Non si percepisce la ragione della guerra continua da quindici anni in Afghanistan, con
la partecipazione dell’Italia, se non per un progetto di condotta per il gas. Un progetto da poco, che però assorbe
la diplomazia americana, il lobbysmo che le sta dietro. Per questo progetto furono
favoriti i talebani vent’anni fa, e anche ora si cerca un’intesa con una
fazione di talebani “ragionevoli” per riavviarlo.
Il gasdotto sembra un affare politico di poco conto, e lo è, ma non si
trova altra ragione per una guerra continua ormai da quindici anni. Sembrava da
ridere qualche anno fa il volume Feltrinelli di Ahmed Rashid, giornalista
pakistano, abbellito col titolo “Talebani”, un lungo articolo sul tema del
sottotitolo, “Islam, petrolio e il grande scontro in Asia centrale”. Se non che
il petrolio non c’era, il gas era del Turkmenistan, Stato non propriamente centrale
nell’Asia centrale, e il grande scontro era tra la Unocal, società petrolifera
della California (ora confluita nella Chevron), con la Delta dei principi
sauditi, e una sconosciuta e forse inventata ditta argentina. Ma non era da
ridere, era invece la realtà, e continua a esserlo.
Unocal annoverava e annovera tra i suoi consiglieri d’amministrazione
gli ex ambasciatori americani in Afghanistan, Pakistan, e probabilmente
Turkmenistan. Ha contato e conta sul dipartimento di Stato, quello di Bush e
poi di Obama – quello del primo Obama, con Hillary Clinton, senz’altro. Fin
dagli inizi Unocal e i suoi diplomatici
sono stati favorevoli ai talebani – fin dagli inizi del movimento talebano, vent’anni
fa - il 27 settembre 1996 i talebani occupavano Kabul. Messo in mora
successivamente da movimenti femministi Usa - nonché dal ribasso fine anni 1990
del prezzo del petrolio – il progetto è rifiorito da una diecina d’anni.
Ingigantendosi, anche per garantirsi la redditività: al Pakistan è stata
aggiunta l’India quale recipiente del gas turkmeno. Tra un’intensa attività
diplomatica.
La vigilia e il giorno di Natale sono stati presi da vorticosi contatti
tra Ashraf Ghani, presidente afghano, Nawaz Sherif, primo ministro pakistano, e
il presidente indiano Modi, per varare il Tapi, il gasdotto
Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India. Con una portata più che raddoppiata
rispetto a vent’anni fa, a 33 miliardi di metri cubi l’anno. Un’opera che i
social media, opportunamente manipolati, hanno dato immediatamente per fatta.
Mentre il finanziamento è ancora da decidere. E anche il tracciato. E resta
aperto l’abisso tra Pakistan e India per via del Kashmir. Con scambi ridotti al
minimo: l’India assorbe l’1 per cento del pil pakistano, il Pakistan lo 0,1 per
cento del pil indiano.
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