Testi recuperati fortunosamente dai curatori delle
opere. Bozzetti satirici anonimi, del futuro presidente generale Zachary Taylor,
scritti in serie per il “Yankee Doodle”, il “Punch” di New York. Esemplari, più
che altro, della deperibilità del comico - quando non si regge su altre
stampelle, liriche, storiche, tragiche, vendicative. Quattro recensioni – due di
Fenimore Cooper e una di “viaggi avventurosi” a caccia di balene. Scritte forse
controvoglia. E tre conferenze, nella sintesi che ne avrebbero redatto i giornali dell’epoca.
Delle quali una, sulle “Statue di Roma”, notevole: la vera Roma sono le sue
statue.
Anche i viaggi avventurosi lo sono, ma più per quanto
Melville ne sapeva per esperienza, che espone nel saggio-conferenza “I Mari del
Sud”. A cominciare dallo stesso concetto di “mari del Sud”, che stanno per
oceano Pacifico, il quale sta per almeno la metà a Nord. Ma piace immaginarsi
il Sud – piaceva: calore e corpi, l’orizzonte della fantasia. Melville ne era addict. Del viaggio in genere. E ce n’è
per tutti, pretendeva, basta essere in salute e avere buon carattere: “L’operatore
di Borsa va a Salonicco e trova gli infedeli più onesti dei cristiani. L’astemio
trova in Francia un paese in cui tutti bevono
e nessuno si ubriaca. Chi ha pregiudizi contro il colore della pelle
trova diverse centinaia di milioni di persone di tutte le sfumature…”. E poi
prendere l’aria fa bene.
Hermann Melville, Viaggi
e balene, Clichy, pp. 157 € 8
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