martedì 5 gennaio 2016

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (270)

Giuseppe Leuzzi

Bulwer-Lytton, scrittore prolifico di romanzi storici, coevo e concorrente di Walter Scott, oggi dimenticato, forse perché autore di “era una notte buia e tempestosa”, i suoi eroi faceva cavalieri affascinanti di Napoli o di Palermo, mentre i banditi e i demoni relegava alle foreste del Nord. Giustamente.

Nobile ipocrisia di Milano, che paga 400 euro al mese se si ospita un immigrato, cosa infattibile. Non si fa male a occupare la scena così – oppure sì? Milano è ben la capitale delle relazioni pubbliche.

“Berremo alla salute delle nostre donne nel crani dei loro amanti”, promette il brigante idealizzato da Berlioz nell’opera “Lélio”. Però, non c’era ancora la donna del Sud, grifagna e vestita di nero.

C'è la Spagna in Italia, e cioè al Sud: dal 1551 al 1700 si contano circa 1.200 traduzioni dallo spagnolo - contro 120 edizioni o poco più dall'italiano in spagnolo (Stefano Lanuzza, “Storia della lingua italiana”, p. 47).

Il frammento è in Roland Barthes molto e poco - “Barthes di Roland Barthes”, pp. 113-116: “Il frammento è come l’idea musicale di un ciclo, ogni pezzo si basta, e tuttavia non è mai altro che l’interstizio dei suoi vicini”.
A volte è l’unica espressione consentita.

Che cosa resta? Tutto quello che si è vissuto, sia pure inconsapevolmente. Che ci ha vissuto. E più lo zoccolo duro, come usava dire, delle radici.
La cosa si vede meglio in Algeria, paese diviso dall’indipendenza, con grandi numeri di emigrati forzati anche arabi. Il mondo di Camus, pensatore francese, era in Algeria, non soltanto il cuore: il linguaggio, sotto la lingua, la morale, la psicologia. O la Libia per gli “italiani di Libia”, Toti Scialoja, Valentino Parlato. La Germania per i tanti ebrei tedeschi sopravissuti all’Olocausto, che dopo hanno continuato a poetare, filosofare, rimemorare. Il luogo della nascita, l’infanzia, la prima giovinezza, le radici.

La disputa del Sud
Il Sud andrebbe rifatto come Antonello Gerbi, “La disputa del Nuovo Mondo”: immagini, idee, giudizi e pregiudizi sul “Sud”. È una metodologia realista: spiegare dall’esterno le realtà che sono fatte dall’esterno. Su un presupposto critico: dire (o rappresentare) silenziata, “occupata”, la realtà muta.

Breve storia dell’Italia Unita
Tutto si fermò con la discesa di Garibaldi. Fu fermato. Per rinnovarlo. Come farà poi Kohl con la Germania Est. Ma il rinnovamento non ci fu, i nuovi padroni erano come i vecchi e più spregiudicati.

Collaboratori di giustizia
“La polizia segreta”, un testo già famoso e poi dimenticato di Dickens, da lui pubblicato nella sua rivista “Household Words” nel 1850 (ora nella raccolta di “racconti polizieschi” “Guardie e ladri”), è un saggio sdegnato sulle polizie politiche. Ignote in Inghilterra e praticate nel continente. Specie a Napoli, di cui Dickens fa un test case - all’origine della poi famosa e decisiva indignazione di Gladstone. Basato sula propria esperienza di viaggiatore, nella capitale borbonica tra il 1844 e il 1845, di cui aveva già detto molto male nelle note di viaggio.
Il fenomeno che più lo rivolta sono i “collaboratori di giustizia”, come li chiama, le spie. Allora non pentiti, non necessariamente, ma ugualmente al soldo della polizia politica: “La loro moltitudine, ubiquità e instancabile perseveranza, le loro acute punture, li rendono peggiori di tutti gli sciami di insetti messi assieme e infinitamente più pericolosi. Si può schiacciare una vespa, affumicare una zanzara, spazzar via una formica e godere di una qualche requie… Ma il poliziotto segreto è invisibile e sempre in ascolto”. Senza i moderni sistemi di intercettazione, ma già allora onnipresenti: “Magari vi state rilassando con qualche sincero e spensierato diletto , oppure vi state abbandonando ai dolci e deliziosi sogni dell’amicizia, al mercato per strada, in salotto, al caffè, in chiesa, ed eccoli lì”, a prendere nota e accusarvi di tutto, quando sanno chi devono accusare e che cosa addebitarli - e il contrario di tutto, quando gli viene richiesto.
Una requisitoria lunga. Dickens salva, nelle note critiche sul reame borbonico, alcuni magistrati che osano sbugiardare i collaboratori di giustizia. Ma nell’insieme giudica questi proto-pentiti onnipotenti e ne è scandalizzato, rilevando che vengono dalla feccia della società. Anche se talvolta di ceto elevato. “Queste spie non vengono mandate avanti a caso, come mietitori in un campo di frumento, a raccogliere tutto ciò che possono, ma vengono scelte con attenzione e assegnate alla posizione per la quale  il loro talento e ruolo meglio si confanno. Accade quindi che ogni grado della società abbia le proprie adatte e specifiche spie. Alcune sono incaricate di vigilare le classi più elevate, altre la canaglia, altri ancora il clero: tutti sorvegliano tutti”.
Mancanza di verità
Il fenomeno è italiano, osserva Dickens, con effetti sul carattere nazionale, dedito al pettegolezzo e alla calunnia, ma al Sud è più deleterio. “L’effetto del sistema delle spie sul carattere nazionale è oltremodo demoralizzante. Non c’è paese dell’Europa dove coesistano come nel Sud dell’Italia con maggior forza i bassi vizi nascosti assieme a quelli di un aperto, più chiaro e più feroce, temperamento. Il sistema della polizia segreta ne è una delle molte cause… La gente ha seguito l’esempio che le è stato dato e tutti sono diventati spie, spie delle azioni, delle parole e dei pensieri altrui… È più ridicolo e noioso di quanto si possa immaginare attraversare le scene di vita italiane e ascoltare il pettegolezzo quotidiano”.
Questa la conclusione del saggio: “Di fatto, l’effetto del sistema di polizia delle spie (unito ad altre cause) è stato di trasformare il Paese in un’intera nazione di spie una addosso all’altra. Mentre il rispetto e il bisogno di fiducia prevalgono universalmente, in Italia vi è una mancanza di verità”.

L’accumulazione mafiosa originaria
Lo storico Augusto Placanica ha fatto nel 1979, “Alle origini dell’egemonia borghese in Calabria. La privatizzatone delle terre ecclesiastiche (1784-1815)”, Società Editoriale Meridionale, la ricostruzione puntuale della formazione della borghesia calabrese attraverso la cessione della Cassa Sacra. Per Cassa Sacra s’intendono i beni ecclesiastici nazionalizzati dopo il terremoto disastroso del 1783, per finanziare la ricostruzione.
La formazione della borghesia attraverso l’alienazione della manomorta ecclesiastica è fenomeno italiano – sarà ripetuta un secolo dopo su scala nazionale. Una alienazione effettuata a prezzi di favore o a nessun prezzo, e quindi all’origine della corruzione che ha invaso la vita pubblica. Ma Placanica è il solo storico che se ne occupa, anche se può darne, come sintetizzerà nella sua “Storia della Calabria”, “puntuale elenco di tutti i borghesi e nobili calabresi entrati in possesso di beni ecclesiastici tra Settecento e Ottocento, con indicazione di nome, estensione, qualità ed enti ex propri atri dei circa seimila fondi”. Le carte insomma ci sono.
Una mutazione analoga, per un migliaio di fondi, si è avuta negli anni 1950-1960 in Sicilia occidentale e nella Calabria meridionale a beneficio della nuova “mafia imprenditoriale”, in regime politico avverso alla proprietà (non mafiosa). È l’inizio del predominio mafioso in quelle zone, che nessuna antimafia ha finora scosso.
Si mette ora in prima fila il sindacato nell’impegno di piazza contro la mafia. Mentre trenta, quaranta, cinquant’anni fa lo stesso sindacato ha assistito inerte all’occupazione mafiosa delle terre: un datore di lavoro valeva l’altro. Qualcosa è cambiato? Le parole d’ordine sicuramente, che vengono sempre da fuori.
Possiamo anche sperare in una guerra di mafia. Ma il processo di creazione dei mafiosi ha un che di naturale, è la malerba là dove non si usano diserbanti efficaci. Viene fuori a getto continuo. Dove c’è stato un assestamento la mafia recede, scade alla criminalità dei furti e delle grassazioni. Dove il terreno sociale – magma – è franoso la mafia è endemica.
Nella Sicilia occidentale ciò avviene perché in realtà il feudo non ha ceduto alla borghesia - Verga e Pirandello scrivono non dell’avvento di una borghesia ma dello squagliamento di una ipotetica. Da una parte c’è un’aristocrazia residuata, talmente dissipata nel suo snobismo che da decenni faceva il verso in anticipo ai decadenti di monsieur Proust. Dall’altra una borghesia di gabella e manomorta. Non operosa, cioè, inventiva, ma malata di rendita, subalterna o collusa. 

leuzzi@antiit.eu 

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