Fascismo – Si affranca
senza più remore tra gli ultimi testimoni viventi, al mercato, alle poste, al
bar, sui mezzi pubblici, dovunque si parla in libertà, con la premessa “non si
può dire ma”, il ricordo nostalgico degli anni 1920-1930. In cui “tutto
funzionava”. Da ridere, ma non troppo. E “non si rubava”. Noi sappiamo che si
rubava, ma niente al confronto di oggi: rubavano i ladri, non tutti come
avviene oggi, e non in forza del diritto, anche quelli che timbrano il
cartellino e se ne vanno. Il fascismo è naturalmente la dittatura, le guerre,
di cui l’ustima esiziziale, e le leggi antiebraiche. Ma fece, in soli sedici
anni di governo effettivo, e progettò cose che un secolo e mezrzo di storia
italiana non eguagliano: tutto l’apparato sociale, poi in patte smantellato, a
favore degli indigenti, la donna, la maternità, l’infanzia, i disagiati
(reduci, invalidi, poveri), il diritto allo studio, gli ospedali, le strade e
autostrade, le ferrovie, la forestazione, i primi parchi naturali, i
regolamenti edilizi, il catasto urbano, l’urbanistica. Le case popolari per i
poveri-ladri di Trastevere a Donna Olimpia a Roma e ai Quattro Venti, sono
ampie e sempre solide, costruite con materiali non di scarto, non come le Vele
di Scampia o il Corviale della Repubblica, e anzi perfino, per gli standard
della Repubblica, signorili.
Globalizzazione – Si fa
ascendere agli anni 1980, al’allargamento delle maglie della World Trade
Organisation alle esportazioni dei
paesi latinoamericani, su licenza o per conto per lo più delle multinazionali.
Un’apertura culminata a fine decade con
Tienanmen, l’estensione della “non ingerenza” al regime politico
dell’esportatore, nel caso della Cina. Ma, facendo perno sulla Cina quale
motore della globalizzazione stessa, e del vasto accrescimento del benessere
diffuso negli ultimi trent’anni, si può
risalire al 1971, alla diplomazia del ping-pong, con la missione segreta di
Kissinger, inviato di Nixon, a Pechino, e alla successiva visita del presidente
americano, 1972. Il 1971 è anche l’anno della sospensione degli accordi di
Bretton Woods, che avevano retto le politiche monetarie dell’Occidente nel
dopoguerra, e della convertibilità del dollaro, in conseguenza del costo
insopportabile della guerra al Vietnam. E cioè della fine del disegno di
dominio militare del mondo. Guerra civile – Si
riscopre Hobbes, o almeno il frontespizio del “Leviatano” (Agamben, Ginzburg),
e si chiama guerra civile quella che le tribù arabe si fanno tra di loro, ora
in nome della religione. La guerra civile su cui i filosofi insistono non è tra
le “due culture”, cristiana e islamica, ma islamica, e al suo interno più
specificamente araba: di gruppi islamici, cioè arabi, gli uni contro gli altri.
Il filosofo Agamben e lo storico Ginzburg ci vedono un terrorismo
degli Stati. Nel senso che i gruppi terroristici sono o sono stati armati e
finanziati da Stati, compresi gi Usa. Ma non è sempre stato così? La guerra
civile è una guerra by proxy. Di
comunisti contro fascisti e cattolici per conto dell’Unione Sovietica nel
1945-1946, dei fascisti e dei cattolici contro i comunisti per conto
dell’Occidente e degli Usa. Altrimenti è solo terrorismo.
Innocenzo –È il nome di
alcun i dei papi meno innocenti. Innocenzo I, papa dal 401 al 417, pretese il
primato papale su tutte le chiese. Innocenzo II si attribuì un primato
giurisdizionale su re e imperatori nelle questioni temporali e spirituali. Che
Innocenzo III e Innocezo IV nel primo Duecento confermarono. Innocenzo III è
anche quella del “De contemptu mundi”, del rifiuto del corpo, di cui la
chiesa ha difficoltà a liberarsi, della prima Inquisizione, delo sterminio
degli albigesi. Con Innocenzo VIII nacque tra le badesse nei conventi il 5 dicembre 1484 la bolla contro le
streghe - tra Magonza, Treviri e Colonia - per l’ossessione del fornicare
promiscuo “con demoni incubi e succubi”. Settemila furono bruciate solo a
Treviri, ottocento in un anno a Würzburg. Il record resta alla minuscola Como,
mille in un anno, e a Tolosa, quattrocento in un giorno – la caccia s’intensificherà
sotto la spinta della Riforma, del suo preteso Dio laico, e si farà soprattutto
dove la chiesa di Roma aveva poco o punto potere, per esempio nel tardo
Cinquecento nella Germania settentrionale.
Islam – La violenza è di
fatto araba. Si definisce islamica nel senso della religione, è araba. Fra
tribù. Divise anche dalla religione, ma fondamentalmente da odi tribali. Si
dice una guerra tra sciiti e sunniti, ma di fatto sono i sunniti ch muovono
guerra. Agli sciiti e tra di loro, fra confessioni diverse e tribù.
Atti di guerra “civile” islamica sono perpetrati anche fuori del
mondo arabo, in Pakistan, nell’Africa sub-sahariana e in Estremo oriente,
Malesia, Indonesia. Ma sempre a opera di gruppi indottrinati e finanziati da
personalità e interessi arabi.
Mani Pulite – Fu la
cancellazione di una cultura: laica, democratica, costituzionale. A opera e a
favore delle due culture politiche solo formalmente costituzionali, la missina
(neo fascista) e la comunista. Per l’adesione nota dei suoi maggiori
protagonisti, Davigo, Di Pietro, De Pasquale da un lato, Clombo, D’Ambrosio,
Ielo dall’altro. Coordinati da un capo andreottiano all’origine, quando fu
nominato, e poi sempre saldamente democristiano, con Scalfaro. La Dc sopravisse
– e torna ora in auge – negandosi: sciogliendosi, accusandosi reciprocamente
delle peggiori nefandezze. Proteti per ultimo da Scalfaro.
Nulla di quanto De Mita, con Carlo De Benedetti e “Repubblica”,
andava teorizzando nel decennio precedente, nel quadro del compromesso storico:
che in Italia c’erano solo due subculture, la confessionale e la comunista,
niente più laici, partiti intermedi, liberalismo, etc. Sub-cultura è termine
giusto, non volendo, ma quella confessionale-cattolica sopravvisse negandosi:
gli anni di Mani Pulite furono dei giudici nostalgici e degli ex comunisti, che
riuscirono così a rovesciare la frittata – e tuttora la rovesciano.
Se
ne comincia a parare, dopo il plauso universale dei primi anni e lo sconcerto
dei successivi, ma non abbastanza, e non nei termini appropriati. E tuttavia il più resta ancora da fare:
la dimensione culturale e politica di quel fenomeno, nonché la storia di chi,
come e perché. Una tessitura politica belzebbubiana probabilmente, sulla linea
Andreotti-Borrelli-Di Pietro – con l’attenzione divertita e l’appoggio del
dipartimento di Stato e della stesa ambasciata usa in Italia – di questo si può
dare testimonianza.
Di Borrelli esiste solo la biografia ammirata di
Giorgio Dell’Arti sul sito Cinquantamila giorni. Che però nasconde il fatto
principale: come fu che Borrelli arrivò alla Procura di Milano. Grazie a
Andreotti. Che sarà - come tutti gli andreottiani meno uno – il grande escluso
dalle indagini di Mani Pulite: gli andreottiani erano gli unici onesti della
Repubblica. E non dà la citazione giusta del motto “Resistere!”. Il motto segue
una dichiarazione di Borrelli, da presidente della Corte d’Appello di Milano,
all’inaugurazione dell’anno giudiziario il 12 gennaio 2002: “Ai guasti di un pericoloso sgretolamento della volontà
generale, al naufragio della coscienza civica nella perdita del senso del
diritto, ultimo, estremo baluardo della questione morale, è dovere della
collettività resistere, resistere, resistere come su una irrinunciabile linea
del Piave”.
Dinastia napoletana di magistrati, da padre in figlio da più
generazioni, senza ombra naturalmente di nepotismo, Borrelli una volta disse che se il capo dello
Stato avesse chiamato i suoi sostituti a
prendere parte a un governo di salute pubblica, loro erano pronti. Ma lo
fregò Di Pietro: costretto a lasciare la magistratura per i troppi legami con i
suoi inquisiti, si fece fare senatore da D’Alema, nel collegio blindatissimo
del Mugello – annientò gli altri candidati, Sandro Curzi e Ferrara. Presidente
di corte d’Assise a Milano tra il 1978 e il 1982, si era segnalato per
l’assoluzione del carabiniere che aveva ucciso in una manifestazione un ragazzo
inerme, Giannino Zibecchi, inseguendolo col gippone sul marciapiedi. Lo
assolse nonostante
“la manovra non giustificata dalla situazione di fatto e prevedibilmente
pericolosa per l’incolumità di quanti si trovavano in corso XXII Marzo”.
Rubygate – Giorgio
Dell’Arti fa un errore anche nell’agiografia di Ilda Boccassini: la fa sposata
e divisa dall’avvocato Alberto Pironti. Invece che dal giudice di Milano
Alfredo Nobili, più giovane di lei di un paio d’anni. Che la Procura di
Firenze, allora diretta da Pierluigi Vigna, accusò vent’anni fa di aver
protetto il cuore della mafia a Milano, l’Autoparco di via Salomone – droga e
armi per un fatturato cospicuo - 250 miliardi l’anno – per quasi dieci anni,
1984-1993. Traffici di cui tutta Milan era a conoscenza.
A
Nobili, assolto dalle accuse di Vigna, era poi finita per competenza
l’inchiesta della Guardia di Finanza su Ruby. Che gli inquirenti fecero in modo
che approdasse invece sul tavolo della ex moglie. Nella lite fra Robledo, vice, e Bruti Liberati, capo della
Procura di Milano, il primo sostenne al Csm che Nobili non rinunciò a
coordinare l’inchiesta Ruby a favore della collega (ed ex moglie) Ilda
Boccassini perché “non è mai stato interpellato sul punto, né è stata richiesta
la sua opinione”. Bruti Liberati invece sostenne che Nobili, a cui doveva
toccare il fascicolo, quando seppe dell’assegnazione alla Boccassini disse:
“Grazie, sono contento, io ho altre cose da fare”. E il Csm gli ha creduto.
Unione Europea – È un
progetto politico che si realizza attraverso l’economia: la comunità dell’acciaio, poi quella
commerciale, poi agricola, industriale e dei trasferimenti, di persone e
capitali, la moneta unica. È uno dei tanti progetti politici, tra cui quello di
Altiero Spinelli, di cui si celebrano i trent’anni della morte. Che avrebbe
preferito invece passare per la difesa comune: una politica estera e di difesa
che invece tuttora latita. Come progetto politico è incompiuto, ma senza il
sostrato politico perde velocità e consistenza. In economa, per esempio, altre
soluzioni possono essere più convenienti, altre forme di integrazione, quali
quelle che vivono Norvegia e Gran Bretagna. Come unione politica, o comunità di
destino, ha invece il vantaggio inestimabile di escludere la guerra, le guerre
intestine.
Vietnam – La guerra
perduta dagli Usa ha segnato un ciclo storico. Ha chiuso sul nascere il disegno
di un’egemonia piramidale, militare, del mondo, del dominio esclusivo con le
armi. Aprendo il ciclo kissingeriano dell’equilibrio, e la via alla globalizzazione,
attraverso il multilateralismo, o una costellazione di potenze regionali. Non
si cercano i punti di contrasto per abbattere il nemico, ma i punti di
interesse comune.
astolfo@antiit.eu
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