astolfo
Francescanesimo – “Tutta l’Africa è indipendente,
eccetto le colonie portoghesi: per quale peccato?”, si chiedeva e chiedeva 45
anni fa ad Algeri Marcelino dos Santos, il poeta angolano
allora in esilio. E si
rispondeva: “C’è chi ha avuto i francesi, chi gli inglesi, chi i gesuiti. Noi
abbiamo avuto i portoghesi, i poveri d’Europa. E i cappuccini, gli ignoranti,
che dopo due settimane montavano come conigli, insabbiati nella brousse.
Siamo la loro carne”. Tutto vero, se si depura la battuta del velo di
anticlericalismo. C’è, non solo in Africa, uno scostamento e anzi una distinta divergenza,
storicamente anche approfondita e molto dibattuta, tra san Francesco, parole e
opere, e il francescanesimo: un movimento della povertà, della povertà dei bisogni
e quindi dello spirito – lo spirito si vuole ricco di bisogni – che va con l’ignoranza,
il più spesso piena di sé. E rifluisce nell’opposto di quanto dichiara, in un
disegno di potere.
Nel
1246, appena vent’anni dopo la morte del santo, che ne sarebbe inorridito, i
Frati Minori brigarono e ottennero da papa Innocenzo IV la
licenza inquisitoriale. Un’estensione della licenza che nel 1235, dieci anni
prima, Gregorio IX, il cardinale di Rieti Ugolino, già vescovo di Ostia, aveva
affidato ai domenicani.
Inquisitore,
sia pure “pentito”, e francescano è Guglielmo di Baskerville, il detective del
“Nome della rosa” di U. Eco – eccezionalmente anche colto.
Gregorio
IX, pur essendo protettore sollecito di san Francesco, e poi dei francescani,
ne ebbe notevoli problemi. Dapprima da parte dei rigoristi, qualche decennio
dopo detti Spirituali, che si volevano mendicanti e nulla più, contestando in
particolare l’apertura e l’intestazione di conventi. Nel 1239 dovette rimuovere dalla carica di ministro
generale, o superiore dell’ordine, Elia da Cortona, il secondo successore di
san Francesco, che si sospettava di ghibellinismo, e in effetti prese poi partito
per Federico II contro il papato. Gli Spirituali, o Fraticelli, contesteranno
anche loro l’autorità del papa. Gli Osservanti, che ne presero il testimone nel
Trecento, si articoleranno in una serie interminabile di sette, gruppi, ordini,
Amadeiti, Capriolanti, Clareni, Colettani, Guadalupensi, Villacreziani, Cappuccini.
Francesco – È certamente
un papa sui generis. Molto massmediatico: si vuole ogni giorno sui giornali,
ama le conferenze stampa, dice le battute. E molto argentino, di una dialettica
politica portata cioè alla demagogia.
Ha preso il nome di san
Francesco, ma il suo messaggio non è rivolto alla chiesa, e nemmeno alla
comunità dei suoi fedeli, bensì all’uomo-massa, il più sprovveduto possibile.
Non per ignoranza, essendo religioso molto coltivato e di grande esperienza
pastorale, ma per un disegno. Il suo “popolo” ha tutte le virtù, tanto più se
povero, la saggezza inclusa. Mentre la chiesa, che certamente è popolare, è
anche magisteriale: sa che la democrazia deve avere una funzione pedagogica. E
ha tutta l’innocenza. Alla periferia di Nairobi ha elogiato “la saggezza dei
quartieri popolari”, lamentando che “i “discorsi di esclusione” la ignorino
perversamente, giacché la periferia perpetua “i valori evangelici che la società del benessere,
intorpidita dal consumo sfrenato, sembrerebbe aver dimenticato. Cosa improbabile,
che la periferia perpetui i valori evangelici, forse il papa l’ha frequentata da lontano - senza contare
che quella di Nairobi era una periferia per modo di dire: era una parrocchia
gesuita, con annessi sociali che in Africa sono un lusso , la scuola, il
dispensario, i campi da gioco. Il papa ha perfino voluto far cominciare la
predicazione di Cristo dalle periferie, mentre si sa che cominciò da Cafarnao,
centro carovaniero - le tribù beduine di Israele vi venivano a contatto con le
grandi culture religiose e morali dell’Oriente.
Lui stesso vuole essere povero e
dimesso, come il Poverello, ma di fatto ha solo creato un doppione di sedi,
funzioni, servizi. La residenza di Santa
Marta è “più” dei palazzi vaticani dove i predecessori risiedevano: impegna più
persone, è più dispendiosa. La libera uscita dall’ottico per gli occhiali in
una vecchia macchina scassata ha moltiplicato le funzioni di sorveglianza, come
se girasse la scena di un film.
“E per fortuna che non c’è la
Lucrezia Borgia”, Francesco enumera gli scandali in Vaticano ai giornalisti
sull’aereo papale dall’Africa, e poi ride di gusto alla sua battuta. Il papa
Francesco non è un francescano. San Francesco soffriva, il papa ride.
“Non rideva mai a Buenos Aires”, nota
Lucchetti, il regista del docufilm sul papa Francesco.
Mussolini
–
È – si voleva – un incongruo Bismarck, a capo di una dittatura.
Il fascismo era un regime, e
Mussolini solo nominalmente chiamato al governo dal re. Ma, pur scontando lo
scarso o nullo peso della corona, Mussoloni lavorava per il re. Lo fece perfino
imperatore.
“Mussolini imperatore” è solo un’opera
satirica, di un futurista fascista, Marco Ramperti, e non celebrativa – contro gli
intellettuali che criticavano il regime. Mussolini non proponeva il Reich
millenario di Hitler, un altro mondo, e non creava una dinastia: si voleva un
facitore dei destini della nazione, che la monarchia avrebbe dovuto impersonare,
i Savoia. Non progettò una repubblica - se non alla fine, dopo essere stato
spodestato. È i questo senso ancora molto risorgimentale.
Napoleone
–
Fuor che “di quel securo il fulmine”, non vanta altra agiografia: giusto la
rapidità, delle azioni e le reazioni, marce, schieramenti, manovre, decisioni,
ripensamenti. Vinse molte battaglie, ma altre ne perse. Si vuole che fosse solo
contro le sei o sette coalizioni che infine ne ebbero ragione, ma ebbe sempre
ai suoi ordini alleati e contingenti di altre nazioni. Ed era un pessimo
politico: le popolazioni che in teoria liberava non le ebbe mai con sé, i contingenti
militari che furono obbligate a fornirgli obbedirono fino a un certo punto. Lo stesso
Manzoni del “Cinque Maggio”, ode che giudicava sovversiva sotto gli austriaci a
Milano e tenne nascosta, poi, ripensandoci, se ne professò deluso – Napoleone non
era un liberale.
Populismo
–
Dilagando, confonde e si confonde. È anche l’unica categoria residua sulla
scena politica del Millennio: niente più liberalismo, socialismo, nazionalismo.
Si spiega che tutto sia “populista”, da Salvini, o Le Pen, a papa Bergoglio.
Visto da sinistra e visto da destra analogamente. Ma più corretto sarebbe dire:
visto dai vecchi partiti, di sinistra o destra è indifferente.
Fondamentalmente il populismo è
eccitare l’opinione pubblica, un sinonimo di demagogia. Ma può essere anche
rispondere all’opinione pubblica, per rappresentarla e governarla
(indirizzarla).
Allargata a papa Bergoglio, la categoria
viene anche sbalzata di natura e confini. Liberata dalla melassa
anti-Berlusconi – ogni aggettivo è buono come invettiva – opportunamente. Ma
alla chiesa non si può imputarla come colpa: la chiesa è populista. Lo è sempre stata, lo è per natura: del popolo, per il
popolo. È in questo populismo che la chiesa ha maturato le istituzioni
democratiche che governano le nostre democrazie: la comunità, il voto, il
comando temporaneo, la parità o uguaglianza di condizioni all’entrata, il
rispetto delle minoranze, la difesa dagli estremismi.
astolfo@antiit.eu