Siamo debitori. Indebitati a tal punto da rivivere di fatto “il peculiare
stato del debitore codificato nell’arcaico diritto romano, che risulta a un
tempo libero e schiavo”. Elettra Stimilli, che ha già indagato la condizione
del debitore in “Ascesi e capitalismo. Il debito del vivente”, e dunque una
specialista in materia, non ha dubbi: “Il debito è divenuto la nuova
condizione” dell’umanità. E non si può
dirla in errore, oggi che perfino la condizione di creditore viene assimilata a
quella di debitore, nella insindacabile normativa europea, con il bail-in in banca e non solo. Cosa non si fa per
gli affari!
E con ciò
si è già risposto al dubbio residuo che la filosofa pone, se “l’assoggettamento
qui in gioco è ancora del tipo di quello istituito dal nexum” antico romano, o se non si tratti di “una modalità di potere
differente”. Nell’un caso e nell’altro il nexum
c’è, l’addictio, la riduzione in
schiavitù del debitore - ancorché oggi creditore. La trattazione è resa
stimolante in quanto Stimilli prova a sottrarre il fenomeno agli “angusti confini
della teoria economica”, creando “strumenti interpretativi” in approcci diversi,
giuridico, sociale, politico, filosofico, religioso.
La
conclusione è quella di Roberto Esposito, “Due. La macchina della teologia
politica e il posto del pensiero”: “Un modello di sviluppo che produce
perdite”. Ma non evidente. Il raggiro si protegge con robuste arcate
d’opinione, una sorta di forche caudine protettive: col “capitale umano” e la
falsa impresa. Tutti “imprenditori di sé”, è così che tutti siamo debitori. Si
può andare oltre l’assunto di Elettra Stimilli e argomentare che questa storia
del “capitale umano” da investire è una costruzione fantastica per asservire illudendo,
“imprenditori di sé” senza difese. E per i più è così, come si vede anche nello
scandalo delle quattro banche, dei creditori truffati, per norma di legge. E
allora?
Il mercato produce debito
La crisi
finanziaria del 2007 si è peraltro tradotta in un nuovo ciclo del debito
pubblico, cresciuto ovunque in modo esponenziale – in Cina e in Giappone, dove
era già alto, attorno a una volta e mezzo il pil, la produzione interna, ora
viaggia attorno a tre volte il pil. In Italia il debito pubblico è cresciuto dai
1.602 miliardi di euro del 2007, il 103 del pil,
a 2.135 miliardi nel 2014, il 131,9 del pil. La Spagna ha accresciuto il debito
dal 60 al 100 per cento del pil. Nella Ue il debito pubblico è aumentato
dal 61 all’87 per cento del pil. Nella zona euro dal 65 al 93 per cento del pil.
Nella stessa Germania, malgrado il boom relativo di cui ha beneficiato nella
crisi, il debito è cresciuto dal 64 al 75 per cento del pil, e in assoluto da 1.598
miliardi nel 2007 a 2.184 nel 2014, il maggiore in Europa, un aumento di quasi
il 50 per cento.
Una
crescita abnorme su cui la speculazione può operare liberamente, in parte
provocandola – il deprezzamento sul mercato del debito ne accresce il costo/premio. Il
debito pubblico è una sorta di punching ball inerte su cui la speculazione può
vincere senza traumi, una montagna immobile contro cui ogni assalto è possibile,
senza nemmeno tanta destrezza. Oggi Laurence Fink, pad di Blackrock, il
più grande fondo d’investimenti, 4.500 miliardi di dollari in gestione, due
volte il debito della Germania, e William Gross, il creatore di Pimco, secondo
o terzo grande gestore di fondi, possono annunciare “altro sangue”, “tanto
sangue” nelle Borse mondiali, per il debito eccessivo, e consigliare di
spostarsi sui titoli del debito Usa, che evidentemente vogliono vendere – il debito
Usa è raddoppiato nella crisi, alla cifra impensabile di 18 mila miliardi di
dollari, una volta e mezza quello di tutta l’Unione Europea, che ha mezzo
miliardo di abitanti contro i 315 milioni di americani.
Le origini del capitalismo
Il debito
è all’origine del capitalismo. Dell’investimento. Semplice. Enorme anche. E
tuttavia è la sola traccia forse, o una delle poche, che mancano fra le tante
indagini sull’origine del capitalismo: il mercato, si potrebbe dire, è del
debito. Anzi, non ce n’è altro, senza debito non c’è guadagno. Questo “Debito e
colpa” figurerà tra le varie origini del capitalismo. Sono - erano
- indagini quasi tutte tedesche, queste sulle “origini” del capitale. E storico-sociologiche,
non filosofiche. Ora trascurate forse a ragione, dacché il fantasma di Marx più non si aggira
per l’Europa. Elettra Stimilli fa eccezione in più di un senso. Autrice del
seminale “Ascesi e capitalismo”, pubblicato quattro anni fa, riprende il tema
dal fatto: il ciclo del debito, e l’“austerità”. Del debito privato, che ha
provocato la crisi bancaria e dei mutui nel 2007 (negli Usa si accendevano mutui
con ipoteche di ennesimo grado…). E dell’indebitamento pubblico, che, cresciuto
in conseguenza della crisi fiscale dello Stato previdenziale, quarant’anni fa,
è esploso in conseguenza della crisi bancaria, primariamente per salvare le
banche dal fallimento. Un trattato che per molti aspetti farà testo – ben presentato
anche, con tavole riassuntive delle argomentazioni, un glossario ragionato, una
bibliografia corposa e tutta valida, indice analitico e dei nomi.
Lingua e religione
Stimilli
non ricostruisce la vicenda, se ne serve per esaminare la relazione semantica
tra debito e colpa. Che pure, benché trascurato, è un connotato linguistico (aramaico,
greco, tedesco – gotico, sassone, inglese) e religioso (ebraico, cristiano)
ricorrente. Uno scavo nuovo, dunque, filosofico e non sociologico, sulla natura
(origine, limiti) del capitalismo. I riferimenti sono molti, tra essi Max Weber
e, con più verità, Foucault – anche nel suo adattamento femminista, di Judith
Butler. E le annotazioni sparse di Walter Benjamin, sul “culto indebitante”,
come di una religione, che porta ognuno, anche l’incapiente, “a fare di sé una
moneta falsa, a carpire il credito con inganno, a mentire così che il rapporto
di credito diventi oggetto di abuso reciproco”. Benché di un “culto” che non
“conosce nessuna particolare dogmatica, nessuna teologia”.
La colpa
è ebraica e cristiana per il peccato, contro Dio più che contro la legge – il
peccato originario. Il debito invece è “in numerose culture antiche e moderne
.. la forma per eccellenza di legame sociale”, comprese le società dello
scambio e del dono. Il “rimetti a noi i nostri debiti”, per i “nostri peccati”,
del vangelo di Matteo poi confluito nel “Padre Nostro”, è reso con una parola
greca, opheïleme, in uso per l’economia
e non per la teologia.
Elettra
Stimilli recupera tutti i precedenti del debito-colpa, uno dei grandi temi del
Novecento: C. Schmitt, A.Kojève, W.Benjamin, Foucault, Agamben, Esposito,
Assmann. Ma ne fa il caso anche sul piano pratico e politico. Col neoliberismo
succeduto virulentemente al neocapitalismo con la crisi
fiscale dello Stato (Thatcher, Reagan). Che più e meglio si caratterizza però sfociando nella
globalizzazione. Che è la superfetazione della vecchia teoria di Benjamin
Constant, del commercio migliore motore della storia rispetto alle armi. Argomento condiviso ancora dagli Usa, di pioù dopo la sconfitta nel Vietnam – la Cina è il gigante dai piedi
d’argilla.
Il nuovo è il vecchio
Che dirne?
Il mercato mondiale (globalizzazione) è certo una novità. E nel capitalismo
dominante il debito ha il sopravvento su ogni altro fattore – l’impresa, il lavoro,
il reddito, i consumi, il risparmio. Un nuovo Keynes, una nuova teoria generale
dell’equilibrio, dovrebbe centrarsi sul “culto indebitante” – il lampo definitorio
che Benjamin ebbe del capitalismo prima di affondare, anche lui,
nell’ideologia. Ma non è una novità integrale. La “pax americana”, l’equilibrio
mondiale che si è formato nel dopoguerra attorno alla potenza americana,
militare dapprima e poi economica, delle multinazionali, si è imposta con la
moneta. Nel sistema di Bretton Woods, del “re dollaro”, e quindi
dell’indebitamento libero Usa. Finito nel 1971 il regno del dollaro, il sistema
si è riprodotto col multilateralismo a gestione centralizzata – americana –
della guerra del petrolio e delle guerre stellari. E a partire da Tienanmen con la globalizzazione, l’accettazione della Cina tal quale senza paletti nel
mercato mondiale.
Anche la
polarizzazione del reddito fra sempre più pochi sempre più ricchi e sempre più
masse sempre più povere, non è nuova. È ciclica. E polarizza nella storia
postbellica su un livello costantemente superiore, nel senso dell’eguaglianza, per
condizioni di vita, aspettative di vita, reddito medio, e anche, in definitiva,
distribuzione del reddito. Ma, soprattutto, la globalizzazione va vista per
quello che è stata ed è: un disegno politico, unico e gigantesco, non la fine
della politica. Nuova è semmai l’appropriazione
in forma di esproprio. Attraverso le forme note, delle Borse di capitali, e quelle
nuove di esproprio bancario. Che in realtà non sono proprio nuove. Nuova è la
tolleranza politica di questa appropriazione
come esproprio, in Usa e in Europa, l’Occidente, opinione pubblica inclusa,
destra e sinistra politiche anzi unite (ma un Einaudi redivivo avrebbe dubbi
anche lui), nel “mercatismo” già denunciato.
L’esito
della ricerca di Stimilli è che lo Stato – i parlamenti, la politica - è in questo
parte in causa. Non è vero che si è ritirato: continua a esercitare le sue
funzioni di controllo e di repressione. Ma in più è “entrato pienamente a far
parte delle stesse condizioni che ha contribuito a creare”. Della colpa, e del
capitale umano indifeso. Con l’imposizione delle politiche di austerità che il
mercato (capitale) ha richiesto e a esso sono funzionali, ai suoi guadagni. In
Occidente (Usa, Europa, ex Commonwealth) è il fatto dei due Stati più forti, in
senso tradizionale, della compattezza nazionale, gli Usa e la Germania.
La moneta
è credito, si può convenire con Simmel, e il credito è fiducia. La fiducia è
centrale in questa ideologia del mercato surrettizia, l’opinione pubblica. Che
è concorde e anzi unanime. Nelle forme tradizionali dei media come parte e
motore del capitalismo, e più nella forma rivoluzionaria della rete, con la sua
presunta incontrollabilità.
Bisogna
pensarci: l’incontrollabilità della rete è il disarmo dei singoli in realtà, o
una forma di arruolamento morale, sottile, subdolo. Elettra Stimilli porta in
campo il fondamento religioso della fiducia, la fede. No, è il meccanismo della
convinzione, o della razionalità. Che non è astratto, viene incontro ai
bisogni, che però ha creato..
Una antropogenia nuova
Che fare?
Inventarci una “macchina antropogenica” nuova, caduta la millenaria costruzione
giuridica di protezione. In grado di riattivare lo scambio “in modo differente
rispetto al corso insensato” di liberi speculatori e arcigni incolpatori. Il
“dispositivo” del neoliberismo di Foucault, che ne ritraccia l’“invenzione”nella
ekklesia cristiana, Stimilli elabora da
ultimo nelle specificazioni che ne trae Judith Butler. In una sorta di
egualitarismo presentato come indistinzione, di genere e di identità, e anche
di forme sociali o concrezioni storiche. Le concrezioni del potere presumendo
di esplorare come una sorta di limbo, la “vita psichica del pensiero”. Che ha
un lato positivo, nella ricerca delle forme di introiezione del potere, e uno
estremamente fragile, che è l’assolutizzazione del potere nella socialità. Molto
antifoucaultiano, e anti-“dispositivo”, ma col pregio di mettere a nudo,
involontariamente?, il meccanismo del dominio. È in questa deriva che è
essenziale indurre il “senso di colpa”: ogni lettore di giornale ne è
confrontato quotidianamente - ci colpevolizzano di tutto, anche del maltempo,
non ci assolvono mai di nulla. È il vecchio tema e assillo dell’opinione
pubblica.
Nella
rappresentazione di Elettra Stimilli l’opulenza dell’epoca si manifesta per la
sua miseria, anche economica. L’olio della macchina neo liberista è colpa e
debito, depressivo e non liberatorio. Si diceva all’epoca della guerra fredda
che il capitalismo produce più risorse. Oggi che domina incontestato, invece,
le distrugge.
Con
un’avvertenza, però, necessaria – in chiave storica, ma la storia ha un senso.
Che stiamo parlando dell’Europa. Altrove c’è un progetto e un risultato: la
globalizzazione sta creando molta più ricchezza di quanto l’Europa riesca a
immaginare – se c’è debito, non c’è colpa.
La
conclusione potrebbe essere quella che Stimilli ha individuato in Foucault: “Il
cristianesimo è stato individuato all’origine di una modalità economica del potere”. L’“inedito investimento sulla
vita”, di cui il cristianesimo è “l’«assertore», ha coinvolto le singole
esistenze nella costruzione di un’impresa globale, di cui il mercato
finanziario non è che l’estremo apice”. Come
a dire: non si sfugge.
Ma questo
è vero nel linguaggio. “L'operaio
conosce cento parole, il padrone mille, per questo lui è il padrone”, come voleva Dario Fo nel 1968. Ma è il linguaggio tutto, web compreso con i social,
illusioni all’ennesimo grado, come le ipoteche dei mutui “Fanny Mae” e “Freddy Mac”? Esaurisce tutte le
dimensioni dell’esperienza?
Elettra
Stimilli, Debito e colpa,
Ediesse, pp. 240 € 12
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