Novanta
pagine di una notte di turbamenti di un giovane idealista innamorato di una attricetta
avida, che lo sfrutta. Elevate da Joyce
ad archetipo del suo “monologo interiore”, la tecnica di alcuni capitoli dell’“Ulisse”
– e a questo titolo ripescato da Italo Calvino per la sua collana Centopagine.
Il
titolo Dujardin, “il manager del simbolismo”, editore e giornalista, allievo e
amico di Mallarmé, ha derivato da una
canzone in voga all’epoca, 1888, “Nous
n’irons plus au bois, les lauriers sont coupés”. Ma l’uso di pensieri
ritornanti deriva dal leitmotiv wagneriano,
da wagneriano fanatico – nella cui produzione questo racconto è anomalo,
scriveva anche lui trilogie di preferenza, sebbene in prosa. È il trionfo,
anche, del punto e virgola.
Édouard
Dujardin, Lauri senza fronde
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