Una
palinodia dopo i “Quaderni neri”, da heideggeriana pentita, una dei tanti? No,
la colpa è di Heidegger. Anzi dei suoi eredi – noi esclusi. E perché sarebbe
una colpa? Perché Heidegger era antisemita. Certo che lo era, era nazista e
antisemita, si è sempre saputo. Ciò non emenda dalla colpa, ma perché tanto
allarme? Sì, ma perché non lo era da bottegaio, lo era da filosofo. Cioè da
“Essere e tempo”, da quando ha cominciato a essere Heidegger? No, dopo, con la
“svolta”. Cioè sì, dall’inizio, ma bisogna saperlo, bisogna rileggere “Essere e
tempo”. Male. Male essersi identificati in una filosofia antisemita – che però
poi, per la verità non lo è, è antimessianica, che è un’altra cosa. E poi: il
nazismo sarebbe cosa da bottegai (Donatella Di Cesare vive dal 3 marzo sotto scorta,
ma chi la minaccia è il solito scarto dell’umanità, il nazismo purtroppo è
altro)?
Parte
divertendo Donatella Di Cesare avendo deciso una resa dei conti con i tanti
“eredi” professionali del suo Heidegger. Ma poi stanca, forse perché i bersagli
sono troppi – solo salva Fritz, il fratello indispensabile dell’umile
Messkirch, il paesello natio. La satira si vuole breve, l’indignazione ancora
di più. Se non che non diventa noiosa. No: inquietante. Dal punto in cui nota: “La
non-ricezione”, dei “Quaderni neri”, “diventa un interrogativo a suo modo
prezioso”, indicativo. A metà della polemica, Donatella Di Cesare ne ha
intuizione. Ma anche la ricezione lo è, indicativa. E inquietante.
Gli Her-männer
La sua
propria ne è caso eloquente, che volgarmente si direbbe del voler salvare capra
e cavoli. C’è qui di tutto. Una confutazione accesa dell’antiheideggerismo, dei
Faye, Rastier e altri – che però non è antisemitismo, perché? Una resa dei
conti con la Heidegger Gesellschaft, di cui Di Cesare è stata vice-presidente,
col suo presidente Günter Fingal. Una tirata
d’orecchie agli Her-männer del business editoriale Heidegger,
gli uomini d’onore verrebbe da tradurre: il figlio (adulterino, riconosciuto)
Hermann - col suo proprio figlio Arnulf - e Friedrich-Wilhelm von Hermann,
l’ultimo assistente-segretario del filosofo. Di più: i due hanno manomesso, censurato,
“protetto” Heidegger nella gestione dell’opera completa, che sembra fatto
grave, andrebbe circostanziato e non andava taciuto. Tanto più che l’opera si
pubblica nelle redazioni e la cronologia che lo stesso Heidegger ha stabilito –
il taglio che la studiosa cita, opera del curatore dei “Quaderni neri” Peter
Trawny, di una notazione antisemita, è
di una redazione da parte di Fritz che Heidegger aveva approvato e probabilmente
voluto. Per non dire del grottesco, una plautina: il Filosofo dell’Ermeneutica “editato”
in famiglia.
C’è
perfino qua e là il ripudio del germanesimo, da parte di una germanista “nata”
– una che sa di tedesco meglio di molti tedeschi. Specie del rifiuto tedesco di
“parlare di Auschwitz”, a Heidelberg, tempio della verità, che ha sperimentato
in proprio e in occasione della celebrazione che di Gadamer tenne Derrida il 5
febbraio 2003. Senza peraltro approfondire - molto anche qui c’è da dire: che la
Germania malgrado tutto non era antisemita, cioè lo era nel quotidiano meno di
altri in Europa, Francia, Gran Bretagna, le stesse tolleranti Fiandre, ma non
sopporta egemonie e primogeniture.
Sorprendente sorpresa
Molto
prendono i conti con Heidegger, lui medesimo. Fino a farne il fenomenologo del giornalismo, come uno
che si è appropriato dell’uso dei media (la sfera pubblica, Öffentlichkeit) che disprezzava, quando
ne ebbe bisogno, un opportunista. E sorprendente è qui la sorpresa.
La scoperta della volagerie del
filosofo, notoria, solo dopo la pubblicazione delle lettere con la moglie dieci
anni fa. E ancora: salvando il rapporto con Hannah Arendt, come se fosse un grande
impossibile amore, quando si sa che fu l’avventura di un quarantenne in crisi
con la moglie e una voluttuosa ventenne, che sapeva di greco e fumava in
pubblico - e dal 1950 fu l’opportunità della riabilitazione politica. Nonché -
anche questo andava ricordato - l’avventura di due filosofi che si dilettavano
di poesiole, a volte il pensiero ama confondersi, se in fregola, e anche senza.
Heidegger e le donne è un ottimo capitolo ma va ancora trattato. Di Cesare ci
prova, ma sugli schemi classici. Il maschilismo fascista? Il carrierismo -
quante principesse nel suo letto, anche con molti figli? La riflessione a ogni
avventura sempre accuratamente evitata, che pure sembrerebbe urgente, a guardare
la cosa da fuori?
Va
meglio con l’altro grande tema: il paesano Heidegger, l’uomo della Selva Nera. Il
filosofo contadino-artigiano – col nonno ciabattino “come Böhme”, nota Di Cesare, che
però era un mistico. Un pensatore radicato, tra Alemanni e Svevi, nel suo
tempo, di sconfitte e di rivincite, degli Schlageter, e socratico, molto,
convinto che avrebbe innalzato politicamente la Germania, anche con Hitler, ma
meglio di Hitler. Un provinciale lo dice Di Cesare: in certo senso sì, ma era
uno che conosceva il mondo, non uno sprovveduto come lo voleva Hannah Arendt col
paradosso del mentitore (“Heidegger è una volpe che dichiara con fierezza: «La gente dice che Heidegger è una volpe»”).
L’osservazione
del disprezzato Anders, sposo putativo di Hannah nel matrimonio riparatore - il marito coetaneo,
buono in tutto e ripudiato, che di lei conserverà l’immagine di “bella Gorgone”,
e non sempre: “Quando iniziò ad apprendere l’irrisione la sua bellezza iniziò,
come per punizione, ad abbandonarla. Due rughe profonde apparvero tra le sue
sopracciglia” - non era
da trascurare: “Anche Heidegger non sostiene l’«Essere»”. Poiché lo rinvia alla “provenienza”,
al “fondo”. Lo storicizza, “provincializzato”, riducendolo a Volk, Heimat, Blut, Boden, popolo, patria,
sangue, terra natia, il vetusto vocabolario nazionalista conservatore.
Marcionita
Sorprendente
è la scoperta di uno che non va a denunciare gli ebrei per mandarli al gas, ma non
tollera il Vecchio Testamento. Rifiuto notorio, che lo ha portato ad allontanarsi
anche dal Nuovo, pur continuando a segnarsi e genuflettersi nelle chiese di campagna
- non un marcionita perché disdegnava anche solo la presa in considerazione
della tradizione, di quella
tradizione. Di Cesare vuole imporre la teologia a Heidegger: e perché? Impasse è la parola che più ricorre nel
lungo pamphlet. Ma chi si trova in un
impasse? Una palinodia di amore tradito?
Che lo rafforza.
Curiosa
resa dei conti con le varie eredità di Heidegger. Ma Heidegger allora è morto? Molto
dice di no, la stessa Di Cesare ne ha il presentimento. I “Quaderni neri” non
sono un diario, non sono note buttate là secondo l’umore e non più riviste,
anzi le note sono riviste e ricopiate. E non è avventurosa la decisione degli eredi
di pubblicarli: lo voleva Heidegger, e sono filosofia, insomma parte di
Heidegger. Indigesta, questo è il punto.
Nei “Quaderni
neri”, nota Di Cesare, Heidegger si etimologizza: Heid-egger, quello che erpica i campi dopo l’aratura. Tra i Supereroi
si direbbe lo Spianatore. Un tipo pericoloso. E si periodizza, ogni sessant’anni
un’opera capitale: 1807, “Fenomenologia dello spirito”, 1867, “Il capitale”, 1927,
“Essere e tempo”. Abbiamo saltato il 1987, e questo rischia di eternizzarlo: la
filosofia finisce a Messkirch?
Donatella
Di Cesare, Heidegger & Sons, Bollati
Boringhieri, pp. 148 € 13
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