedeschi: una questione di cui bisogna avere presenti complesse pieghe giuridiche per capirne il senso (è propaganda), ma tanto basta per dire Mann “quest’uomo corrotto dalla sua corruzione”.
C’è un prima e c’è un dopo nel Brecht politico. Dopo è dopo la guerra, la poesia della guerra fredda, dell’ingombrante stalinismo che l’antologia omette ma che per questo di più incombe, opportunista e spietato, riverberando una luce non simpatica. Mentre Brecht non ha bisogno di omissioni.. Bolso è semrpe . nell“impegno” politico. Da sempre, e più qui dal compitino, già nel 1932, delle “Ninne-nanne”. O quando prende la “posizione”, come argomenta Asor Rosa, il “punto di vista” dell’operaio, del disoccupato, della donna, dell’emarginato, che erano invece “la linea” del partito.
Non un monumento? Oppure sì? Questo Brecht politico è la sua macchietta – un altro Brecht lo smonterebbe facile. Ganni, curando l’antologia, evita il peggio – c’è Lenin, sono svaniti Stalin e il Partito, e anzi la scelta ne fa quasi un libertario. Ma, si fiuta, si sa, manca la politica del dopoguerra - un sottotitolo sarebbe stato necessario “(1922-1943)”. Se non per due brevi testi di propaganda. Uno è il famoso “La soluzione”: poiché il popolo non può sciogliere il governo, perché non sciogliere il popolo, ed eleggerne un altro? – molto Brecht, appuntito, ma la soluzione, che s’intendeva di Bonn, della Germania Ovest, ora si rilegge applicandola a quella dell’Est, che Brecht celebrava. L’altro è la “Preghiera dei bambini”, che quin non è spiegato, se non con un secco rinvio a un “Rapporto Hernnburger”, e vale la pena scoprire: lo “Hernnburger Bericht” è un oratorio instant di Brecht, con musiche di Paul Delvau, composto subito dopo il Primo Maggio 1950, quando diecimila giovani tedeschi dell’Ovest, della federazione giovanile del partito Comunista, poi disciolto, che s’erano recati a Berlino Est a una manifestazione, furono trattenuti al ritorno per due giorni al posto di frontiera di Lubecca-Hernnburg, in cerca di “materiale di propaganda” - un caso che il governo di Pankow agitò molto, come della “barbarie di Bonn”.
Un’antologia sghemba dunque, senza il Brecht araldo di regime, “funzionario” anzi mediocre. Che nel “Povero B.B.”, pezzo forte anche di questa antologia, si presenta così: “Nelle mie sedie vuote, a dondolo, il mattino\ Ogni tanto ci metto qualche donna.\ E le contemplo indifferente e dico:\ Ecco voi su di me non potere contare”. “Qualche donna”, “indifferente”. Per subito dopo lamentare, dopo gli abeti che “pisciano nella prima foschia”, e “i loro parassiti, gli uccelli, che strillano”: “Quali tempi sono questi, quando discorrere d’alberi è quasi un delitto”. Anche neghittoso, asociale.
Ma con Brecht la museruola è difficile. Di suo sempre agitatore possente, in quanto genio del paradosso, che scuote le più robuste fondamenta. Molte ballate sono dei gioielli, anche se le rime, irriproducibili, ne sono l’elemento essenziale, la cantabilità – delle ballate come di tutta la sua poesia, rigorosamente a rima alternata, implacabile come un’ottava siciliana, da cantastorie. Sempre vivi, sferzanti, gli epigrammi – anche un dantesco: “Gli Oberen\ si sono riuniti in una stanza\ Uomo della strada,\ Lascia ogni speranza”. 
“E che venne alla donna dal soldato?” agghiaccia ancora: nel 1941, 1942, la Germania era a Praga, “l’antica capitale”, a Oslo “sul Sund”, nella “ricca Amsterdam”, a Bruxelles dai “fini merletti”, a Parigi “la ville lumière”, nella “meridionale Bucarest”, e per fortuna, la guerra altrimenti era vinta, nel “freddo paese dei russi” – “Di Russia le venne il velo di vedova”.
Bertolt Brecht, Poesia politiche, Einaudi pp.303 € 12

Il mondo com'è (224)

astolfo

Borghesia – In Italia si segnala per negarsi. Altrove in Occidente, in Francia, in Germania, e naturalmente in Inghilterra e negli Usa, nella cultura anglosassone, la borghesia si vanta, si vuole forte e virtuosa, in Italia si nega. Perché? Perché è figlia della manomorta, l’appropriazione dei beni ecclesiastici, una forma di furto, seppure garantito dall’anticlericalismo. E del fascismo, quello di Mussolini, e quello – costante in tutta la Repubblica – degli affari “camerali”, in corte chiusa, l’origine della corruzione così diffusa.

Germania – Oltre a quello imperialista e a quello  dittatoriale (fascista e comunista), poi universalmente deprecato, ha un nazionalismo sommesso che non ama le critiche, siano pure rispettose e a fin di bene. Un misto di verecondia e di cattiva coscienza, che però non ammette critica. Neppure in patria, neppure in camera caritatis.
La Germania ha una stampa volentieri irridente, e ha avuto e ha poeti, scrittori, registi, artisti spregiudicati e perfino cattivi, ma non li considera la coscienza della nazione. L’ode “Germania” di Brecht, 1933,  è l’abominio della Germania di Hitler, ma a causa di queste e altre abominazioni Brecht non è poeta popolare in Germania, un po’ come Heine. Per i più, anche di quello si deve  tacere, denunciarlo è antipatriottico.
Questa “buona coscienza” o unitarietà è l’aspetto che corrispondenti a Berlino, germanisti e ammiratori semplici più apprezzano della Germania. “Perché tutt’intorno gli oppressi ti esaltano, ma\ ti accusano gli oppressi”, nel 1933 un’accusa (di Brecht), è ora come prima una constatazione.

Manomorta – L’Italia è ne è la figlia – è tutta qui l’origine dei suo mali, si potrebbe arguire, polemicamente ma non senza ragione. Le leggi eversive non tralasciarono nulla, case, palazzi, opere d’arte, arredi, argenti, i banchi e le campane delle chiese, i libri, i mobili, con i terreni naturalmente, il censimento fu minuzioso. Di cui gli elenchi si sono perduti, certo. La vendita tuttavia si fece, anche questo è certo, senza beneficio per lo Stato, a gratis dicono a Roma. Grazie alle arti di Pietro Bastogi, il primo ministro delle Finanze dell’Italia unita, grande, grandissimo massone.
Nel 1861 Bastogi istituì il Gran Libro del debito pubblico, nel quale confluirono i debiti degli Stati preesistenti all’unificazione. Ma non gli attivi, gli immobili, gli arredi, le quadrerie, i terreni, dei principi, e dei principi della chiesa. In dieci anni, dal 1861 al 1871, il Gran Libro registrò un abbondante raddoppio del debito dell’Italia in rapporto al suo prodotto, dal 36 all’80 per cento.
C’è questa assurdità dietro il Risorgimento e i Savoia, per secoli codini e beghini: che l’Italia ha aggredito la chiesa per cinquant’anni, poi accordandosi, tardi, nel 1929, per pagare una magra congrua ai parroci. E una borghesia che sempre si nega, mz perché è nata, appunto, dalla manomorta.

Marx e Mazzini – Marx e Mazzini è uno dei misteri della storia: entrambi esuli, entrambi a Londra, Mazzini famoso, Marx sensibile alle carbonerie, non si parlano e non si citano. Anche Marx veniva dalle società segrete, senza dubbio, se si legge il formulario di adesione di una qualsiasi carboneria:
“1. Che cosa pensi del governo?
- Che tradisce il popolo e il paese.
2. In nome di quale interesse agisce?
- Quello di un piccolo numero di privilegiati.
3. Chi sono i privilegiati?
- Sono i banchieri, i sensali, i monopolisti, i grandi proprietari, gli aggiottatori, gli sfruttatori che si arricchiscono a danno del popolo.
…………………………………………………………………
13. Qual è la sorte dei proletari sotto il governo dei ricchi?
- La sorte del proletario è simile a quella del negro e del servo, la sua vita è un seguito di miserie, fatiche e sofferenze.
14. Qual è il principio di una società giusta?
- L’uguaglianza.
15. Bisogna fare una rivoluzione politica o sociale?
- Bisogna fare una rivoluzione sociale”.

Mccarthysmo – Antiamericano? Lillian Hellman rigirò l’accusa al senatore della crociata anti-liberal dei primi anni Cinquanta, e Joseph McCarthy dovete mandarla “assolta”, benché non abiurasse a niente e non facesse nessun nome di “complici”. Antiamericano disse l’autrice di “Piccole volpi” perché antidemocratico. Un ragionamento ineccepibile.
Il senatore perseguiva, col sostegno del Senato, i comunisti in quanto spie potenziali dell’Urss nella guerra fredda. Nominalmente. Di fatto perseguiva il dissenso. Hellman dovette rispondere in quanto compagna di Dashiell Hammett, comunista dichiarato, e in quanto autrice di due drammi di successo, che mettevano in scena le colpe degli Usa nella guerra contro Hitler, per non averlo osteggiato prima e anzi per averlo favorito. Hellman obiettò alla Commisisone di McCarthy il suo pieno diritto in quanto cittadina americana di parlare liberamente: che “non solo era mio diritto, ma mio dovere parlare e agire contro ciò che ritenevo sbagliato o pericoloso”, sintetizzerà la testimonianza nel libro di memorie “Il tempo dei furfanti”.
Analizzando retrospettivamente il mccarthysmo, lo dice una lucida manovra politica per sradicare ogni traccia del progressismo rooseveltiano anteguerra, e per costruire un solido fronte passionale anti-Urss, in Europa, in Corea e altrove in Asia. Ma lo addebita, così “volgare”, alla viltà dei molti, dentro e fuori la Commissione, che non erano nati in America, e non si erano mai veramente acclimatati, pur considerandosi cittadini american, mantenendo radicate piuttosto, nella nuova patria, le loro “paure straniere”, quelle che li avevano portati all’emigrazione.   

Fu il trionfo del pentitismo, al Congresso sa, culla e sede delle moderne democrazie, non negli angiporti di una questura: fai un nome e sei salvo. L’Inquisizione non chiedeva tanto.

Moro – Il delitto più certo della storia della Repubblica resta inspiegato. Anche sul piano giuridico, dei processi: i quattro-cinque processi Moro si sono attardati ad allargare o restringere la rete delle condanne, senza mai accertare il perché, un perché, dell’assassinio. Mentre gli analoghi processi per piazza Fontana e Brescia, seppure anche loro altalenanti, hanno tentato di dire le motivazioni.Si vuole che dell’assassinio di Moro si è acertatyo tutto, e invece non si è accertato l’essenziale. Ma soprattutto sul piano storico, della morte di Moro non si sa nulla. Cioè  si sa, ma non si spiega, nessuno stoico ci si avventura. Di un fatto così impressionante, anche condizionante nella storia, se ne occupano uno storico modernista, specialista del Cinquecento, di eresie e streghe, Gotor (“Lettere dalal prigionia”, 2008, “Il memoriale della Repubblica”, 2011), e uno “alternativo”, Clementi (“La pazzia di Moro”, 2001, “La storia delle Br”). Gotor, come onorevole in petto del Pd, per menarla in largo - la sua questione è il ruolo di Prospero Gallinari, se era lui oppure no, a trascrivere testi e memoriali calligrafi di Moro alla Lettera 22, e come e perché. Clementi per ribadire il gioco delle parti, che Moro per salvarsi accusava la Dc, e la Dc per salvarsi lo abbandonò. E il Pci? E le Br? E come fu organizzato l’agguato? Sì, la sorpresa, ma gli appostamenti,  pedinamenti, la logistica, le armi perfettamente funzionanti, come al cinema? Il mancato ritrovamento del covo, la mancata trattativa? Moro è l’unico rapito nella storia della Repubblica per il quale non è stato aperto un contatto, uno su alcune migliaia. E le carte trafugate naturalmente, sepolte, ritrovate – manipolate, censurate? L’uomo è stato ridotto a icona - in tasca “l’Unità”…  – e nient’altro, un santino: non si legge, non si studia, non si analizza, anche se ha avuto una vita politica pubblica densa. Le “Lettere” Gotor non ha nemmeno contestualizzate, come fossero un vecchio repertorio, quando usavano, delle lettere d’amore.
Gli stessi brigatisti più impegnati in prima persona con la prigionia e l’esecuzione di Moro, si mostrano disorientati: loro non erano partiti col progetto di uccidere Moro. Erano certi che se ne sarebbero in qualche modo liberati. Ufficialmente, il governo non si impegnò per salvarlo per non dare credito alle Br. Ma via Fani, la lunga prigionia, e la stessa esecuzione di Moro segnarono un picco di adesioni brigatiste. “La storia delle Brigate Rosse “ di Marco Clementi dà, dopo l’uccisione di Moro, il massimo storico di adesioni e il maggior numero di attentati - ma già dal 1980 ne registra l’avvio della parabola discendente (sarebbe stato lo stesso con Moro vivo? sì). 
Molto si è scritto e si scrive di Gladio, l’organizzazione paramilitare anticomunista Nato, col sottinteso di collegarc un giorno tutto il sovversivismo italiano, comprese le Brigate Rosse (senza considerare che di Gladio si sa e si dice solo quello che Andreotti volle si sapesse contro il suo avversario del momento, Cossiga). Di collegarlo con la Cia, il sovietismo non è morto in Italia. Ma del perché Moro non fu salvato, non si tentò nemmeno di salvarlo, zero.
Gotor in particolare, nell’ultima fatica prima dell’“ascesa in politica”, “Il Memoriale della Repubblica”, limita l’indagine “interna” alla partita Moro-Dc nei due mesi della prigionia, con i contendenti impegnati a screditarsi, Moro per salvarsi, la Dc (tutta) per difendersi da Moro - lo stesso fa lo storico suo contendente, Marco Clementi, “La pazzia di Moro”. Ma la Dc non ha ucciso nessuno. Eccetto appunto Moro. E non sappiamo perché. Andreotti, il capo del governo che non trattò, era un cinico, e contro Moro aveva sparato parecchie cannonate. Ma anche lui non ha mai ucciso nessuno - troppo cinico per questo, un pesce freddo sempre calcolatore. 

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