sabato 2 gennaio 2016

Sunniti contro tutti

Si va da “Sarajevo” a “Sarajevo” in casa sunnita: prima la Turchia abbatte un aereo russo, ora l’Arabia Saudita giustizia l’imam sciita. Da incidente a incidente dal potenziale letale: i governi sunniti moltiplicano le provocazioni – tutto ciò avviene dopo che hanno creato e armato l’Is che imperversa in Iraq e in Siria. Non per un disegno imperialistico, ma proprio come a Sarajevo; per difendersi provocando. Non difendersi da un’aggressione, ma aggredire per una propria buona ragione: la difesa del regime dal terrorismo interno, che è sunnita – sono di sunniti 44 delle 47 esecuzioni capitali dell’annuncio. .
Lo sceicco Al-Nimr è stato condannato in base a un processo che l’Onu e Amnesty hanno giudicato illegale. E viene giustiziato non per fatti di sangue o di terrorismo: probabilmente per “compensare” il gran numero di condanne di sunniti per terrorismo. Ma la sua decapitazione non mancherà di suscitare reazioni in Arabia Saudita, dove la comunità sciita è ampia nella regione orientale, quella petrolifera, e nel finitimo Bahrein, dove costituisce probabilmente la maggioranza della popolazione ma non ha diritti. E ha già suscitato la reazione dell’Iran, con attacchi subito alle sedi diplomatiche saudite, ma che potrebbe travalicare nella rappresaglia militare.

Che il radicalismo islamico di tipo terrorista possa fare breccia in Arabia Saudita è da escludere. Diverso è il problema internazionale: Iran e Arabia Saudita si confrontano da quasi mezzo secolo. Da ultimo anche con gli eserciti, nello Yemen, seppure non a contatto diretto. La tensione acuta tra i due paesi senza nessun motivo ragionevole è parte cospicua della elevata volatilità della regione. Ed è la causa principale della lenta, poco efficace, reazione all’Is in Iraq e in Siria. Tra i paesi leader delle due confessioni islamiche maggiori e reciprocamente ostili, che si apprestano a diventare potenze nucleari. L’Iran al termine dell’accordo decennale sottoscritto con gli Usa, l’Arabia Saudita per procura, potendo disporre della bomba pakistana. 

Erdogan in libertà vigilata

Sostenuto dalla Germania, avversato dalla Russia, in freddo con gli Usa, Israele e la Nato, Erdogan si tiene su con la guerra ai curdi. Solo con la guerra: è come un condannato, o un sorvegliato speciale, con la condizionale. Le forze armate, che per molto meno vent’anni fa forzarono l’evizione del suo predecessore Erbakan, il primo capo di governo turco dei Fratelli Mussulmani, sono in attesa – si direbbe in agguato.
A conclusione della crisi siro-irachena, dove si gioca oggi, alle frontiere turche, con l’assenza cospicua della Turchia, e terminato il “lavoro” nel Curdistan iracheno, l’affondo militare contro la guerriglia, Erdogan potrebbe dover pagare il conto. Che intanto si accumula, tutto a debito: il passo indietro imposto alla democrazia elettorale e alla libertà d’espressione, l’abuso della polizia segreta, l’isolamento in politica estera nello schieramento occidentale, non bilanciato dai contatti con le monarchie arabe del Golfo. Il progetto di riforma del regime, nel senso di un presidenzialismo senza contrappesi, potrebbe essere la pietra d’inciampo.
Il presidente turco ha perduto di colpo, dopo la vittoria elettorale appena un paio di mesi fa, il capitale politico che aveva accumulato in vent’anni. Da sindaco popolare di Istanbul per il partito di Erbakan, poi da vittima di una esecuzione giudiziaria quando Erbakan cadde in disgrazia, con una breve carcerazione e un processo senza fondamento, e una serie di elezioni vinte. Mentre alcuni eventi ricalcano quelli che portarono alla rovina di Erbakan. In particolare gli attentati non chiari, anche a Istanbul, contro i civili curdi. Allora imputati a una fantomatica organizzazione Hezbollah, che si suppose costituita da elementi radicali islamici manovrati da infiltrati dei servizi segreti.   

Core de papa

Roma senza papa è profezia d’autore che non si è avverata. Roma ha ben un papa, anche se venuto dalla fine del mondo. Che l’ha incarognita in due anni all’inverosimile. In parte, non in tutto - non tutto a Roma può il papa. Ma molto.
A Roma il papa Bergoglio rimprovera periodicamente ogni pestilenza, che però lui stesso diffonde. Uno che forse non ha capito, o forse capisce troppo. Nessun papa ha rimproverato a Roma tutti i mali del mondo – a che fine? Nessun papa ha licenziato un sindaco. Uno che si professava credente e praticante, ma aveva avallato i matrimoni omosessuali. E gli affari, che questo papato perpetua, in linea con l’ultimo periodo, debole, di papa Ratzinger?
È questa la vera pestilenza di Roma – Mafia Capitale è una briciola: la corruzione è, all’80, al 90 per cento?, nella sanità e l’edilizia degli speculatori. I conventi romani trasformati in mostruosità abitative, con licenze chiavi in mano agli speculatori, che si portano acquirenti o affittuari (leasing novantennale). Secondo un modulo uguale in diecine, ormai, di casi: subito si abbattono gli alberi, i vicini protestano, i vigili fermano i lavori, ma tutto è in ordine, il Vicariato fa le cose per bene, i lavori riprendono, e le cubature si moltiplicano, in ampiezza e altezza, ben oltre il 20 per cento della licenza berlusconiana.
Della sanità la corruzione è incalcolabile, della sanità privata convenzionata. Col debole Ratzinger si sono presi il San Raffaele di Milano e avevano puntato l’Idi e il Fatebenefratelli a Roma. Con Bergoglio insistono sul Fatebenefratelli e puntano il Bambino Gesù. Questo si è fatto e si fa menando fendenti in curia. Che Bergoglio ha agevolato – innocente? Basterebbe l’“invenzione “di Bertone, il cardinale segretario di Stato che fece diga contro l’assalto affarista, perdendo a Milano, vincendo a Roma. Bisognava eliminarlo e ha provveduto Francesca Immacolata Chaouqui, con dossier e libri inventati, una spregiudicata imposta dal papa.

Vita intensa degli esclusi

La vita intensa di tre non-vite, di tre generaazioni, escluse dalla malattia, dalla legge, dal disamore. In una stagione perenne di ciliegi in fiore che il vento spoglia, o della caducità della bellezza. Un apologo come una tranche-de-vie, vissuta come in presa diretta, sul reale.
La filmmaker Naomi Kawase, premiata per le riprese a Cannes, ricrea il mondo sconfinato della sofferenza, e della comunanza di anime, in uno spazio ristretto di una metropoli rumorosa e sorda, un chiosco per dorayaki, le firittelle ripiene di an, la marmellata di fagioli rossi – “An” è il titolo originale. Un capolavoro di semplicità.
Naomi Kawase, Le ricette della signora Toku

venerdì 1 gennaio 2016

Secondi pensieri - (245)

zeulig

Antropocentrismo – Si fanno ricerche di nuovi mondi extra terrestri, o di altri mondi terrestri, con gli studi di Psicologia Animale (e perché non Botanica?), tornando alla casella base sconsolati con l’avvertenza che si tratta comunque di antropocentrismo. L’uomo non può fare a meno di se stesso. Non possiamo ricercare con modelli che non abbiamo formulato.
La ricerca di un Mondo Altro non è più fantascienza, è un sentimento. Non comune, ma diffuso. Ma anche questa non è antropocentrismo? È follia, necrofilia, autoannientamento per la parte nota, l’Altro e Diverso restando confinato nell’indistinto..

Corpo – “Erano gli ani 60 e i corpi femminili avevano potere iniziatico”: l’anonimo titolista dl “Corriere della sera” sintetizza così l’illuminazione-Bildung che colpì lo scrittore Vladimiro Bottone adolescente vedendo Brigitte Bardot tuffarsi dalla barca in mare a Capri.nl giugno del 1963. La (successiva) liberazione dei corpi è una dematerializzazione, di spiriti vaganti-vacanti. Il corpo non si affloscia, come il santo Bartolomeo, anzi prospera e si esibisce, ma è inerrte.

Guerra civile – Ritorna col terrorismo diffuso, nelle capitali europee, a opera di immigrati ma di seconda o terza generazione. Tutto pur di non dirlaa guerra? Però, è vero che la guerra è guerra civile se non ci sono più Stati e Nazioni, non più confini, usi, linguaggi distinti, non più mentalità, passioni condivise e quindi in qualche misura esclusive. Come si potrebbe supporre oggi della globalizzazione. O più precisamente dell’Europa nella globalizzazione,. Dopo settant’anni di pace, che non ebbe mai nella sua storia.
La guerra è allora interna, civile, seppure su scala mondiale, perché tra umani, come voleva Hannah Arendt, “Sulla rivoluzione”, che la seconda guerra mondiale propone di considerare “una forma di guerra civile che abbraccia la terra intera”. Nonché, pour cause, il tardo Carl Schmitt della “Teoria del partigiano”, che l’idea patrocinava nella riabilitazione postnazista e nel riarmo morale contro il sovietismo.
Oppure si può dirla “civile” al modo di Platone, e Aristotele, che la sperimentavano endemica a Atene e dintorni, e la teorizzavano come dinamica familiare, di soggetti che si combattono ma al fine e con l’intento di riconciliarsi e non di distruggersi. L’Orestiade per esempio – temibile “famiglia”, gli Atridi? Giulietta e Romeo. Ma allora non per fini buoni, né per caso: come un destino.
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Si procede nella concezione hobbesiana – sottostante anche alla lettura che si rifà ora della grecità – della vita associata come guerra. Ma allora della vita in se stessa, come insoddisfazione e critica. Un approccio poco produttivo: vivono meglio e prosperano le collettività connesse, unitarie, tenute più spesso dalla proiezione sterna che si chiama imperialismo – Atene imperialista, Roma, la Spagna di Carlo V, l’Inghilterra della regina Vittoria, gli Usa.
E forse solo è solo espediente alla vita in pace con se stessi. Della guerra come stato d’eccezione, o vincolo esterno, uno stimolo alla difesa  (continuità, riproduzione). Che infatti si affievolisce nella “pace pacifica” (ora in Europa) e nella guerra interminabile – la guerra deve avere uno scopo e una fine.  

Nicole Loreaux, studiosa della “guerra civile” di Platone come guerra familiare, pone la dialettica tra oikos e polis, famiglia e politica. Meglio andrebbe detto tra privato e pubblico, una terza deriva incrociata delle due esperienze a loro volta conflittuali. E meglio ancora si potrebbe, nella dialettica privato-pubblico, proporre il caso italiano, di commistione invece che di opposizione. Di cui è l’esito la familiarizzazione della sfera politica, o privatizzazione del pubblico – la corruzione. Con l’alto tasso di ingovernabilità e litigiosità esito dell’indebolimento della funzione pubblica. Un caso che è l’effetto di una concatenazione storica varia: il patrimonialismo postrisorgimentale, l’ideologizzazione tra le due guerre, il confessionalismo postbellico, da ultimo la caduta delle illusioni - storia ormai di trent’anni, ma coperta dal giustizialismo fasciocomunista, invece che esaminata (suto)criticamente.
Una commistione di privato e pubblico, il caso italiano, analoga alla dialettica schmittiana Amico\Nemico. Con la singolare ipostatizzazione di “Bruxelles” come decisore esterno e occulto,  invadente, risolutivo.

Si cancella la guerra lasciando inesplorato l’ombrello atomico, la minaccia del fungo sterminatore o guerra d’annientamento. Dopo il “deterrente” più nulla si cogita attorno alla Bomba. Mentre si moltiplica la proliferazione, in una sorta di equilibrio dei “patrocini” – un gruppo di potenze per Israele, un gruppo per il Pakistan, etc.

Il concetto di unità nella globalizzazione è incauto – per molti aspetti truffaldino. Come del resto quello ieri invadente di rivoluzione, che tradì l’acume di Hannah Arendt, la sua guerra civile universale è molto contingente, e un equivoco. Agamben ne fa un trait-d’union con la sua ipotesi di guerra contemporanea come terrorismo, o del terrorismo come l’eterna guerra civile, tesi e antitesi insieme, della storia. Ma allora – non è vero, ammesso che sia vero – della storia “occidentale”, della linea grecità-latinità-cristianità-Europa.
   
Kant – Pone i problemi morali - tra essi il famoso “Su un preteso diritto di mentire per umanità che subito gli venne contestato da Constant – sul piano logico. Sono problemi irresolubili per questo: falsi problemi. L’etica non opera per funzioni logiche – lo ha fatto, ma nella sofistica. Woody Allen che si è posto il problema come già Constant nel suo ultimo film, deve finirlo – il film, l’aneddoto e il personaggio – in modo incongruo, il genere chi la fa l’aspetti, chi di spada ferisce di spada perisce.

Machiavelli – È di Machiavelli in effetti il problema di Kant, “Su un preteso diritto di mentire per umanità”. Come lo svolge Woody Allen in “Irrational Man”, ma anche lo stesso Kant nella polemica con Constant.
Perché non si fa il precedente di Machiavelli nella discussione sul problema di Kant? Questo non è un problema filosofico, ma di storia della filosofia sì, e di cultura filosofica – quindi, in fondo, di filosofia?

Nazione – È in disgrazia e in dissolvenza. Come le nascite in demografia – nazione è nascere. Nella devitalizzazione della vita, a “meccanismo” Tra i tanti

Pace – È meno risolutiva (creativa) della guerra. Le grandi paci creative, di Pericle, di Augusto, erano di carattere e ordine imperialistico, dominatrici. Lo stesso della pax americana, che soffre quando l’imperialismo è contestato.
Pax irenica è quella europea odierna: una pace pacifica, di diritto e di fatto, di rinuncia alla guerra. Un pace implosiva – mirata all’interno da cu proviene, al buon diritto o alla buona coscienza. Distruttrice, sia pure per erosione, e non creatrice.

Popolo – È alto e basso, grasso e minuto, plebe e moltitudine, popolazione e popolo, ma non è il fondamento della tradizione politica occidentale: demos, il suo referente nella tradizione classica, è plethos, la moltitudine. Non c’è nemmeno nei Vangeli.
È concetto romantico - Heidegger compreso e il nazismo: di rifiuto sostanzialmente di Hobbes e la filosofia politica. Arginato e corretto nella dinamica marxista, così come nella concezione (ideologia) liberale. Non c’è in Machiavelli né in Rousseau, c’è in Hobbes con difficoltà – commonwealth è preferito, più significativo.

zeulig@antiit.eu 

L’anima in corpo

Prose emerse dal lascito, scelte da Claudia Ciardi. Ricordi di un’infanzia felice, benché da sorella brutta tre le belle e corteggiate, non invidiosa. Con una madre infervorata di Napoleone. E un padre perso tra le dalie e le viole, e la “signorile rosa pendula”. Dell’infanzia innocente, quando ancora si poteva. Riveduta con innocenza, seppure in condizioni già difficili, con Hitler alle porte, e anzi disperate – una di quei tedeschi solidi, benché ebrei, che non calcolavano Hitler.
Scritture impressioniste, benché la scrittrice fosse legata a “Sturm”, la rivista-gruppo espressionista. Applicata e elegiaca più che pugnace e aggressiva – più vicina al Cavaliere Azzurro di Kandinskij e Franz Marc, il suo fedele amico, il primo quadro senza figure, senza fiori né cosce di modella, l’essenzialità della visione, che si dispiegava nella minuscola casa dei Russi a Murnau, sulla strada allora per la Lombardia, nella muta compagnia di Gabriele Munter, che è una donna. Svanita oggi, la parola non è il pennello. Eccetto che per la prosa centrale, il “Concerto” del titolo, che sarebbe anzi manifesto appropriato della nuova ecologia. Una novità e un approccio anch’esso felice: “Il mondo è Pasqua!”, resurrezione continua. Da “innamorata del mondo”, ma non senza ragioni: “Il mondo fin dall’inizio è tutto intento a guardare dentro le cose create, a ogni foglia, sassolino, goccia d’acqua e al più piccolo granello di sabbia della spiaggia”. Che si vede, però, solo con occhio nudo. Di quello a cui Dio una volta è ricorso in sogno, e gli ha chiesto: “Ti piace il mio mondo? Ebbene, voglio regalartelo!”. Sulla base di una verità semplice: “Il divenire del corpo dimostra la presenza dell’anima”.
Else Lasker-Schüler, Concerto, Via del Vento, pp. 33 € 4 …

giovedì 31 dicembre 2015

Il mondo com'è (244)

astolfo

Eurasia – La Banca per gli investimenti in infrastrutture asiatica. Biia, ha aperto a Pechino, in Financial Street, a Natale. Il progetto russo-cinese di Eurasia prende corpo. In due anni da la lancio della banca, la Biia ha raccolto l’adesione di 57 paesi, tra essi l’Italia. In primavera sarà operativa e a fine 2016 potrebbe aver finanziato progetti già in attesa per 15 miliardi di dollari.
La Cna ha sottoscritto il 30 per cento del capitale e si assumerà la gestione della Biia. L’India ha l’8 percento, la Russia il 6. Gli altri 54 paesi hanno quote tra lo 0,5 e il 3 per cento (l’Italia sottoscrive per il 2,6). La Biia è parte del progetto che in Cina prende il nome di “Una cintura, una strada”, e si riallaccia all’antica via della Seta, il collegamento terrestre fra l’Europa e il Pacifico. L’intento è di collegare la Cina all’Europa attraverso una rete nuova di comunicazioni terrestri, in aggiunta a quella marittima e a quella aerea. La Biia finanzierà soprattutto autostrade, ferrovie veloci, telecomunicazioni, parchi industriali, fino alla Russia attraverso il Kazakistan.

Guerre civili - Mille anni fa si consumava una storia a più scomparti che sembra una proiezione all’indietro dell’attualità: una guerra “mediorientale” spietata, una Macedonia poco greca, l’Ucraina convertita, un tentativo tedesco fallito di unificare l’Europa, la renovatio vaticana.
Il 4 ottobre 1014 Basilio II, l’imperatore più longevo della storia di Bisanzio (governò cinquant’anni), sconfisse i bulgari della Macedonia greca. Ne era stato sconfitto vent’anni prima - il Nord dell’attuale Grecia, di cui Atene rivendica la privativa, anche del nome, nella contesa con la Macedonia indipendente, era allora relativamente antigreco. Quando riuscì infine a sconfiggerli, con l’aiuto risolutivo di cinquemila guerrieri variaghi del re ucraino Vladimiro, fu cattivissimo. Fece accecare tutti i 14 mila bulgari (macedoni) prigionieri, e li mandò in colonna, a centurie, ognuna condotta da un prigioniero cui aveva fatto cavare un solo occhio, al loro re Samuele, che intanto era riparato in una fortezza sui laghi Prespa. La visione dei ciechi in colonna portò a morte Samuele, impazzito, due giorni dopo.
Tra le due guerre bulgare, Basilio dovette fare campagna a Est, per prevenire la capitolazione delle province orientali – oggi turche - nelle mani degli insorti e invasori mussulmani dalla Siria. Sconfitti i bizantini a Oronte, i Fatimidi assediavano Aleppo. Basilio II li sconfisse a sua volta, e riuscì a liberare Aleppo – che sarà poi islamizzata, ora è in Siria, come tutta la Grecia asiatica.
Vladimiro, che entrerà nella storia ortodossa e russa come santo, cercava per l’Ucraina una religione confacente. È il re che aveva mandato a sentire i saggi dei tre monoteismi, e non aveva apprezzato né quello ebraico né quello islamico. Su quello cristiano era perplesso, ma infine optò per la versione ortodossa. In alleanza con Basilio II. Al quale chiese in sposa, ottenendola, la sorella Anna, per cementare la conversione del suo popolo. Gli emissari di Vladimiro a Bisanzio erano rimasti incantati dalla cerimonie a Santa Sofia, e questo aveva convinto Vladimiro.
Basilio II, già detto a Bisanzio l’Eguale degli Apostoli, come quello che aveva rinnovato le prime glorie della vera fede, resterà poi nella storia come il Bulgaroctono, il massacratore di bulgari – in realtà di greci (macedoni). Basilio era il figlio della madre, Teofane. Rimasto orfano a cinque anni, Teofane ne aveva protetto la successione sposando il generale più alto in carica, Niceforo II Foca, che impegnò, in quanto imperatore, a difendere gli interessi dei legittimi eredi, i suoi figli Basilio e Costantino. Sei anni dopo Teofane fece uccidere Niceforo e portò al trono il suo amante, il generale Giovanni Zimisce. Che però il patriarca si rifiutò di incoronare se non avesse punito Teofane con l’esilio. A diciott’anni, nel 976, Basilio fu incoronato imperatore, e Teofane ritornò. Era di stirpe macedone anche lui, anzi della famiglia propriamente detta dei Macedoni: Basilio I detto il Macedone aveva preso il potere nell’anno 867, assassinando l’imperatore in carica Michele III, detto l’Ubriaco.
Nell’orbita di Basilio avrebbe dovuto entrare anche il sacro-romano impero d’Occidente – o viveversa. Il disegno di Basilio era di riprendersi Roma partendo dalla Sicilia araba, e dalla riconquistata Calabria.  L’imperatore d’Occidente Ottone III, nel disegno inverso, sembrò venirgli incontro. Nel 996 Ottone mandò un’ambasceria a Basilio per chiedere in sposa una principessa bizantina, essendo egli stesso figlio di una principessa orientale. Basilio gli mandò pronto una nipote. Che però non fece l’atteso erede, morì subito dopo le nozze. Dopo i mesi del lutto, Ottone III mandò a chiedere un’altra sposa.  Basilio lo accontentò con “la più splendida”, dicono i cronisti, delle sue nipoti, Zoe. Ma quando Zoe arrivò a Bari, Ottone era morto. È un destino che non si doveva compire.
Ottone III, che fu re a tre anni di Germania e Italia, eletto a Verona, e imperatore a sedici, orfano cresciuto dalle donne, la madre Teofane, bizantina, la nonna Adelaide, la zia Matilde, badessa di Quedlinburg, tentò la renovatio romana, cui Gerberto d’Aurillac lo spronava, la resurrezione di Roma, impero d’Oriente compreso. Si fece coronare imperatore dal cugino Bruno, figlio di Ottone di Carinzia, che egli stesso aveva eletto papa, il primo papa tedesco di Germania, Gregorio V. Ma nell’insensibile Roma esaurì presto ogni energia. Morì ventunenne, estenuato dal morbus italicus che potrebbe essere stato un veleno, a Castel Paterno alle falde del Soratte, presso Civita Castellana, dove il rudere della sua tomba giace sommerso dagli sterpi.
È di Gerberto, che Ottone fece papa alla morte di Gregorio col nome di Silvestro II, dal Silvestro inventore della donazione di Costantino, l’idea dell’impero restaurato sotto la chiesa. Papa francese, detto di Reims, dalla corte del vescovo Adalberone, di cui aveva diretto la scuola, o d’Aurillac. Anche Silvestro II durerà poco, quattro anni, ma è il papa dell’anno Mille, cui la chiesa deve la costituzione che ancora la governa.
Ottone III, l’Ottone dell’anno Mille, fu detto il Sassone, mentre egli voleva essere Saxonicus, dice Thomas Mann nel romanzo della Colpa, “Doktor Faustus”, al modo di Scipione l’Africano: come quello che ha soggiogato la Sassonia, da cui peraltro veniva. Come il padre Ottone e il nonno Ottone, il primo re d’Italia - la Sassonia malgrado tutto voleva bene a Roma: i primi sassoni nell’Urbe, atletici prigionieri di Onorio, destinati all’arena, preferirono per la vergogna strangolarsi prima l’un l’altro.

Mani Pulite – Erano di Ponzio Pilato.

Occidente - È una storia e un concetto e più che una geografia. Della storia “occidentale”. Non in senso geografico ma, appunto, storiografico, di una forma culturale in una certa epoca, nella linea grecità-latinità-cristianità-Europa: una storia di tremila anni – non più lunga di quella dei faraoni d’Egitto.

astolfo@antiit.eu 

L’amore “fero” tra Dante e Guido

Una promozione in edicola con una collana di Storia della letteratura, sembra un miraggio. Ma è l’iniziativa del “Corriere della sera”, che si accompagnerà ogni settimana a un volume, per trenta settimane. Questo primo è di Enrico Malato, direttore della collana, nonché editore di classici con la Salerno Editrice, cui si devono i diritti dello pera.
Malato, studioso esperto di Dante, ritraccia gli studi su Dante e Guido Cavalcanti, dall’amicizia strettissima alla rottura polemica, con i quali ha riaperto venticinque anni fa un fecondo nuovo ciclo di studi danteschi. La lite figurando per gelosie di filologi-filosofi, più che di uomini, attorno al concetto di amore. Guido ripropose le tesi di Andrea Cappellano, che la chiesa aveva condannato nel 1277. Con la polemica canzone “Donna me prega”, successiva alla “Vita nuova” di cui pure era dedicatario, e in polemica con essa. Che subito, al secondo verso, dichiara l’amore “un accidente – che sovente – è fero”. Niente di più lontano dalla virtù di paradiso.
La contestazione Dante recepirà, facendo parlare Francesca. Ma forse ha ragione Malato: Francesca, che tanto commuove, è ben all’inferno. Beh, un altro caso inimmaginabile di realtà: la chiesa che condanna le tesi sull’amore; due amici fraterni che litigano per la vita su una questione teorica – in cui entrambi avevano ragione; tanti studiosi che si accapigliano su Dante e Guido, sul possibile motivo del litigio (ma ci fu?). Ci sarà un giorno una querelle sulla passione filologica, di che natura è.
Enrico Malato, Dante, Corriere della sera, pp. 475 € 1,90

mercoledì 30 dicembre 2015

Il gigantismo non paga, dismissioni

Dai “mergers & acquisitions” si torna agli scorpori? Dal gigantismo e le economie di scala al  piccolo e bello della qualità e l’efficienza? Studi e banche d’affari sono in fibrillazione per la nuova stagione che si annuncia: nuove filosofie si preparano, l’ambiente si sta rapidamente ricostituendo con gli scandali, l’altalena costante nel mondo delle consulenze dice che è il momento di “innovare”, cioè di cambiare, la tela di Penelope degli affari prende una nuova arricciatura.
Le grandi e grandissime banche non vanno più, dismettono – marchi, quote, sportelli. E anche i grandi gruppi industriali. Prima la Volkswagen. Ora la Toyota, che a VW contesta il primato del gigantismo. E non se la passa bene nemmeno General Motors, il gigante detronizzato da VW e Toyota – Marchionne è per questo aggressivo con la casa di Detroit, sta sulle spoglie. Dismissione è la parola d’ordine.
Volkswagen, che si era portata acquirente di tutti i marchi famosi, compresa Alfa Romeo, potrebbe dover vendere Audi. Mercedes, che per vent’anni, da quando si voleva comprare la Fiat, ha tentato l’ inserimento nei segmenti B e C del mercato, le cilindrate medio-piccole, si riconcentra sulle cilindrate robuste – dopo aver tagliato la diversificazione nella finanza. Toyota, declassata a titolo spazzatura per i conti a lungo falsi, si riconcentra chiudendo impianti – il gruppo giapponese non aveva diversificato i marchi.
Oltre che nelle banche e nell’auto, il ridimensionamento si annuncia anche nella tv e nel lusso. Qui per il necessario ridimensionamento dei principati della penisola arabica, dopo il calo del petrolio. Nella tv, Murdoch punta a crescere negli Usa, monetizzando le società europee di Sky. Per ora in Gran Bretagna, ma anche le attività in Germania e in Italia sono teoricamente in vendita. Restano fuori dal mercato delle dismissioni, per ora, solo in grandi gruppi commerciali.
Dopo l’epoca del gigantismo, tornerà quella del piccolo è bello? È un’altalena ciclica. Con pochi o nulli effetti sui mercati e sull’occupazione. Più che un cambiamento epocale, o di filosofia, o di ideologia, è il fatto delle banche e gli studi professionali d’affari. Che il movimento agitano ora in un senso – con tanto di carte a corredo – ora nell’altro – sempre con carte di evidenza.

La riscossa dell’inglese partì dall’Irlanda

Una sorpresa per il lettore italiano, questi due racconti in traduzione e in originale, dalla raccolta dei “Dubliners”. Su tempi e ambienti non simpatici a Joyce: lo svuotamento dell’irredentismo irlandese nella politica mestierante, e il distacco della vita ordinata di provincia da quella urbana, attiva e creativa. Ma affrontati con piglio innovativo. Col dialogato nel “Il giorno dell’edera”, e in “Una piccola nuvola” col discorso libero indiretto. Con un forte stacco stilistico, molto prima di Pound, Parigi, e l’“Ulisse”.
In queste storie dei primi del Novecento, in queste due come nelle altre dei “Dubliners”, compresa la più celebre, “I morti”, c’è il rinnovamento radicale della prosa inglese – aveva visto bene Ezra Pound, “segretario” dell’innovatore poetico, Yeats, altro irlandese. Ben prima di Gertrude Stein, e quindi di Hemingway.
Anche la versione italiana innova, pur limitandosi a seguire l’originale. Rispetto a quella ancora in uso di Attilio Brilli per Longanesi, poi passata nei Pocket e ora negli Oscar Mondadori. Maria Chiara Piccolo, che ha rifatto la traduzione e la presenta, integra l’edizioncina con buonissime note, su luoghi, nomi, personaggi, parole desuete o idiomatiche.  
James Joyce, A little cloud, Ivy Day, La biblioyteca di Repubblica-l’Espresso, pp. 95 € 2,90

martedì 29 dicembre 2015

Ombre - 298

“Ho un appartamento ammobiliato, con cucina completa di tutto, due bagni e tre camere, non pago affitto, né elettricità né acqua…”. Questo è il sogno realizzato di Karima, terrorista francese dell’Is, moglie di uno dei kamikaze della strage di Parigi: lo confida alle amiche via facebook. Nella guerra civile in Siria, coi cadaveri accanto e le famiglie in fuga in cenci. Lavorando al jihad, alla guerra santa.

“Dure critiche all’Italia” in prima oggi sul “Corriere della sera da parte della Ue. Che poi si rivela essere tre economisti della Ue. Tre funzionari. Pensare che “Le Monde” pubblichi in prima pagina le dure critiche di tre funzionari alla Francia, o la “Frankfurter” alla Germania, invece è impensabile.

Con rinvii, sospensioni, e sospensioni di sospensioni, i giudici salvano il presidente della Regione Campania De Luca. I giudici napoletani. Lo salvano dalla legge Severino, altra legge napoletana, inflessibile. Come il giudice napoletano di Berlusconi in Cassazione. Poi si dice che a Napoli non c’è moralità.

Nessun dubbio che il Procuratore di Arezzo che (non) indaga su Banca Etruria sarebbe stato confermato dal Csm, con patenti di nobiltà: sono della stessa corrente dello stesso partito, Rossi, i commissari del Csm, Boschi e Renzi. Ma pensare che per molto meno – molti meno soldi e niente truffe - si è fatto a Roma Mafia Capitale.
Certo, Boschi non è Buzzi : delinquenti si nasce.

Santino di Federico Fubini sul “Corriere della sera” in onore di Marghrete Vestagen: la commissaria danese alla Concorrenza è madre di tre figli, lavora all’uncinetto, è religiosa, ed è inflessibile. Chissà come ci è arrivata lì, questa curiosità è rimasta insoddisfatta.

Vestager è inflessibile con le società americane, Google, Apple, Starbucks, Amazon. Anche con la russa Gazprom – ma, Fubini va integrato, non per il gasdotto Nord Stream, quello è tedesco anche se il gas è Gazprom. E quando ha tempo libero anche con le aziende italiane: la Fiat, l’Ilva e le banche. Esemplare.

Renzi fa un’elemosina a tutti nel 2016. Così dice, poi vedremo – i 500 euro ai diciottenni per andare al cinema, e votare Pd alle comunali, per esempio, non hanno smosso le folle. Curioso laurismo 2.0. A opera di un presidente del consiglio che ha quarant’anni ma parla e posa a bulletto.

Si fanno simulazioni sull’Italicum, apparentemente per dire che non garantisce la governabilità. Se Renzi non vince al primo turno, argomenta il sondaggista Pagnoncelli, al secondo perderebbe, contro Grillo o Berlusconi. E come? Accreditando a Berlusconi o a Grillo un 30 per cento al primo turno. Percentuale che i due nemmeno si sognano. Tutto per portare gli elettori Pd alle urne.

Piazza Navona, da sempre dopo l’Avvento piazza natalizia dei romani,  con le bancarelle del Natale e della Befana, un rito, è stata svuotata quest’anno d’imperio. Su sollecitazione delle cronache romane laicizzate, per non urtare i mussulmani, etc., il buon prefetto Tronca, buon credente, ci ha messo al loro posto quattro bancarelle da luna park, col tirassegno, a cui nessuno tira. I sacrestani meglio in sacrestia?

Fiorella Mannoia lancia un tweet: “Perché non vado al concertone di Capodanno a Roma?” Già, perché Mannoia non ci va? Il dibattito si accende. È stato il papa a non volerla. No, al papa non je po’ frega’ de meno. È stato Renzi. Sono i toscani che vogliono il monopolio, Renzi, Panariello, Pieraccioni, Conti. Magari è vero. Ma perché Mannoia deve andare al concerto di Capodanno a Roma, lei e non  gli altro cento o duecento nomi della canzone italiana?

Subito naturalmente interviene Grillo, per dire che Mannoia ci dev’essere. E l’opera si compie: al secondo giorno altre paginate. Mai Mannoia ha avuto tanta pubblicità, gratuita.

Ma non è finita, perché Fiorella ci ripensa e twitta: ma io al concertone non ci voglio andare. Terzo giorno di paginoni – che è oggi. E domani?

La matura dottoranda libica a Palermo che flirtava con l’Is ha una borsa dell’università della capitale sicula. Grazie alla quale spediva bonifici in patria, oltre a mantenersi in città. Poi dice che l’università italiana ha le pezze al sedere.

Il presidente della Repubblica ammonisce: “Tra le varie istituzioni si registra talvolta competizione e questo genera sfiducia”. Che si traduce: non disturbate il manovratore, l’accoppiata Renzi-Cantone - Renzi e la sua ombra.

Si pubblicano le relazioni di Banca d’Italia sulle banche fallite, e si scopre che i consiglieri d’amministrazione  che l’istituto ha chiesto di allontanare due anni fa sono stati riciclati ottimamente. Claudia Bugno, precaria della Pubblica Amministrazione, è stata nominata a Roma addirittura a capo della candidatura di Roma all’Olimpiade 2024.

“Panorama” conta venti carriere eccellenti tra i partecipanti alla Leopolda. Carriere non politiche: come minimo un posto in consiglio al’Eni, all’Enel, ovunque, con molti soldi, molto potere, e molto tempo libero.

Antonio Rossitto racconta su “Panorama” una storia che sembra inverosimile. Renzi ha avuto tre mutui a Firenze in pochi anni, per 800 mila euro. Di cui due sullo stesso immobile, che in Italia non si fa – le ipoteche di secondo e terzo grado, in uso negli Usa come leva finanziaria per speculazioni, viaggi, acquisti, sono state la mina della Grande Crisi, i mutui subprime.

Non è il solo miracolo. Renzi pagava tre rate mensili per complessivi 4.300 euro, con entrate, sue e della moglie fino al 2014, di 5.000 euro. Anche questo è eccezionale: nessuna banca dà un mutuo con rateo superiore alla metà delle entrate mensili.

Ma il miracolo fiorentino ha forse una spiegazione. I mutui sono con la stessa banca. Anche questa è un’eccezione, ma dirigente della banca, la Cassa di risparmio di Firenze, era un cugino primo del babbo di Renzi, detto zio in famiglia, affettuoso.

Si ride di Bertone che fa una donazione al Bambino Gesù, l’ospedale del Vaticano, pretendendo che sia una gratuità e non una riparazione – per le sconcezze che Francesca Immacolata Chaouqui per conto del papa ha fatto scrivere. Ma non si dice la verità della storia: che il Vaticano si deve disfare del Bambino Gesù, a favore della famiglia Miraglia, o del gruppo  Garofalo. Una “privatizzazione” a cui Chaouqui lavorava – per conto di intermediari terzi.

Bertone ha già pagato caro la “privatizzazione” a sconto del San Raffaele di Milano, struttura d’avanguardia, alla quale si era opposto. La Procura di Milano ha espropriato gli ambienti vaticani raccolti attorno a don Verzé con una procedura fasulla, a favore della famiglia Rotelli, proprietaria pro tempore del “Corriere della sera”. Nella sanità, in effetti, ci sono troppi soldi. Una mangiatoia non natalizia ma spudorata. 

Troppa grazia, la messa è finita

Per molto meno - “non poteva non sapere” - hanno distrutto partiti, carriere e persone, e hanno divelto le istituzioni. Per molto di più, l’abuso dei risparmi di gente comune, non indagano e anzi assolvono preventivamente. È successo al Consiglio superiore della magistratura, che è presieduto dal presidente della Repubblica, e il fatto è ancora più grave, il presidente essendo impegnato a disinnescare una commissione parlamentare d’inchiesta su Banca Etruria, dove gli abusi si sono dolosamente consumati. Una prova di forza. E un errore politico?
La prova di forza è nel sarcasmo con cui la richiesta di sanzione a carico di Rossi è stata respinta dal Csm. Il Procuratore di Arezzo Rossi, titolare dell’indagine su Banca Etruria, è amico dei Boschi e consulente di Renzi a palazzo Chigi – nella persona del suo capo dipartimento affari giuridici, Antonella Manzione, ex capo dei vigili urbani di Pietrasanta. L’incompatibilità tra questi rapporti e l’inchiesta Etruria è evidente, ma non per il Csm. Perché, ha detto il presidente della Commissione referente Renato Balduzzi: “Rossi ha assicurato che nessun parente del ministro è indagato”. Che è invece il vulnus dell’operato di Rossi, la mancata indagine sul consiglio d’amministrazione della banca.
Poiché Balduzzi è anche lui ex democristiano, si può pensare a un caso di strafottenza confessionale. Sicuramente è un caso di potere manifesto e anzi esibito, contro il quale saranno inevitabili contraccolpi, per quanto cieca o acquisita possa essere l’opposizione, fuori e dentro il Pd, il partito di Boschi e di Renzi. Che il Csm sia anche un organo costituzionale, super partes, questo, come si sa, non conta nulla.

Patetica viennese di Roth (Joseph)

Sono gli abbozzi e i materiali rimasti inediti, 1918-1928, nell’edizione Passigli di tre anni fa, a cura e con le note di Vittoria Schweizer. Racconti di vite non vissute per lo più, scialbe. Rassegnate. Le prove dei “vinti”, la materia in cui J.Roth eccellerà.
Il tema è dunque antico, al 1918 risalgono le prime prove narrative di un J.Roth già ventiquattrenne ma appena congedato. Qui con tracce evidenti di patetismo, un ingrediente che affinerà in dosi omeopatiche – si rifaceva in quegli anni anche la biografia, nel senso dell’orfano, povero, reietto.
Joseph Roth, Questa mattina è arrivata una lettera, Il Sole 24 Ore, pp. 79 € 0,50

lunedì 28 dicembre 2015

Renzi, Milano, la Germania, e il paese di merda

Non c’è dubbio che l’Italia debba andare con la Germania, con la quale ha il rapporto economico più stretto, e quasi una simbiosi, oltre alla vicinanza politica. Lo potrebbe anche agevolmente: la Germania è governata dai cristiano-democratici, l’Italia dal partito Democratico, ma è un Pd da qualche tempo molto democristiano. All’Italia per di più converrebbe: seguire l’esempio tedesco su come si fa politica in Europa e attraverso l’Europa. Ma ecco che Renzi attacca la Germania. Mentre il “Corriere della sera”, sostenitore di Renzi, e un po’ anche del mangiatedeschi Salvini, si professa tedescofilo. Filotedesco a priori, anche nelle cose che la Germania non fa bene, o fa male.
Federico Fubini ha gratificato i lettori l’altra settimana con una serie di interviste a tedeschi non illustri sulle cose italiane e europee, quasi autorità cadute dal cielo. Questa settimana la galleria del “famolo tedesco” la apre Danilo Taino. Che santifica invece le banche, quelle tedesche.
Non è vero che il governo tedesco ha aiutato le sue banche per 270 miliardi (duecentosettanta miliardi…). No, le ha aiutate per 144 miliardi: 64 per ricapitalizzazioni, 80 per asset relief, per liberare le banche dai crediti incagliati. Che non è poco come sembra, è il 5, 3 per cento del pil, calcola lo stesso Taino – uno sproposito.
L’Italia ha aiutato le banche solo per 7,5 miliardi - che poi si è fatti restituire, ma sorvoliamo. Ma si è limitata, insinua Taino, solo “per vincoli di bilancio”, cioè perché non aveva i soldi. Non perché Bruxelles lo impedì, e lo impedisce. E comunque, conclude Taino, non ci sono paragoni: le fidejussioni a favore delle banche, che erano salite fino a 140 miliardi in Germania, e a 86 in Italia, sono ridotte a 3 in Germania, mentre restano a 82 in Italia. Ci sono effetti, a Milano o al “Corriere della sera”, senza causa. Senza contare che l’Italia non ha potuto fare asset relief nemmeno per 80 milioni.
Renzi, ricapitolando, ha conquistato “Milano”, che il “Corriere della sera” esprime e rappresenta, che gli dedica ogni giorno numerosi robusti pistolotti. Glieli dedica anche alla campagna prenatalizia contro la Germania. Ma incensando ogni giorno la Germania più monopolista e aggressiva. Renzi fa ammuina? Il “Corriere della sera” fa l’agente provocatore? O non è sempre la “Milano” del “paese di merda”, da governare attraverso la crisi? Dovendosi tenere Renzi, “Milano” non rinuncia ad affondare l’Italia.

Abbaio dunque sono

Bilancio, immigrazione, sicurezza, Russia: all’improvviso l’Europa è diventata “centrale” anche per il governo, non più il solito vincolo esterno. E qui casca l’asino, Renzi. Di un velleitarismo, o provincialismo, sbalorditivo. Di vecchia scuola democristiana, purtroppo, e quindi da temere radicato – su altre questioni Renzi ha ottimi consulenti, su questa no. Un provincialismo che l’Italia ha sempre pagato caro, ma ora ha costi intollerabili. Ora, in questa Europa di pescicani.
Negli affari internazionali non serve baccagliare, o fare la voce grossa. La Toscana, che lo dice stigmatizzando, e il toscanissimo Renzi stranamente non si incontrano su questo terreno. Negli affari internazionali bisogna calcolare e avere modo. Mentre l’Italia si è messa – Renzi si è messo a furia di vociferazioni senza seguito - nell’angolo del ring, chi vuole può colpire.
La vera Grande Riforma sarebbe sbarazzarsi di questo assurdo provincialismo. Che riemerge inaffondabile, ora con Renzi e Mattarella. E il Vaticano non ci può più nulla, che invece si è svecchiato, e vive da tempo all’ora della scelta europea.
Ma. Se non si può reinventare la classe dirigente via confessionale, non più, perché non si potrebbe via voto? Nessuno che proponga: attenzione, l’Europa non è Salvini né Renzi, l’Europa è... Che cosa è? L’Europa è da scoprire.

L’amore ha i suoi luoghi

“La fantasticheria sfrenata delle donne sole” Colette ritrova nel suo vecchio appartamentino, ora abitato da una dattilografa che la serve occasionalmente. Suo di un’epoca – quella dell’infelice matrimonio giovanissima col traditore Willy – in cui lei stessa, nelle stesse stanze, fantasticava amaro. La stessa storia ora si ripropone, tra sortilegi e maledizioni a esito alterno: magia dei luoghi?
Colette ripercorre felice l’amore infelice, ancora doloroso a distanza di trent’anni, ancora giovane mentre va per i settanta, in una Parigi occupata di cui non si occupa e non dà traccia – il racconto è del 1940. Con leggerezza, la grazia che la conferma migliore narratrice. “Un ritorno”, dice, “al mio cattivo e affascinante tempo trascorso”, che mai è perduto. Balzacchiana sempre, per formazione, ma proustiana di gusto. Il giusto, alle memorie attenta e ai particolari - colori, forme, odori, si gira con lei per il mercatino rionale come in un sortilegio, superfici, pieghe e interstizi, intermittenze e costanze del cuore, la vita animale in più e quella alimentare, cotta e cruda - in un periodare semplice, non affettato.
Colette, Luna di pioggia, Passigli, remainders, pp. 79 € 3,75

domenica 27 dicembre 2015

Letture - 240

letterautore

Woody Allen – Si rivela gran filosofo in “Irrational Man”, film filosofico. O meglio si dichiara, filosofo lo è sempre stato, la sua comicità è filosofica – dal tempo di “questa è una vapina: riflessiva, sui Grandi Temi. Candidato all’Oscar col titolo derridiano-heideggeriano “Deconstructing Harry” vent’anni fa – “Harry a pezzi”. Ma più nei testi scritti che al cinema. La metafisica è incomprensibile ma non fa male, anzi, scriveva quasi mezzo secolo fa sul “New Yorker”, Kierkegaard ci si divertiva. E ipotizzava, sulla stessa rivista, che Schopenhauer negli ultimi anni divenne sempre più pessimista perché si accorse di non essere Mozart. Poneva cioè problemi filosofici, spaziando da Hegel a Pascal. 
Ma tutti i plot dei suoi ultimi film sono filosofici, perfino presocratici, tra misteri e tragedia greca, la serie “alimentare”, sulle città europee del turismo di massa, Londra, Parigi, Barcellona  e Roma - la sua vera celebrazione di Parigi è quella del Leipzig Anxiety Festival di qualche decennio prima, il festival della filosofica ansia.

È uno che rifà sapiente John Fante, l’iperrealismo caricatura del realismo: la straordinaria irrealtà del reale. Non realista, non del realismo, neo o vetero, italico, sovietico, lagnoso, censorio, dei migliori-di-Dio-e-del-mondo, stanchi perché sazi, nato col verismo nella Belle Époque opulenta, che s’ammanta di Verità Ultime, più spesso la rivoluzione e il bagno di sangue – dimenticato, ma in auge fino all’altro ieri. Salvando la fantasia, che il reale lega liberamente, per gioco: la letteratura.

“La prova che Dio non c’è è che le ragazze più belle sono quasi sempre le più noiose”, è estetica non male.
O la verità su Freud, che a tenerlo su è l’industria dei divani.

Germania – Ha un senso di identificazione fortissimo. Che attrae ugualmente molto, anche i più avversi, quali si potrebbero pensare gli ebrei, gli slavi, nonché i suoi nemici storici, la Francia e l’Inghilterra. Di identificazione fino alla perdita del senso critico, che pure alla filosofia tedesca si appella e di cui la Germania si fa bandiera. Non è un caso Hannah Arendt, “Sulla rivoluzione”, che la seconda guerra mondiale propone di considerare “una forma di guerra civile che abbraccia la terra intera”, piuttosto che condannare la “sua” Germania. Innesca rifiuto oppure adesione come tutto, ma in forma sempre acuta, quasi agitata, e radicale.
Le traduzioni dal tedesco si sottolineano costantemente con l’originale, anche da germanisti perfettamente bilingui, siano essi italiani che inglesi o americani o francesi o spagnoli, come di una perfezione altrimenti irraggiungibile: una dipendenza psicologica. Mentre si traduce liberamente da altre lingue, anche da quelle concettualmente (semanticamente) diverse, come il cinese e lo stesso russo, pieno di parole-concetti intraducibili, e non solamente per la sintassi e le parole composte. E con un rispetto unico per questa presunta indefinitezza del tedesco, come di un esoterismo. Ma allora confinante con la sacralità e non con la magia, che altrove e altrimenti invece indispettisce, come un trucco.
La dipendenza è specialmente forte, assoluta, per l’“esattezza” – la lingua, il prodotto, la burocrazia, le persone, l’etica del lavoro, la politica, tutto è in Germania curato, preciso, esatto. L’esattezza come sinonimo di perfezione. Che invece non c’è e non si può dare, e il tedesco stesso non ci ambisce. Come testimoniano tante fraudolenze, e la stessa filosofia tedesca, non esattamente esatta – è il suo vanto.  

Specialmente tedescofilo si può dire anzi l’ebraismo, anche dopo l’Olocausto – Hannah Arendt non è isolata. Il solo ebreo tedesco che abbia rifiutato la Germania, Gershom Scholem, è tenuto in punta di bastone e quasi per apostata, come un fuorilegge o un eretico – uno che rinuncia a un’eredità così cospicua.
A Tel Aviv e Gerusalemme, fino agli anni 1970, prima dell’immigrazione dalla Russia e dai paesi arabi che ha rivoluzionato la composizione demografica e sociale di Israele, si parlava yiddisch – e ladino - più che ebraico.

Agamben sembra attribuire gran peso, in “Stasis. La guerra civile”, al sipario “alla tedesca”, che si chiude(va) sollevandolo invece che abbassandolo. Ci vede il teatro che viene dalla terra come usava in antico, e non dal cielo. Ma, poi, dà conto di qualche incertezza - tanto più che il sipario oggi si apre orizzontalmente, da e per il centro: “Non è sicuro che sia possibile attribuire un senso a questi cambiamenti nella manovra del sipario”. 

Italiano – Il carattere Dickens assomiglia ai “fiumi di montagna” (nell’articolo “Giù con la marea”, ora nella raccolta “Guardie e ladri”), che “in Italia sono come il loro spirito nazionale: ora assai docili, ora sfrenati improvvisamente a rompere gli argini, ora di nuovo a calare”.

Incipit - Bulwer-Lytton, lo scrittore prolifico di romanzi storici, coevo e concorrente di Walter Scott, è dimenticato, tra le altre cose, perché autore di “era una notte buia e tempestosa”. Ma Dickens lo pasticcia senza infamia - “Guardie e ladri”, p. 215: “Era una notte assai buia di freddo pungente”.

Libro – Torna di carta, dicono le statistiche. Anche perché gli editori hanno soffocato l’ebook, con prezzi abnormi – benché i margini sull’ebook siano molto più ampi che su carta. Ma l’abitudine al libro pesa sempre, se la stessa Amazon apre librerie, con scaffali e pile di libri da sfogliare, materialmente - e Jeff Bezos, il padre-padrone di Amazon, il primo investimento che si è potuto permettere con gli ampi profitti lo ha fatto nella carta, comprandosi il “Washington Post”.
La diffidenza resta peraltro intatta sull’archivio: quello elettronico, qualsiasi blogger lo sa, dà poco affidamento - di reperibilità straordinaria, resta incerto per la tenuta, i supporti non durano un decennio.

Pasolini – Rifiutava da ultimo, lui nato maestro (i suoi anni felici, secondo Naldini), la scuola. Che si può rifiutare per tanti motivi. La modernità ha sradicato le masse, prima col salario, poi con la pensione, ora coi consumi. E la scuola, nata dallo stesso mito laico che alimenta il salario, la rendita e i consumi, ne è, forse senza malizia, il vettore: non rimedia alla disuguaglianza ma la riproduce. C’è sapienza, nella scuola istituzione, ancorché perversa. Ma Pasolini la rifiutava per sue mitologie autarchiche, di un mondo senza peccato e senza Dio - che non è  mai stato di nessuno, se non dei suoi sottili burattinai, che non sono le masse (è il nodo del male assoluto, del suo impossibile isolamento, o del piacere di fare il male).

O non subiva da ultimo la crisi dei cinquant’anni, ormonale? Invaso dalla pornografia, la dissoluzione in un lago di sperma, sterile. Lamentava la licenza, ma da vittima – la lamentava degli altri, ma evidentemente di se stesso, come del resto da prove narrative, il postumo “Petrolio” e altre. Vittima dell’iterazione, della compulsione a rifarlo, con chiunque, ovunque, in ogni situazione e posizione. Vittima anche della sua diversità, da intendere l’omofilia. Qui dando ragione agli omofobi, che l’omosessuale dicono sfondato e senza cuore, mentre è probabile che subisse l’incontinenza dei cinquanta, dell’età che fugge.
È impossibile amare i moralisti. Della sterilità dell’impegno si potrebbe fare un libro.

“È per l’Istinto di Conservazione\ che sono comunista”, ha ribadito in molte forme. In molte maniere opportunista – come di chi alla politica si adatta. Col modesto ma costante guardarsi allo specchio nelle occorrenze quotidiane. Agli inizi a Roma, per entrare nel cinema un giornale fascista gli è andato bene. Dove apprezzava del “Bell’Antonio” la sua propria sceneggiatura, e denigrava in quanto fascista l’ottimo autore del romanzo, Brancati. O “La dolce vita” elogiava in quanto film “decadente, provinciale, cattolico”.

Poesia – È molta, profluvia, diluvia, è facile e appaga – è il genere più praticato nell’autoeditoria. E in questo senso immortale: un bisogno di comunicazione-conservazione, di solito, la sottende. È la prima forma di espressione, già alle materne. Facile e anche troppo facile, legata al ritmo, con filastrocche, rime, ritmi, assonanze, ma anche no, a sorpresa, a caso. Spontanea e costruita. “Formativa” sempre, per contesti, linguaggi, pedagogie, siano pure “selvagge”, irriflesse.

letterautore@antiit.eu 

Siamo tutti terroristi

Per stasis, guerra civile, Platone intende, secondo Nicole Loreaux, sulla cui lettura Agamben articola il primo intervento, la pratica ateniese della litigiosità. E più in famiglia e tra famiglie, nella coppia, tra padri e figli, tra figli. Che , dice Platone, “Repubblica”, 471, “si combattono come se fossero destinati a riconciliarsi”. E questo è Hobbes, quello dell’homo homini lupus, oggetto del secondo saggio del volumetto. Si penserebbe questo Hobbes, ma è un altro: è quello del frontespizio del “Leviatano” (Agamben dopo Ginzburg, o meglio viceversa - ma sul frontespizio molti si esercitano), e della parte III dello stesso libro, che tratta della politica come teologia. Per finire col dare ragione a Carl Schmitt che la tesi ha anticipato (Agamben dopo Tronti, o viceversa). Rafforzandolo con la lettura di san Paolo – che è quella di Taubes, che Agamben non cita.
Un libro inconcludente. Collegabile a “Homo sacer”, ma come divagazione. Agamben stesso non si propone di riempire il vuoto – tentare una teoria generale della guerra civile. Si propone di analizzarne due concezioni, quella di Hobbes e quella greca, di Socrate-Platone-Aristotele. Ma poi solo su questa si attarda, e solo nella lettura di Nicole Loreaux, che la vita politica assimila a quella familiare. Un approccio, malgrado tutto, bizzarro. Concludendo, con molti salti, che il terrorismo è la nostra storia: “Non è un caso se il «terrore» ha coinciso col momento in cui la vita come tale – la nazione, cioè la nascita – diveniva il principio della sovranità. La sola forma in cui la vita come tale può essere politicizzata è l’esposizione incondizionale alla morte, cioè la vita nuda”.
Una conclusione aggiunta - i due testi che si esumano sono di due seminari a Princeton dell’ottobre 2011, subito dopo l’11 settembre? E il “terrore” che coincide con la nazione, con la sovranità, sarà quello di Robespierre? Ma la nazione era già nata. La guerra, certo, è sempre tra esseri umani, di qualsiasi nazionalità.
Più conclusivo invece l’intervento di Agamben oggi su “Le Monde”, sullo stato d’emergenza decretato in Francia contro il terrorismo – che si proroga di tre mesi in tre mesi. Sulla sospensione cioè delle procedure giudiziarie, l’applicazione della legge lasciando alla discrezionalità del potere. Una reviviscenza della “ragion di Stato”, oggi definita “Stato di sicurezza”, che equivale a una legittimazione dello Stato stesso attraverso la paura. Un ritorno allo stato “hobbesiano” che: 1) “È uno Stato di polizia”, 2) che non dà la scurezza che promette ma aggrava la paura, e 3) “depoliticizzando il cittadino, diventato in qualche modo un terrorista in potenza” - espropriandolo della politica – entra in una zona grigia e minacciosa.
Giorgio Agamben, Stasis. La guerra civile come paradigma politico. Homo sacer, II, 2, Bollati Boringhieri, pp. 74, ill. € 14