Una
fiaba di faide: Giulietta e Romeo doppiata da film d’azione. Non proprio
filologica: con lieto fine (e vissero felici e contenti) ma con tanti morti -
Romeo uccide anche il padre di Giulietta, che ha ucciso il suo proprio padre,
etc. Sulla traccia della faida di San Luca, che si è conclusa a Duisburg, per
il ruolo che vi hanno avuto i giovani delle opposte famiglie, e poi le donne.
Trasposta di qua e di là dall’Allaro, la fiumara sotto Riace presso Locri, e a
Milano, in Belgio, dove capita. Tra le Aquile e i Lupi, albanesi di Calabria e
calabresi propriamente tali, su tare ataviche, doppiati a Milano, seconda patria dell’autore, da
calabrotti e triadi su eroina e altri traffici redditizi.
Appassionante,
a tratti (esordisce con un “Pivelli!” che non usa più nemmeno in Toscana), ma inquietante. Per l’odio-di-sé e la vicenda
personale che traspare – il padre ucciso, il fratello killer. E più per la
magnificenza con cui Criaco sa svolgere la violenza, già sperimentata con
“Anime nere”: l’energia, la determinazione, l’insouciance del killer a gogò. Da Supereroe, il suo ammazzauomini è
sempre giovanile, freddo, rapido, anche se di mezza età come qui, e un
Vendicatore dal volto d’angelo. Di un cancro facendo allegra metastasi: “Ho
costruito una parte della mia sopravvivenza all’odio, che in questo mondo
sospeso può rappresentare una ragione di vita”.
Poi c’è
la Calabria. A Milano, a Metz, a Anversa, in carcere: è una specie di romanzo
etnico. Sono calabresi, anzi dell’Allaro, i protagonisti, pur venendo da varie
esperienze in Europa, e a Milano il giudice intelligente e cinico, l’avvocato
generoso, gli spacciatori, all’ingrosso e al minuto. Il Vendicatore ne ha la
nostalgia: la Calabria, dove pure non è nato, è cieli tersi e acque limpide. Ma
tutti si odiano e si ammazzano, e eccetto che a tavola non sanno come altro
rasserenarsi. A Milano i padri accompagnano i figli al parco, in Calabria in campagna all’uso della pistola. Un luogo
di storie e anime nere. Non fosse per le sue donne – sono loro che portano al
lieto fine. Solo che, pagato il tributo alle pari opportunità, il rifiuto
diventa stucchevole. Piatto, a una dimensione.
È vero
che non si sfugge al male, anche a tenere le porte chiuse. Il cap. III lo dice
e lo spiega. Ma il romanzo dice il contrario: “La Calabria è una terra strana,
sospesa tra passato e presente”, il protagonista si fa dire dal saggio giudice
calabrese, “la sua lingua non contiene il futuro dei verbi, il domani è
affidato al destino”. Destino in Calabria – lo stesso romanzo è costruito sul
contrario? La sensazione è che Criaco si sprechi. Che metta la capacità fortemente evocativa di fantasia e scrittura al servizio di non tanto oscure potenze del pregiudizio - e lui, allora, a Milano? è un aborto, un caso strano? Bisogna censurarsi, l’odio-di-sé oltre un certo limite (autocritica)
si fa razzista: non tutti hanno le nostre colpe, tanto più se ereditate – “calabrotti” e cinesi mangiano i cani,
dove?
Gioacchino
Criaco, Il saltozoppo, Feltrinelli,
pp.207 € 14.
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