Sostenuto dalla Germania, avversato dalla Russia, in freddo con gli
Usa, Israele e la Nato, Erdogan si tiene su con la guerra ai curdi. Solo
con la guerra: è come un condannato, o un sorvegliato speciale, con la
condizionale. Le forze armate, che per molto meno vent’anni fa forzarono l’evizione
del suo predecessore Erbakan, il primo capo di governo turco dei Fratelli
Mussulmani, sono in attesa – si direbbe in agguato.
A conclusione della crisi siro-irachena, dove si gioca oggi, alle
frontiere turche, con l’assenza cospicua della Turchia, e terminato il “lavoro” nel Curdistan iracheno, l’affondo militare contro la guerriglia, Erdogan
potrebbe dover pagare il conto. Che intanto si accumula, tutto a debito: il passo
indietro imposto alla democrazia elettorale e alla libertà d’espressione,
l’abuso della polizia segreta, l’isolamento in politica estera nello
schieramento occidentale, non bilanciato dai contatti con le monarchie arabe
del Golfo. Il progetto di riforma del regime, nel senso di un presidenzialismo
senza contrappesi, potrebbe essere la pietra d’inciampo.
Il presidente turco ha perduto di colpo, dopo la vittoria elettorale
appena un paio di mesi fa, il capitale politico che aveva accumulato in vent’anni.
Da sindaco popolare di Istanbul per il partito di Erbakan, poi da vittima di
una esecuzione giudiziaria quando Erbakan cadde in disgrazia, con una breve
carcerazione e un processo senza fondamento, e una serie di elezioni vinte. Mentre
alcuni eventi ricalcano quelli che portarono alla rovina di Erbakan. In
particolare gli attentati non chiari, anche a Istanbul, contro i civili curdi.
Allora imputati a una fantomatica organizzazione Hezbollah, che si suppose costituita
da elementi radicali islamici manovrati da infiltrati dei servizi segreti.
Nessun commento:
Posta un commento