“Il
libro risponde al libro”, un gioco di specchi. E tuttavia non si può non
scrivere. Lo scrittore è come l’Ebreo – “talmudista, cabbalista”: “Tutt’e due
hanno la stessa sete d’imparare, di sapere, di decrittare il loro destino
inciso in ogni lettera in cui Dio si è ritirato”. Classificato come
“enigmatico”, il filosofo franco-egiziano (di Alessandria) procede sempre tra
poesia e aforisma: il suo “pensiero” non ha bisogno di essere precisato, vuole
anzi essere libero. Si “incolla” non si anatomizza:
“La
precisione
È
cancellazione.
Lui è
così preciso.
Lui
scompare.
Niente
celare
È
dissimulare un po’ di più
- e più
di un po’”.
Una
realtà che il poeta conosce, esperto delle pause:
“Il
silenzio non è all’inizio né alla fine; è tra.
Soggiogata,
la
parola diserta la parola.
Si
applica a non essere.”
Un’opera
diversa, non ostica. Repertoriato come poeta, mistico, rabbino (causidico),
metafisico, teologo, Jabès si voleva scrittore e nulla più - né meno: “Ho sognato
un’opera che non entrerebbe in nessuna categoria, che non apparterrebbe a
nessun genere, ma che li conterrebbe tutti”, scrive in altra luogo:”Un’opera
che si avrebbero problemi a definire, ma che si definirebbe proprio per questa
mancanza di definizione”. Ma con un fondo. Con vari fondi. Per esempio da corrispondente
antinichilista del nichilismo del secondo Novecento, di Celan, Pasolini,
Derrida, Caillois, Lévinas, Carl Schmitt, et
al.: “ Fin dove andrà la nostra disgrazia? Il niente è forgiato dalle
nostre mani”.
Una
consolazione da filosofo antico. Una scrittura breve, non pretenziosa.
Diaristica – ma organizzata, tematicamente, cronologicamente – e in un certo
senso sistematica. Del dubbio in itinere:
niente da dimostrare, o da provare, molta attenzione invece all’evidenza che
man mano insorge. E tuttavia durevole: i due primi “Libri dei margini” (saranno
tre) che l’edizione italiana nel 1986 antologizzava, si leggono intatti.
“Allora, domandare. La domanda è essere senza appartenenza, il tempo della sua
formulazione; è essere senza appartenenza nell’appartenenza, senza legame nel
legame”.
Edmond
Jabès, Libro dei margini.
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