Si esce dai film legali americani con l’amaro in bocca: altro che
“giustizia”, trucchi, persecuzioni, illegalità impunite e anzi esibite,
pritette e vantate dai emdia. La giustizia non è il sistema italiano, che tanto
si loda, dei pubblici accusatori e dei loro compari, i giudici. Con un ruolo
solo procedurale lasciato alla difesa. Con la pretesa alla “sacralità”, molto
corporativa (fascista) – con tutta la serie di privilegi connessi, di forma e
di sostanza (soldi, carriere, auto blu con scorta). Quanta più giusto invece il
“rito accusatorio” del sistema anglosassone. Con un ruolo paritario alla
difesa, benché non decisivo, e un
giudice in carriera doppiato da un occasionale, la giuria.
Gli n gradi di giudizio non
mutano la natura ingiusta, e anche illegale, del processo italiano. Che si
riproduce con lo stesso schema inquisitorio, e si conclude in arcana (Cassazione), dove è chiuso il
procedimento, e astrattamente procedurale, e coperta la sentenza.
Il segno più evidente dell’ingiustizia è nel ruolo “equanime” che si
assegna all’accusa. Che l’accusa si assegna in forza di legge. Una assurdità:
un accusatore che si vuole protettore dell’indiziato. Mentre ne è stato e ne è,
di diritto e di fatto, il persecutore, anzi lo sbirro: con furbizie, trappole,
tranelli, pentiti, confidenti e intercettazioni, anche nell’intimità, con indagini
insistite, interminabili, insinuanti per lo più, con indiscrezioni,
anticipazioni, confidenze, sempre comunque sanzionatorie, anche se approssimate
malgrado gli eccessi investigativi. Per non dire del ruolo inequivoco del
giudice: che non è uno cui si demanda il riscontro della colpevolezza, ma
quello davanti al quale discolparsi.
Inimmaginabile, poi, un legal thriller italiano che mettesse in luce
l’operato e il modus operandi non dell’Fbi ma di una delle tante polizie. Nemmeno un film per tutti, anche solo un libro per pochi - un saggio per pochissimi: l’Autorità è intoccabile, anzi innominabile.
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