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Bellezza
– Secondo Stendhal le donne di straordinaria
bellezza fanno meno effetto il secondo giorno.
Colpa
– Indagata
e riconosciuta, in tutte le sue pieghe, anche le più esecrabili, dai tedeschi,
dai governi, i diplomatici e gli studiosi se non dalla gente comune, riesce impervia
ai germanisti. Magris, che in “Non luogo a procedere” rappresenta le nefandezze
nella sua Trieste attorno e dentro il campo di sterminio a San Sabba, che la
città tiene a nascondere, colpevolizza (assolve) tutti: “Chi non è innocente è
colpevole, la zona grigia è un’invenzione di comodo”. E ironizza sulla formula
assolutoria che dà il titolo al libro, che pure è onesta: “Im Sinne der Anklage, unschuldig” – ai sensi dell’accusa non
colpevole.
Hughes – Il poeta laureato di cui non si parla
più è la vera “storia” dietro quella
che sempre si ripropone di Sylvia Plath, la moglie infelice. Non fu la sola, fu
solo la prima. Dopo Sylvia si succise per lui Assia
Wevill, la seconda moglie. Col gas, come Sylvia Plath. E con la figlia Shura,
di quattro anni. Bella donna, di quarant’anni, ebrea emigrata dalla Russia.
Assia era compagna e non moglie, Ted Hughes non aveva voluto sposarla, per
rispetto a Sylvia Plath. Sylvia, che Hughes tradiva in casa con Assia,
risparmiò invece i figli, di tre e un anno.
Si potrebbe dire un destino tragico. Ma Hughes,
il poeta laureato, più di un dilemma pone all’epica, oltre che al femminismo,
poiché queste morti terribili non sconvolgono il poeta, e forse neppure l’uomo.
Assia si è uccisa per una concorrente, anch’essa in età, entrata nelle grazie
di Hughes. Che però aveva già un’altra fidanzata giovane.
Hughes è l’Uomo di Ferro che ha
inventato: si è poeti e grandi uomini con lo stomaco saldo. L’arcangelico
Drago-Pipistrello che nell’”Uomo di Ferro” minaccia paesi e città del mondo,
con una testa “quanto l’Italia”. Al momento del suicidio di Assia curava, e
continuò a curare, lìuscita di tre nuove raccolte, e la difesa del salmone nei
fiumi britannici. Le fidanzate saranno state una sua forma d’assicurazione
contro le morti repentine.
Padre
– “Sono diventato il figlio di mio padre”, ricorda Michel Onfray
rievocando su “La letura” la morte del padre, “operaio agricolo”
all’improvviso, in campagna, in sua presenza, loro due soli. Lo ricorda accanto
a un’intervista in cui maltratta robustamente l’ipocrisia dei media,
soprattutto a sinistra, e il liberismo, evocando De Gaulle, un Cincinnato. Ho
avuto la fortuna, scrive nel ricordo del padre, di nascere tardi, quando lui
andava per i quaranta: “Un dono. Si scopre infatti di avere un padre saggio,
posato, calmo, sereno, privo di qualsiasi affettazione giovanile”, e del
desiderio di compiacere.
Pasolini - Voleva fare San
Paolo, dopo aver fatto il Vangelo. È l’unico autore religioso del secondo
Novecento, ne “L’usignuolo”, “In forma di rosa” e altrove, anzi di tutto il
secolo. Non chiesastico. Ma anche questo non del tutto: si riporta il papa
Bergoglio a Giovanni XXIII, ma si potrebbe meglio riportarlo a Pasolini,
strada, borgate e omosessualità comprese.
Fu e rimane solo. Non un amico, uno della squadra di pallone, un
compagno di viaggio, anche occasionale, purché non di marchette, non un
discepolo. Benché socievole, di tutti i convegni, le manifestazioni, le
iniziative, le tavolate, quasi un presenzialista. Non per carattere: non era
solitario in gioventù, prima di Roma, fino quindi ai 28 anni.
Isolato anche dopo morto, malgrado le tante celebrazioni – libri a
dozzine sulla “verità” della sua morte, e nuove riedizioni che non aggiungono
nulla. Con poche eccezioni, due o tre, Naldini, e il suo traduttore francese,
René de Ceccaty, che ne ha fatto anche antologie significative. Non un
“sistematore”, o un esegeta folgorante, che pure meriterebbe, se non altro per
la molteplicità delle espressioni: poeta, narratore, regista, drammaturgo,
critico letterario, linguista, moralista, giornalista, pittore Sembra che non sia
letto, sicuramente non amato.
“L’affollata solitudine di Pasolini” è il titolo centrato con cui
il”Corriere della sera” presenta la testimonianza di De Ceccaty, uno dei suoi
prefatori - tra i tanti, una diecina finora, schierati dal giornale in
preparazione dell’uscita in edicola di tutti i suoi libri, solo De Ceccaty dice
qualcosa di sensato.
Da traduttore, dice, di tre libri di poesia di Pasolini che hanno
avuto molti lettori, “mi sono accorto che i lettori giovani — quelli nati dopo la
morte di Pasolini — lo capivano molto meglio, perché descriveva un mondo che
loro conoscono. Ed è un mondo terribile”. Pasolini faceva molto il raffronto
tra fascismo e capitalismo, semiassolvendo il primo. De Ceccaty è riservato su
questo, ma, dice, “certamente era molto pessimista rispetto
al capitalismo e aveva ragione, perché il capitalismo possiede la persona intimamente,
mentre il fascismo all’italiana veniva vissuto con più distanza. Il fascismo
all’inizio era un movimento operaio, non una dittatura sugli esseri. Il
capitalismo invece è la distruzione dell’individuo”. De Ceccaty lo vuole, da
poeta civile, più sociale che solitario: “Non
so se fosse solo. Aveva probabilmente il sentimento
della solitudine ma c’erano tanti amici attorno a lui. Il sentimento di solitudine
per un creatore, per un genio come lui, è molto relativo. Pasolini, anche se si
identificava molto con Rimbaud, non era Rimbaud. Era infatti molto più
coinvolto nella vita sociale, era un poeta civile, non era un poeta isolato”.
Ma lo era, da poeta civile:.
Pound –
La sua si può dire “la guerra del sangue contro l’oro”, di cui in un discorso
del podestà di Trieste Cesare Pagnini, ai primi del 1942, prefigurando la
vittria: “Da questa guerra, oh camerati, la guerra del sangue contro l’oro,
sorgerà la nuova Europa”. Sembra di essere oggi, anche se non c’è la guerra –
c’è il mugugno.
Venere nera – Dopo le Madonne nere e l’Atena
nera, la rivendicazione degli apporti semitici e africani alla cultura europea,
ora la Venere nera. Non più al Lido di Parigi, da Joséphine Baker in qua, ma
nella incisione “The Voyage of the Sable Venus from Angola to the West Indies”
che il pittore inglese Thomas Slothard fece nel 1793. A corredo di una “History, civil and commercial, of
the British Colonies in the West Indies” di Bryan Edwards. La
Venere nera rappresentando alla maniera di Botticelli nella “Nascita”. Solo un
po’ robusta di cosce, e non così vaporosa, l’incisione non ha la lievità
dell’olio e del colore. L’incisione corredava
una poesia del 1765 di Isaac Teale, piantatore giamaicano, “The Sable Venus. An ode”. L’ode cantava il
piacere dell’amore con le schiave, giacché bianco e nero, la Venere di Sabbia e
la Venere di Botticelli, si confondono “la notte”: “Both are just alike, except
the white,\ No difference, no – none at night”.
La Venere nera di sabbia è stata resuscitata da Robin Coste Lewis,
professoressa all’università di California, al suo esordio con una raccolta di
poesie, “Voyage of the Sable Venus”. Quella del titolo, lunga ottanta pagine, è
composta dai riferimenti ufficiali (titoli, didascalie di mostre e musei,
presentazioni, cataloghi, con note esplicative, riferimenti, commenti) a
manufatti d’arte sulla donna, a partire dalla preistoria.
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