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domenica 31 gennaio 2016

Gli uomini d’onore di Heidegger, lo Spianatore

Una palinodia dopo i “Quaderni neri”, da heideggeriana pentita, una dei tanti? No, la colpa è di Heidegger. Anzi dei suoi eredi – noi esclusi. E perché sarebbe una colpa? Perché Heidegger era antisemita. Certo che lo era, era nazista e antisemita, si è sempre saputo. Ciò non emenda dalla colpa, ma perché tanto allarme? Sì, ma perché non lo era da bottegaio, lo era da filosofo. Cioè da “Essere e tempo”, da quando ha cominciato a essere Heidegger? No, dopo, con la “svolta”. Cioè sì, dall’inizio, ma bisogna saperlo, bisogna rileggere “Essere e tempo”. Male. Male essersi identificati in una filosofia antisemita – che però poi, per la verità non lo è, è antimessianica, che è un’altra cosa. E poi: il nazismo sarebbe cosa da bottegai (Donatella Di Cesare vive dal 3 marzo sotto scorta, ma chi la minaccia è il solito scarto dell’umanità, il nazismo purtroppo è altro)?
Parte divertendo Donatella Di Cesare avendo deciso una resa dei conti con i tanti “eredi” professionali del suo Heidegger. Ma poi stanca, forse perché i bersagli sono troppi – solo salva Fritz, il fratello indispensabile dell’umile Messkirch, il paesello natio. La satira si vuole breve, l’indignazione ancora di più. Se non che non diventa noiosa. No: inquietante. Dal punto in cui nota: “La non-ricezione”, dei “Quaderni neri”, “diventa un interrogativo a suo modo prezioso”, indicativo. A metà della polemica, Donatella Di Cesare ne ha intuizione. Ma anche la ricezione lo è, indicativa. E inquietante.
Gli Her-männer
La sua propria ne è caso eloquente, che volgarmente si direbbe del voler salvare capra e cavoli. C’è qui di tutto. Una confutazione accesa dell’antiheideggerismo, dei Faye, Rastier e altri – che però non è antisemitismo, perché? Una resa dei conti con la Heidegger Gesellschaft, di cui Di Cesare è stata vice-presidente, col suo presidente Günter Fingal. Una tirata d’orecchie agli Her-männer del business editoriale Heidegger, gli uomini d’onore verrebbe da tradurre: il figlio (adulterino, riconosciuto) Hermann - col suo proprio figlio Arnulf - e Friedrich-Wilhelm von Hermann, l’ultimo assistente-segretario del filosofo. Di più: i due hanno manomesso, censurato, “protetto” Heidegger nella gestione dell’opera completa, che sembra fatto grave, andrebbe circostanziato e non andava taciuto. Tanto più che l’opera si pubblica nelle redazioni e la cronologia che lo stesso Heidegger ha stabilito – il taglio che la studiosa cita, opera del curatore dei “Quaderni neri” Peter Trawny,  di una notazione antisemita, è di una redazione da parte di Fritz che Heidegger aveva approvato e probabilmente voluto. Per non dire del grottesco, una plautina: il Filosofo dell’Ermeneutica “editato” in famiglia.
C’è perfino qua e là il ripudio del germanesimo, da parte di una germanista “nata” – una che sa di tedesco meglio di molti tedeschi. Specie del rifiuto tedesco di “parlare di Auschwitz”, a Heidelberg, tempio della verità, che ha sperimentato in proprio e in occasione della celebrazione che di Gadamer tenne Derrida il 5 febbraio 2003. Senza peraltro approfondire - molto anche qui c’è da dire: che la Germania malgrado tutto non era antisemita, cioè lo era nel quotidiano meno di altri in Europa, Francia, Gran Bretagna, le stesse tolleranti Fiandre, ma non sopporta egemonie e primogeniture.
Sorprendente sorpresa
Molto prendono i conti con Heidegger, lui medesimo. Fino a farne il fenomenologo del giornalismo, come uno che si è appropriato dell’uso dei media (la sfera pubblica, Öffentlichkeit) che disprezzava, quando ne ebbe bisogno, un opportunista. E sorprendente è qui la sorpresa. La scoperta della volagerie del filosofo, notoria, solo dopo la pubblicazione delle lettere con la moglie dieci anni fa. E ancora: salvando il rapporto con Hannah Arendt, come se fosse un grande impossibile amore, quando si sa che fu l’avventura di un quarantenne in crisi con la moglie e una voluttuosa ventenne, che sapeva di greco e fumava in pubblico - e dal 1950 fu l’opportunità della riabilitazione politica. Nonché - anche questo andava ricordato - l’avventura di due filosofi che si dilettavano di poesiole, a volte il pensiero ama confondersi, se in fregola, e anche senza. Heidegger e le donne è un ottimo capitolo ma va ancora trattato. Di Cesare ci prova, ma sugli schemi classici. Il maschilismo fascista? Il carrierismo - quante principesse nel suo letto, anche con molti figli? La riflessione a ogni avventura sempre accuratamente evitata, che pure sembrerebbe urgente, a guardare la cosa da fuori?
Va meglio con l’altro grande tema: il paesano Heidegger, l’uomo della Selva Nera. Il filosofo contadino-artigiano – col nonno ciabattino “come Böhme”, nota Di Cesare, che però era un mistico. Un pensatore radicato, tra Alemanni e Svevi, nel suo tempo, di sconfitte e di rivincite, degli Schlageter, e socratico, molto, convinto che avrebbe innalzato politicamente la Germania, anche con Hitler, ma meglio di Hitler. Un provinciale lo dice Di Cesare: in certo senso sì, ma era uno che conosceva il mondo, non uno sprovveduto come lo voleva Hannah Arendt col paradosso del mentitore (“Heidegger è una volpe che dichiara con fierezza: «La gente dice che Heidegger è una volpe»”).
L’osservazione del disprezzato Anders, sposo putativo di Hannah nel matrimonio riparatore - il marito coetaneo, buono in tutto e ripudiato, che di lei conserverà l’immagine di “bella Gorgone”, e non sempre: “Quando iniziò ad apprendere l’irrisione la sua bellezza iniziò, come per punizione, ad abbandonarla. Due rughe profonde apparvero tra le sue sopracciglia” - non era da trascurare: “Anche Heidegger non sostiene l’«Essere»”. Poiché lo rinvia alla “provenienza”, al “fondo”. Lo storicizza, “provincializzato”, riducendolo a Volk, Heimat, Blut, Boden, popolo, patria, sangue, terra natia, il vetusto vocabolario nazionalista conservatore.
Marcionita
Sorprendente è la scoperta di uno che non va a denunciare gli ebrei per mandarli al gas, ma non tollera il Vecchio Testamento. Rifiuto notorio, che lo ha portato ad allontanarsi anche dal Nuovo, pur continuando a segnarsi e genuflettersi nelle chiese di campagna - non un marcionita perché disdegnava anche solo la presa in considerazione della tradizione, di quella tradizione. Di Cesare vuole imporre la teologia a Heidegger: e perché? Impasse è la parola che più ricorre nel lungo pamphlet. Ma chi si trova in un impasse? Una palinodia di amore tradito? Che lo rafforza.
Curiosa resa dei conti con le varie eredità di Heidegger. Ma Heidegger allora è morto? Molto dice di no, la stessa Di Cesare ne ha il presentimento. I “Quaderni neri” non sono un diario, non sono note buttate là secondo l’umore e non più riviste, anzi le note sono riviste e ricopiate. E non è avventurosa la decisione degli eredi di pubblicarli: lo voleva Heidegger, e sono filosofia, insomma parte di Heidegger. Indigesta, questo è il punto.
Nei “Quaderni neri”, nota Di Cesare, Heidegger si etimologizza: Heid-egger, quello che erpica i campi dopo l’aratura. Tra i Supereroi si direbbe lo Spianatore. Un tipo pericoloso. E si periodizza, ogni sessant’anni un’opera capitale: 1807, “Fenomenologia dello spirito”, 1867, “Il capitale”, 1927, “Essere e tempo”. Abbiamo saltato il 1987, e questo rischia di eternizzarlo: la filosofia finisce a Messkirch?
Donatella Di Cesare, Heidegger & Sons, Bollati Boringhieri, pp. 148 € 13

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