martedì 12 gennaio 2016

I fiori della depressione

La “disperazione senza vie d’uscita” è il tema della nota di Erich Auerbach, “«I fiori del male» e il sublime”, 1951, che la vecchia traduzione di De Nardis per Neri Pozza, e poi per Feltrinelli, usava come introduzione nel 1961. Una sorta di antevisione del male del secondo Anno Mille, la depressione, molto in anticipo sui tempi, di un secolo e mezzo da parte di Baudelaire, di mezzo secolo da parte dello studioso – niente di nuovo sotto il sole? “Un uomo rozzo la deriderebbe, un moralista o un medico proporrebbero dei rimedi per guarirla, ma con Baudelaire ciò sarebbe inutile”, come con ogni altro depresso, verrebbe da aggiungere.
Baudelaire soffriva, secondo Auerbach, di quel sentimento il tedesco chiama “das graue Elend”, la grigia miseria. E lui stesso, “nel “Cattivo monaco”, chiama “la mia triste miseria”. Aggiunge il critico: “Caratteristica della grigia miseria, o della triste misère, è di rendere incapaci di una qualsiasi attività vitale”. Esprimersi sarà sempre per Baudelaire una “lotta”. Non proprio sempre, probabilmente, il corpus baudelairiano è corposo, ma per la raccolta poetica malgrado tutto sì.
Per esempio malgrado l’erotismo. Per il quale “I fiori del male” furono perseguiti, e che Auerbach dice di una specie “perversa”, predominandovi “l’elemento fisico-sessuale, e soprattutto ciò che in esso vi è di avvilente e di truculento”. Specie nella “tradizione letteraria europea”: “Il perverso e il degradante insiti nel sesso sono del tutto assenti nella poesia antica di qualunque stile; in Baudelaire sono dominanti”.
O il sublime. Che Auerbach, non volendo rinunciarvi, dice  “fosco” – quello di Vigny sarebbe “sublime tremendo”, quello di Baudelaire fatto di cose concrete, in termini crudi. Ma sublime, non è la cosa cui il creatore della poesia contemporanea rinuncia per prima? “Un’opera che ha per tema l’orrore”, lo stesso Auerbach non cessa d’insistervi. E fonda la modernità, introducendo il Nulla – prima dei filosofi, va aggiunto: “Ora che la crisi della nostra civiltà (ancora latente ai tempi di Baudelaire e presentita solo da pochissimi), ora che questa crisi si avvicina al suo punto decisivo, è possibile forse tener conto dell’eredità che Baudelaire ci ha lasciato”. Un Nulla che non è quello dei mistici, cui il poeta da tanti è stato avvicinato: “Nella poesia d Baudelaire la morte non si chiama beatitudine eterna…. E la speranza?.Come può essere il Nulla il nuovo sole che fa sbocciare i fiori?”.
Charles Baudelaire, I fiori del male

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