letterautore
Autobio - Prima di
Petrarca il debutto dell’Occidente è un’opera anch’essa di autoanalisi, la Vita
Nova - si sottovaluta Dante. Successivamente, fu di confessione
obbligatoria che Erasmo dibatté con Lutero, e non di esame di coscienza.
Postillando: “La verità va detta, ma non serve in ogni circostanza”. Sarà
questo il “dovere della memoria” di Primo Levi, che il buono non sempre è il
vero. Canetti distingue un “diario genuino” dai “diari falsificati”. Che sono
però a volte “avvincenti” – “la loro attrattiva dipende dalla capacità del
falsario”. Ancora prima c’è il solito Agostino, con i classici e il torbido
Tucidide. E prima ancora Delfi e il “conosci te stesso”, la scrittura dell’io è
nelle origini. Comprese le Scritture, che “conosci te stesso” dissero non si sa
se prima o dopo Delfi. Ma forte avevano il senso dell’orgoglio, il peccato
rimosso.
Quanto
a conoscersi, è bizzarro interrogare se stessi, accusati e insieme accusatori.
Non lo fece Socrate, che era un teatrante e un chiacchierone e inventò il genere,
o il personaggio di comodo di Platone che a Carmide spiega: “La conoscenza di
sé non sempre è saggia, non sempre è utile” - la saggezza di Socrate era
d’infinocchiarsi Carmide, “una meraviglia tanto era grande e bello”, per ciò
che si vedeva e per “ciò che la sua tunica copriva”, lui come ogni altro
giovane e bello di Atene filosofante in palestra. Il difetto è che la
confessione si fa in prima persona. Uno vorrebbe sbarazzarsi dell’io, ma non si
può, tutto si vede e si dice in soggettiva, la terza persona è artificio.
Onesto sarebbe che l’autore dichiarasse all’inizio: “Vi racconto una storia che
ho inventato, ho dedotto, ho ascoltato in quel posto, in quel tempo, tra quelle
persone”. Come i reduci che impuni s’inventano in dettaglio le guerre, i
cacciatori, che sono essi pure soprattutto narratori, gli emigranti, i
viaggiatori. Tutti quelli che non hanno testimoni.
La
scuola dello sguardo è solo una soggettiva più lenta e minuziosa. Omero dà
forma ai miti, che è un altro genere, ma si pretende realista come il romanzo,
essendo veritiero. Bisognerebbe poter essere Omero, ecco, capaci di mito e
verità, uscendo dall’io e dal lui. Talvolta basta essere nato in un altro
secolo. Il problema in italiano è che si coltivano io deboli, cattolici – ecco,
qui la chiesa c’entra: si racconta bene in America Latina, dove pure sono
cattolici, ma in segreto succhiano sangue.
Carducci – Dunque, copiava
Nievo, nella migliore della sue poesie, “La nebbia a gl’irti colli”. È il
processore della poesia. Che sapeva naturalmente di Nievo, anche se l’Italia l’aveva
subito dimenticato.
Dante – Sonoro e
ritmico. Ascendente, discendente: variato (quanto l’arsi, sillaba-e accentuata-e
precede-ono la tesi – sillaba-e non accentuata-e, il ritmo è discendente,
viceversa è ascendente). E vario nella sensibilità: bellicoso, nostalgico,
dimesso, idilliaco.
Destra – S’ionfoltisce la
schiera robusta di grandi scrittori e artisti di destra, e anche di strema
destra (antisemiti, hitleriani) contrariamente alla vulgata ufficiale che la destra
non ha cultura. Dopo Céline, Pound, Hamsun - e Borges, Montherlant, Jünger, Simenon, Tolkien,
Stefan George, in parte Thomas Mann – ora anche Le Corbusier. E si sta lavorando
a Sartre, sotto l’occupazione.
Che
la Destra non abbia cultura è un errore (sottovalutazione), oltre che una
propaganda sterile. Lascia più testimonianze durature la Destra nel Novecento,
di cui fu al comando per una ventina d’anni, che una certa Sinistra che ne fu al comando
per mezzo secolo, e specialmente “pura” – faziosa.
.
Furioso – Orlando è “furioso”
già nel titolo. Ariosto si divertiva a rifare, prima di Cervangtes, e con la
sua “ottava d’Oro”, cantabile, per tutti, la parodia dei romanzi cavallereschi.
Nessun dubbio: lo sapeva Hegel, lo saprà De Sanctis, e poi Croce – l’ironia,
che pure è molto italiani, ci ritorna via Germania, l’Ottocento italiano è
stato parecchio positivista, un po’ ottuso.
Giallo – Dilaga in
Italia fuori canone, anzi spesso cervellotico – “famolo strano”: giallo come
inconsequenziale, una sorpresa alla fine si trova sempre, sennò si rimedia con
la violenza in vista e in posa, tipo horror: basta un po’ di suspense per
rientrare nel genere. Il Detection Club, creato a Londra nel1929 tra Agatha
Christie, G.K.Chesterston e Dorothy Sayers, si vincolava a dare al lettore la
possibilità di indovinare il colpevole prima del finale – contraddicendo
peraltro tutta la serie cinematografica dei Poirot. La garanzia era intesa come
un codice etico della scrittura, del genere giallo, che quindi deve essere un
gioco di analisi.
Italia - Si direbbe intraducibile.
Un po’ perché corrispondenti e inviati stranieri poco ne capiscono. Ma questo
potrebbe essere un problema loro. Di più per se stessa. E non per la lingua,
che anzi è amata.
Gianfranco
Contini, nessuno lo conosce all’estero. Anche Giacomo Debenedetti, sebbene sia
stato fine lettore di Proust. Mengaldo s’interroga su “La Lettura” del perché
l’Italia accepisca tanta cultura straniera, anche inutile o dannosa, mentre
tanta sua buona cultura resta al di qua delle Alpi. Sono le buone idee che non viaggiano?
Non succede spesso. È l’Italia che respira male, si soffoca.
Nomadi – Cantano e
ballano. Tutti i nomadi – probabilmente anche quelli di Gengis Khan. Anche in
Australia, cantano – Chatwin ha percorso i loro itinerari sonori, li ha
ricreati. Il clan romano dei Casamonica vive probabilmente su questa lunghezza
d’onda, benché sedentario da tempo. .
Scrivere – Si può
dappertutto. In treno, in aereo, un tempo usava il, caffè, su quaderni ben
squadrati e su un ritaglio qualsiasi, anche in piedi sul marciapiedi volendo
non perdere l’attimo. Ma quando si scrive attorniati dai libri, a casa, in
biblioteca, è come se si partecipasse a una polìfonia, a una conversazione gradevole, di molte voci
senza sovrapposizioni, a una partita di squadra di corsa, a un’impresa collettiva
eccitante e gaia. Anche senza pubblico – lettori.
Sherlock Holmes – Eretto, da Eco
e altri, a paradigma dell’induzione, della deduttività della logica, è in
realtà cervellotico. È qui il suo fascino - un logico è un pedante: sorprendente
ma dispettoso, che sempre impone la logica più astrusa e impervia. Vuole
sedurre, sì. Con la sorpresa. Per questo ha bisogno di stare solo e solitario, con
un amico strano, un fratello incongruo, senza amori, nemmeno infatuazioni, né
amicizie, di degradarsi, di restare inverosimile.
È
un problema renderlo in immagine, al cinema o in tv. Figurarselo somaticamente:
ora nevrotico pieno di tic, ora catatonico, loquacissimo, velocissimo, ora
muto, lento e anzi inerte.
letture@antiit.eu